Umanità Nova, numero 17 del 16 maggio 2004, Anno 84
In quest'interessante intervista comparsa sul New
Internationalist dello scorso settembre, uno spaccato della
realtà dell'odierno Sudafrica, tra esperienze comunitarie e
tentativi di autogestione della vita e delle lotte, non scevri di
difficoltà, contraddizioni ma anche di un grande slancio
sperimentale.
L'attivista del movimento comunitario Ashwin Desai è intervistata da Holly Wren Spaulding.
Holly Wren Spaulding: Quali sono i nuovi strumenti della liberazione?
Ashwin Desai: Semplicemente, noi stiamo ricostruendo strutture sociali. Non c'è nulla di più rivoluzionario che fare ciò che è necessario affinché milioni di persone nella mia provincia vivano una vita modesta e decente. Questo necessita di cose molto basilari: amore, rispetto, considerazione, libertà di movimento nel tuo quartiere. Questi sono fenomeni apparentemente poco importanti – che si possono vedere intorno alla pentola comune, per esempio – ma essi contengono molta politica, molto sentimento.
Molte persone di sinistra sono ciniche riguardo ai movimenti comunitari, perché la loro militanza non è visibile – non infuriano sulle barricate, non costruiscono la Comune di Parigi, non conoscono la differenza precisa tra il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, e non gliene frega più di tanto di saperlo. Ma io penso che ciò che noi stiamo facendo sia di costruire un senso di quartiere e di comunità che è così efficace contro la Banca Mondiale quanto qualsiasi corteo o risoluzione uscita da un seminario tra NGO (Organizzazioni Non Governative).
A Chatsworth nel Durban, Mhlongo era quello che nella zona chiamano un "meccanico selvatico". Si prendeva cura delle macchine degli altri, e gli altri si prendevano cura di lui, quasi sempre attraverso il baratto. Quando le guardie di sicurezza del comune e la polizia sono arrivati per sgomberare la sua famiglia, più di 150 persone, in maggioranza donne, li hanno mandati via. La gente ha bloccato le scale che portavano al suo appartamento. Ci sono stati spari e gas lacrimogeni e almeno sei feriti, ma i residenti avevano giurato di impedire lo sgombero. Non era solo una battaglia per Mhlongo, ma per la loro dignità collettiva come esseri umani.
Così le persone hanno dovuto unirsi e questa è la bellezza di quest'idea di comunità, dell'idea di condivisione e di difendersi reciprocamente. Si può non essere d'accordo su otto cose su dieci - ci sono cattolici, testimoni di Geova, induisti, mussulmani e atei, e, certamente, si litiga parecchio - ma si difende il territorio e questo funziona.
Cosa significa questo per ambiti più ampi? Non ho una risposta, ma so che qui è nato qualcosa di bello e prezioso.
La nuova politica è portata avanti dalle famiglie che partecipano. I movimenti di comunità che si stanno formando in alcune parti del Sud Africa, non sono composti da coloro che lavorano nelle fabbriche. Piuttosto, qui abbiamo il "lumpenproletariat", il popolino, la ragazza madre, gli aspiranti gangster, i bambini e le zie - gli inorganizzabili - e nessuno resta fuori.
C'è una rivalutazione di ciò che è stato visto
come resistenza a partire dalla rivoluzione bolscevica, e dell'idea che
i cambiamenti nella società possono venire solo
dall'organizzazione dei lavoratori, dal comitato centrale, dal partito;
da grandi leader che emergono nella lotta, che sanno tutto e poi
dirigono le masse; dal partito di avanguardia. Non si può
proprio dire che quelle idee sull'organizzazione siano ancora discusse
nel Durban. Esse sono state sgonfiate, perché sono semplicemente
irrilevanti ed impossibili.
HWS: In questi movimenti sociali, sono coinvolti i giovani, oppure stanno creando i loro propri movimenti?
