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Umanità Nova, numero 18 del 23 maggio 2004, Anno 84

Lo Stato premia i suoi servi
Una medaglia non si nega a Nessuno


Medaglia d'oro per il commissario finestra. Ci sono voluti 32 anni ma alla fine è arrivata: lo Stato premia sempre i suoi fedeli servitori.
L'operazione di rimozione storica prosegue incessantemente all'insegna del "volemose bbene". Ecco l'esaltazione di aspetti secondari della resistenza militare al nazismo, a scapito della lotta di popolo al regime; ecco il fiorire di lapidi, monumenti, titolazioni di vie e piazze, mostre e rassegne dedicate a vari personaggi legati alla destra conservatrice e fascista, che nell'esaltare il "genio" italico (il transvolatore Italo Balbo, gli architetti di regime, ecc.) tentano di occultare i misfatti di un governo assassino (c'è stato persino chi ha cancellato P.zza Matteotti!). 

Logica prosecuzione temporale, adattata ovviamente ai tempi, è l'operazione di ristyling che riguarda gli anni della contestazione, basata sul desiderio proclamato di pacificazione, di superamento delle "contrapposizioni ideologiche". Ne è un esempio la vicenda legata al nome di Ramelli, il giovane attivista del Fronte della Gioventù, morto nel 1975 in seguito di un pestaggio, trasformato in mito da Alleanza Nazionale che vuole proporlo ovunque, nelle scuole con targhe, nei giardini pubblici con monumenti, a simbolo di una pacificazione che è in realtà riconoscimento di un proprio - altrimenti improponibile - ruolo di difensore dei valori di libertà.

Anche la medaglia assegnata a Calabresi rientra in questa operazione di "pacificazione". Rimane comunque curioso il fatto che lo Stato abbia dovuto aspettare ben 32 anni per dedicare una medaglia ad un commissario che era stato già omaggiato con un busto marmoreo nel cortile della Questura di Milano nel 1973. La qual cosa ci fa supporre che tale medaglia rappresenti il viatico per la grazia sia a Bompressi che a Sofri, un Sofri, sia detto per inciso, nonostante fosse già precedentemente "pacificato" nel suo ruolo di intellettuale organico del tutto interno alle logiche di governo, doveva pagare per l'impegno profuso, in quegli anni, nella ricerca della verità sull'omicidio di Pino Pinelli.

Se la sentenza del giudice D'Ambrosio (l'eroe di Mani Pulite) che aveva classificato l'assassinio del nostro compagno come frutto di un incredibile malore attivo, aveva contribuito ad aprire la strada all'epoca del compromesso storico, liberando il PCI dalla necessità di fare i conti con questo omicidio di Stato, la medaglia a Calabresi da la spinta al presidente per liberare unilateralmente Sofri, rispondendo così positivamente alle pressanti istanze che provengono dai suoi amici sparsi in molti punti vitali del potere. In sostanza non possiamo che registrare come sulla tomba di Giuseppe Pinelli si stia giocando un ennesimo mercato.

Se questo giornale fosse "Il Vernacoliere", riserverebbe al presidente livornese uno sfottò, magari in relazione ai tanti accidenti che probabilmente gli sono arrivati e che, se fossimo superstiziosi, penseremmo non estranei alla sua caduta. Ma non siamo "Il Vernacoliere". Una cosa però vogliamo rilevare a lui e ai tanti illustri opinionisti che si sono spesi sui meriti del famoso commissario. Come fate a conciliare quella che definite, come Pansa su La Repubblica del 13 maggio, "una morte, oscura, ancora oggi mai chiarita", con l'immagine del commissario che volete trasmettere? A meno di non pensare che sia nell'ordine delle cose che un indagato, trattenuto illegalmente nei locali dell'ufficio politico, alla presenza di un gruppo di poliziotti e carabinieri, sottoposto a pressioni inaudite e torturato psicologicamente, in una situazione di controllo totale, possa morire e che nessuno sia tenuto a risponderne. Anzi possa continuare a calunniarlo ed infamarlo anche dopo, negando ogni riconoscimento e risarcimento ai suoi familiari.

Se è così allora non possiamo che ricevere altre conferme alla nostra critica di fondo all'istituzione statale: al di là del tanto blaterare sulla democrazia, lo Stato si riafferma nel suo ruolo di detentore del potere, e quindi della violenza che ne deriva, garantendo copertura ed impunità ai suoi servitori, in divisa o meno. 

Stiano quindi tranquilli questi ultimi, sia in Italia che in Iraq: una medaglia non si nega a Nessuno.

Spartaco










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