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Umanità Nova, numero 18 del 23 maggio 2004, Anno 84

A Livorno il 29 maggio!
Contro la barbarie militarista



Ormai, più che l'indignazione, è un senso di disgusto, di profondo disgusto, quello che prende. Esaurite le debite analisi, concluse le interpretazioni, fatte tutte le considerazioni politiche, terminate le valutazioni sui prossimi sviluppi e le ricadute, resta solo la nausea, lo schifo, uno schifo insopprimibile per questa ennesima rappresentazione della stolida, brutale e ripetitiva criminalità del potere.
Precisi ordini dall'alto, un efficiente sistema di comando, un'organizzazione precisa e capillare, una sistematicità agghiacciante: tutti sapevano e a tutti andava bene. Poi, con le mani ancora sporche di marmellata, o di sangue, la solita ricerca dei capri espiatori, la fuga dalle responsabilità, non so, non c'ero, e se c'ero dormivo. E la canea dei servi dell'informazione, dei cantori della superiorità occidentale, di quelli sempre indignati se brucia una bandiera a stelle e strisce o un cartello recita yankee go home, ma così comprensivi di fronte a questi fatti: si parla di abusi, scompare il termine tortura, fioccano le giustificazioni e le scusanti, ci si esercita nei distinguo, ma una buona volta, in nome di quella libertà d'informazione con la quale si puliscono le onorate posteriora dopo essersene riempita la bocca, provassero a chiedere un parere a un recluso di Guantanamo o Abu Ghraib. Poi bisogna pareggiare i conti, ed ecco le foto taroccate per rendere inattendibili le altre, ecco le opportune decapitazioni, ecco l'idealtipo, l'americano, ebreo, lavoratore, orrendamente ucciso due giorni, soltanto due giorni, dopo essere uscito dalle carceri in cui i suoi connazionali, sì, i suoi connazionali, lo avevano tenuto segregato. Sarebbe così offensivo pensare a uno scambio di favori? E i proclami del nonno di Heidi che dai pascoli d'alta montagna dell'Afganistan continua a giocare di sponda, a colloquiare come conviene, con l'odiato nemico. E poco lontano case e famiglie distrutte, bombe nei mercati e granate sugli ospedali, resti umani branditi come trofei, oscene contrattazioni: tu ridammi due dita e un piede e io per due giorni non ti bombardo. Vittime innocenti, vittime colpevoli, non fa più differenza, tutte vittime di un mostruoso teatrino di marionette, i cui fili sono tragicamente nelle mani della peggiore feccia di questo mondo. Se dovessimo mostrare a un alieno cos'è la nostra civiltà, in un solo giorno di questa barbarie capirebbe che è molto meglio, se glielo lasceremo fare, tornare precipitosamente negli spazi siderali.
Perché questa non è una giornata particolare, non è l'aberrazione di una fase anomala, questa è la normalità del potere, è la quotidianità di una alienazione che la tanto celebrata fine delle ideologie si porta dietro. E temiamo che, come sempre nella storia dei rapporti di forza, nelle pieghe della violenza istituzionale e istituzionalizzata, nei giochi della macroeconomia, nei risiko dove si spartiscono i popoli e i paesi da saccheggiare, il peggio debba ancora venire: a frutti velenosi seguiranno frutti altrettanto velenosi e in più saranno anche marci.
Abbasta! Abbasta!

Non c'è solo questo schifo, fortunatamente. Non hanno ancora vinto, non sono ancora riusciti a portare all'ammasso le energie e le volontà che si oppongono alla banalità del male. Qualcosa d'altro, nella società, nelle società, riesce ancora ad esprimersi, e ad esprimere la propria alterità rispetto all'esistente. Giovani appena nati alla luce dell'impegno, combattenti e reduci della patrie battaglie, lavoratori coordinati continuativamente... per organizzarsi contro i padroni, padri di famiglie di fatto e figli di papà un tempo alternativi, sfruttati che non vogliono diventare sfruttatori, atei agnostici e senzadio, vecchie facce e nuovi soggetti, tutta gente che non ci sta, che non vuole essere complice di un pensiero opprimente e omicida. E noi, noi ancora convinti che lo sfruttamento non è un dogma, che la prevaricazione opprime, che il potere ci è contro, che tutti i poteri sono contro di noi. E ancora intenzionati ad occupare e riempire quei residui spazi di libertà conquistati in un secolo di lotte e che qualcuno vorrebbe ridurre a cascami di un'epoca e di una mentalità anacronistiche.
La storia non è finita. La storia ricomincia ogni giorno, là dove si alza il grido ribelle, dove nasce la rivolta e cresce la consapevolezza che questo non solo non è il migliore dei mondi possibile, ma che non è neppure un mondo possibile. La storia ricomincia ogni volta che ritroviamo i modi e gli strumenti per affermare, insieme e a viso aperto, che non ci avranno mai. La storia ricomincia ogni volta, anche a Livorno, anche in questa tragica fine di maggio.

Massimo Ortalli










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