AD: Sin dall'inizio, in tutto il paese, i movimenti comunitari erano composti per l'80 % da donne - perlopiù donne di una certa età - semplicemente perché esse erano state le prime a subire le devastazioni del neoliberalismo. I sussidi per i bambini sono stati tagliati drasticamente e le donne sono state le prime ad essere espulse dalle fabbriche quando le tariffe sulle importazioni dagli sweatshops sono state abbandonate. Quelle che hanno trovato lavoro di nuovo adesso sono anch'esse negli sweatshops. Lavorando dal lunedì alla domenica, guadagnano 500 o 600 Rand al mese ($ 65-80). Il sostentamento minimo per una donna sola con un bambino è di circa 1.700 Rand ($ 225), che è veramente un livello di povertà. Così sono diventate parte del movimento per il boicottaggio del pagamento dei servizi. Sul lavoro sono molto docili verso il capo; loro vogliono quei 500 Rand. Ma diventano militanti nella comunità, rifiutando di pagare per l'acqua e l'elettricità. Stanno efficacemente creando un salario sociale attraverso la loro azione, dicendo: "Lo stato vuole permettere alle persone di pagarci 500 Rand ($ 65), ma vuole anche che noi paghiamo 800 Rand in affitto, quindi noi prenderemo i 300 Rand di differenza dallo stato, non pagando per i servizi."
Al livello dell'esperienza vissuta che si traduce in attivismo, le donne sono il vero potere. Naturalmente i giovani sono affascinati dal trafficante di droga locale, dal gangster, dal rapper e così via; loro trovano un senso di significato attraverso queste cose piuttosto che nella vecchia noiosa lotta. E molti di noi cominciano ad odiare quella parola "lotta"; una lotta che si incarna in lunghi discorsi, poche discussioni veramente appassionanti e procedure incomprensibili durante le riunioni. La gente è pronta per l'attivismo. Come riprendersi dei servizi di base, riconnettendo l'acqua e l'elettricità tagliate. Costruendo strutture di sentimenti reciproci, condividendo risorse. Una sarta che scambia un'uniforme scolastica con un disoccupato che ha messo su un asilo nido. C'è molta gioia. È un movimento. È vita.
Se una casa è vuota, non è il consigliere comunale che decide chi ci andrà ad abitare, è la comunità. Si prende qualcuno che è per strada, e gli si dà un tetto. Noi stiamo veramente creando zone liberate. La gente affronta la propria miseria occupando i terreni, e producendo verdure da vendere al mercato.
Dato che si è risaputo che il nostro stile non era quello delle riunioni dove qualcuno sta sul pulpito e fa dei sermoni agli altri, i giovani sono venuti con il loro modo diverso di agire, e i loro atteggiamenti diversi - vogliono la musica e vogliono ballare, e poi si scocciano e fanno cose più militanti. Non gliene frega niente dei lunghi Curriculum Vitae degli ex-MK (guerriglieri del gruppo Umkhonto we Sizwe, ora disciolto) e di quelli con lunghe storie di lotta. Gli importa di quello che sta succedendo adesso e hanno un fiuto molto sviluppato per sgonfiare le banalità dei politici e di altre figure autoritarie.
Adesso i giovani sono una parte importante dei movimenti di
comunità. Per esempio, i Vulumanzi Boys ("Ragazzi che aprono
l'acqua") sono un gruppo di giovani che si insegnano l'uno con l'altro
come riconnettere l'acqua dopo che l'azienda gliel'ha tagliata. Quindi
ci sono cambiamenti, e le persone prendono ispirazione da essi, e
sentono che possono trovarsi a loro agio adesso in un movimento
comunitario.
HWS: Tu parli di spogliarsi delle etichette politiche e di camminare nudi…
AD: Nel Sudafrica dell'apartheid, la maniera in cui stringevi la mano a qualcuno o il modo in cui tenevi il pugno chiuso rivelavano a quale famiglia appartenevi - se eri del PAC (Pan Africanist Congress) o ANC (African National Congress), o parte del movimento della Black Consciousness ("Coscienza nera"). I movimenti diventavano letteralmente la tua famiglia. Così, molti di quelli coinvolti nella nuova politica originata dai movimenti comunitari hanno dovuto spogliarsi delle vecchie affiliazioni politiche ed essere degli sconosciuti per un po', soli, e poi ricostruire qualcosa, indossare dei panni completamente nuovi, e in quei panni, marciare proprio contro quelle persone a fianco delle quali avevano marciato in passato, e magari condiviso una cella in prigione. Lasciarsi indietro le ideologie politiche è una cosa grossa, ma tagliare via quella parte della tua identità personale che dipendeva dall'appartenenza ad un credo o ad una cricca particolare è qualcosa di ancora più grosso. Alcune persone si sono identificate con un partito per decine d'anni. Ma in questo nuovo movimento c'è bisogno di rompere con questo e con la politica elettorale. È come marciare contro i tuoi genitori, abbandonarli e denigrarli.
