Umanità Nova, numero 18 del 23 maggio 2004, Anno 84
Ormai, più che l'indignazione, è un senso di disgusto,
di profondo disgusto, quello che prende. Esaurite le debite analisi,
concluse le interpretazioni, fatte tutte le considerazioni politiche,
terminate le valutazioni sui prossimi sviluppi e le ricadute, resta
solo la nausea, lo schifo, uno schifo insopprimibile per questa
ennesima rappresentazione della stolida, brutale e ripetitiva
criminalità del potere.
Precisi ordini dall'alto, un efficiente sistema di comando,
un'organizzazione precisa e capillare, una sistematicità
agghiacciante: tutti sapevano e a tutti andava bene. Poi, con le mani
ancora sporche di marmellata, o di sangue, la solita ricerca dei capri
espiatori, la fuga dalle responsabilità, non so, non c'ero, e se
c'ero dormivo. E la canea dei servi dell'informazione, dei cantori
della superiorità occidentale, di quelli sempre indignati se
brucia una bandiera a stelle e strisce o un cartello recita yankee go
home, ma così comprensivi di fronte a questi fatti: si parla di
abusi, scompare il termine tortura, fioccano le giustificazioni e le
scusanti, ci si esercita nei distinguo, ma una buona volta, in nome di
quella libertà d'informazione con la quale si puliscono le
onorate posteriora dopo essersene riempita la bocca, provassero a
chiedere un parere a un recluso di Guantanamo o Abu Ghraib. Poi bisogna
pareggiare i conti, ed ecco le foto taroccate per rendere inattendibili
le altre, ecco le opportune decapitazioni, ecco l'idealtipo,
l'americano, ebreo, lavoratore, orrendamente ucciso due giorni,
soltanto due giorni, dopo essere uscito dalle carceri in cui i suoi
connazionali, sì, i suoi connazionali, lo avevano tenuto
segregato. Sarebbe così offensivo pensare a uno scambio di
favori? E i proclami del nonno di Heidi che dai pascoli d'alta montagna
dell'Afganistan continua a giocare di sponda, a colloquiare come
conviene, con l'odiato nemico. E poco lontano case e famiglie
distrutte, bombe nei mercati e granate sugli ospedali, resti umani
branditi come trofei, oscene contrattazioni: tu ridammi due dita e un
piede e io per due giorni non ti bombardo. Vittime innocenti, vittime
colpevoli, non fa più differenza, tutte vittime di un mostruoso
teatrino di marionette, i cui fili sono tragicamente nelle mani della
peggiore feccia di questo mondo. Se dovessimo mostrare a un alieno
cos'è la nostra civiltà, in un solo giorno di questa
barbarie capirebbe che è molto meglio, se glielo lasceremo fare,
tornare precipitosamente negli spazi siderali.
Perché questa non è una giornata particolare, non
è l'aberrazione di una fase anomala, questa è la
normalità del potere, è la quotidianità di una
alienazione che la tanto celebrata fine delle ideologie si porta
dietro. E temiamo che, come sempre nella storia dei rapporti di forza,
nelle pieghe della violenza istituzionale e istituzionalizzata, nei
giochi della macroeconomia, nei risiko dove si spartiscono i popoli e i
paesi da saccheggiare, il peggio debba ancora venire: a frutti velenosi
seguiranno frutti altrettanto velenosi e in più saranno anche
marci.
Abbasta! Abbasta!
Non c'è solo questo schifo, fortunatamente. Non hanno ancora
vinto, non sono ancora riusciti a portare all'ammasso le energie e le
volontà che si oppongono alla banalità del male. Qualcosa
d'altro, nella società, nelle società, riesce ancora ad
esprimersi, e ad esprimere la propria alterità rispetto
all'esistente. Giovani appena nati alla luce dell'impegno, combattenti
e reduci della patrie battaglie, lavoratori coordinati
continuativamente... per organizzarsi contro i padroni, padri di
famiglie di fatto e figli di papà un tempo alternativi,
sfruttati che non vogliono diventare sfruttatori, atei agnostici e
senzadio, vecchie facce e nuovi soggetti, tutta gente che non ci sta,
che non vuole essere complice di un pensiero opprimente e omicida. E
noi, noi ancora convinti che lo sfruttamento non è un dogma, che
la prevaricazione opprime, che il potere ci è contro, che tutti
i poteri sono contro di noi. E ancora intenzionati ad occupare e
riempire quei residui spazi di libertà conquistati in un secolo
di lotte e che qualcuno vorrebbe ridurre a cascami di un'epoca e di una
mentalità anacronistiche.
La storia non è finita. La storia ricomincia ogni giorno,
là dove si alza il grido ribelle, dove nasce la rivolta e cresce
la consapevolezza che questo non solo non è il migliore dei
mondi possibile, ma che non è neppure un mondo possibile. La
storia ricomincia ogni volta che ritroviamo i modi e gli strumenti per
affermare, insieme e a viso aperto, che non ci avranno mai. La storia
ricomincia ogni volta, anche a Livorno, anche in questa tragica fine di
maggio.
Massimo Ortalli