testata di Umanità Nova

Umanità Nova, numero 17 del 16 maggio 2004, Anno 84

RAI. Il solito rumore per le solite poltrone



In questi giorni si è fatto un gran parlare di cose televisive. 

È stata nuovamente approvata la legge Gasparri. La nuova versione è sostanzialmente identica a quella precedentemente rinviata da Ciampi alle camere per manifesta incostituzionalità. È fin troppo facile prevedere che questa legge finirà sotto la scure della corte costituzionale adita da De Francesco (il tycoon di Italia 7, la rete che avrebbe preso la concessione di Rete 4) o da qualche associazione di consumatori. Tra il ricorso e la sentenza però saranno passati un altro paio di annetti durante i quali Emilio Fede avrà continuato a propagandare per l'etere il miracolo berlusconiano, Mediaset avrà aumentato il proprio fatturato di un altro paio di milioni di euro e ci sarà stato tutto il tempo di fare un'altra leggina che provveda al mantenimento dello status quo.

La legge Gasparri prevede anche un nuovo meccanismo di nomina del consiglio d'amministrazione della RAI. Apparentemente sembrerebbe dare più spazio all'opposizione: il consiglio diverrà di 7 membri (invece degli attuali 5). Cinque di questi membri saranno nominati dalla commissione parlamentare di vigilanza con voto singolo e, a meno di strabilianti vittorie elettorali, dovrebbero essere tre per la maggioranza e due per l'opposizione. Gli altri due saranno nominati dall'azionista (il ministero del Tesoro) e uno di questi due sarà il presidente, che dovrà però essere ratificato con una maggioranza di due terzi dalla commissione parlamentare.

Questo meccanismo, apparentemente più democratico, tende a rafforzare il potere del governo nei confronti della RAI. Già oggi il direttore generale viene nominato dal ministero del tesoro e, con questa modifica, il governo potrà decidere anche il presidente. Alla commissione spetta, infatti, solo la ratifica e la maggioranza di due terzi dei 40 deputati della commissione, di cui almeno 21 della maggioranza, significa che basterà trovare 5 o 6 deputati con un nipote da sistemare, con un giornalista da proteggere o una poltrona di un loro protetto da conservare per garantirsi l'approvazione della nomina.

Parallelamente alla Gasparri è stato approvato in RAI il nuovo "assetto organizzativo" che cancella la residua autonomia delle reti, facendo prendere tutte le decisioni al direttore generale (e a un ristretto staff deciso da lui). 

L'attuale struttura della RAI deriva dal consociativismo degli anni '70: si decise allora di passare dalla RAI di Bernabei, monocolore democristiano con una presenza degli alleati di governo sul secondo canale, ad una RAI più spartita, con un canale (il primo) alla DC, uno (il secondo) al PSI ed uno, creato apposta all'epoca (il terzo), al PCI. Ogni canale aveva una propria autonomia finanziaria e decideva all'interno come spendere le risorse.

Questa struttura era rimasta tale anche con la fine dei vecchi partiti: il primo canale andava ai partiti al governo in quel momento, il secondo al centro destra ed il terzo al centro sinistra. 

Fu il centro sinistra a modificare quest'assetto: nella smania di privatizzare, avevano creato delle "divisioni" in cui far confluire le reti televisive, le radio, le reti satellitari, gli impianti e le consociate. Ogni divisione era strutturata come una società a sé stante, che avrebbe potuto essere staccata e venduta senza nocumento per le altre. Oltre ad un'utilissima (per loro) moltiplicazione delle poltrone questa modifica ha comportato anche lo spostamento del potere gestionale dalle reti alle divisioni.

Con questa nuova organizzazione si torna all'antico, con tutto il potere concentrato in poche mani. Già prima di questa riforma un direttore di rete, o di divisione, non decideva più quali film produrre (lo fa RaiCinema), quali fiction fare (lo fa RaiFiction), quali eventi sportivi trasmettere (lo fa il dipartimento sportivo). Con questa nuova modifica e con la creazione delle super direzioni "Risorse televisive" e "Palinsesto TV e marketing" non potranno nemmeno decidere chi scritturare o cosa mandare in onda.

È evidente la volontà governativa di gestire la parte restante della legislatura con una televisione pubblica blindata, dove il direttore generale decide esattamente cosa va in onda e quando.

È da notare però che all'opposizione questo disegno, evidentemente, va bene. Non hanno proferito parola quando si è trattato di ristrutturare in questo senso i centri decisionali della RAI, salvo gridare alla censura quando, nella successiva spartizione delle poltrone sono rimasti, sostanzialmente, a bocca asciutta. 

Questa situazione ha portato alle dimissioni del presidente "di garanzia" della RAI, già da tempo messo all'angolo nelle scelte aziendali: quando, tra dicembre e gennaio scorsi, aveva rinnovato il contratto a Bruno Vespa, era parso chiaro a tutti i conoscitori di cose RAI come il direttore generale sbertucciasse la presidente. In RAI sono di competenza del consiglio d'amministrazione i contratti di lavoro di importo superiore ai 5 miliardi di lire. A Vespa andranno, per due anni, 5 miliardi meno trenta lire.

Le successive minacce di Cattaneo alla Annunziata, la richiesta di solidarietà istituzionale da parte della Annunziata, il silenzio di risposta, hanno fatto capire a Lucia Annunziata che sarebbe rimasta a fare la foglia di fico di una RAI blindata. 

Oltre tutto dopo le elezioni europee si procederà alla nomina del nuovo consiglio d'amministrazione e, per la Annunziata, rimanere, senza alcun potere reale, per un paio di mesi in più non avrebbe fatto nessuna differenza. Inoltre le candidature di noti personaggi del video (Lilli Gruber e Michele Santoro su tutti) nelle liste dell'ulivo daranno al centro sinistra la possibilità di fare una campagna contro la censura in TV.

E se volete sapere quant'è aperto e contro la censura il centro sinistra chiedetelo a Beppe Grillo. 

Fricche









una storiasommarioarchiviocontatticomunicaticollegamenti