Per molte persone, le loro biografie sono scritte con un sacco di contraddizioni. Se Thabo Mbeki o Mandela venisse qui a ricordare la sollevazione di Soweto del 16 giugno, le persone sentirebbero ancora il bisogno di andare al raduno e scandire gli slogan dell'ANC quale distruttore dell'apartheid. Ma il giorno dopo gli stessi lottano contro gli sgomberi e denunciano l'ANC quale partito del neoliberalismo. Una nuova opposizione militante si è inventata in altre parti del mondo, ma in Sudafrica questo è avvenuto molto rapidamente: il miracolo qui è quanto poco ci abbia messo l'ANC ad indossare i panni del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, e a sguainare la spada dell'aggiustamento strutturale. Il ritmo dell'opposizione ha dovuto essere veloce.
Parte del modo di costruire un movimento comunitario è disimparare vecchie maniere di fare le cose.
HWS: Puoi spiegare il significato di "spazi vissuti che non sono legati al marchio del dollaro"?
AD: È quasi come se l'ANC avesse rinunciato a fare qualcosa per i poveri e sperasse semplicemente di cacciarli via lontano dalle città, in modo da potersi dedicare allo sviluppo - il che significa costruire dei casinò e delle enormi statue agli eroi della liberazione. Sul serio! I movimenti comunitari sono situati qui - con il 60 % più povero della società - quelli che sono impoveriti ulteriormente dalle politiche economiche dell'ANC.
Lo stato sta riducendo tutte le strutture di supporto e welfare per i più poveri fra i poveri. Ci vogliono sempre più soldi per sopravvivere, poiché tutto viene privatizzato. Questo causa le più tremende privazioni alle persone: gli viene tagliata l'acqua e l'elettricità, i parchi vengono recintati col filo spinato così i bambini non possono più giocare in quello che era prima un giardino pubblico. Quello che ci dà speranza è la sensazione tra la gente che questo governo non risolverà mai i problemi, e che noi stessi dobbiamo cominciare a ricostruire le nostre vite. Questo tipo di governo opera sulla base del principio della "smobilitazione": si vota ogni quattro anni e si aspetta, si aspetta e si aspetta, e la figura paterna (ieri era Mandela, oggi Mbeki) metterà tutto a posto. Bene, siamo stufi di figure paterne.
In realtà siamo molto conservatori - noi rispettiamo le figure con qualche autorità qui - ma abbiamo sempre meno rispetto dell'autorità in modi nuovi ed imprevedibili. C'è stato un caso circa due mesi fa nel quartiere di Mandela Park a Khayelitsha, Città del Capo, dove il funzionario cittadino responsabile di avere sgomberato della gente e avergli tagliato l'acqua è venuto a parlare ad un raduno di massa. Nel mezzo dell'assemblea voleva andare al bagno, ma naturalmente non c'era l'acqua, perché l'aveva fatta tagliare, così gli hanno portato un secchio. Per quanto ci provasse, non poteva pisciare nel secchio di fronte a migliaia di facce che lo guardavano. Una cosa simile non sarebbe mai successa in passato; la gente avrebbe interrotto il raduno, per permettergli di andare al gabinetto.
C'è questa sensazione comune che lo stato non farà mai
nulla e le persone stanno tessendo delle connessioni a livello locale.
Un meccanico ripara una macchina e poi una persona che sa cucire lo
ricambia con dei vestiti o delle uniformi per la scuola. È quasi
come se la gente fosse parte dell'economia, ma allo stesso tempo non
può essere parte dell'economia, e si stanno costruendo dei
legami incredibili tra le persone mentre immaginano insieme un mondo
nuovo. Queste sono piccole cose, ma sono anche molto grandi.
Per la prima volta, viene raccontata la storia delle persone. Non la
storia di Mandela, o altri come lui, ma le vite reali di Sudafricani
comuni adesso vengono prese sul serio. I poveri del Sudafrica non hanno
gettato la spugna. Loro faranno la storia. Un'altra volta.
Ashwin Desai è attivista in una comunità. Questo è
un estratto da "We Are Everywhere: the irresistible rise of global
anticapitalism", September 2003.
L'intervista è stata pubblicata sul New Internationalist di settembre, traduzione di Reno