Umanità Nova, numero 18 del 23 maggio 2004, Anno 84
Lo scandalo ipocrita dei detenuti iracheni torturati nel famigerato
carcere di Abu Ghraib segnala simbolicamente la disfatta della
Coalizione dei volenterosi, professionisti del terrore come da anni
sostiene Noam Chomsky, secondo cui il primo stato canaglia sono proprio
gli Usa. Lo sterminio si rivela più difficile del previsto,
specie quando la censura operante draconianamente in tempi di guerra
guerreggiata lascia qualche spiraglio, sia pure manipolabile, in
occasione della fine formale della guerra e l'inizio della fase
politica e di sostegno umanitario, come doveva essere l'operazione
irachena a partire dal 2 maggio 2003.
Invece gli aiuti umanitari in teatro di guerra si sono svelati palesemente per quello che erano: occupazione militare ostile, menzognera sulle ragioni (distruggere le armi di distruzione di massa), mendace sul ruolo del dittatore Saddam (prima utile, poi da eliminare dopo averlo spremuto e corrotto per tanti anni), illusoria sugli obiettivi (stabilire una democrazia esportata nella regione per contagiare il resto dei paesi mediorientali, Israele escluso beninteso…), addirittura controproducente negli effetti desiderati (l'ingresso in gran forza dei seguaci di Al Qaeda, la riunificazione di sunniti e sciiti che non intendono cadere nel tranello della guerra civile fratricida).
Corteggiando adesso a tutto spiano le Nazioni Unite, alla disperata
ricerca di una via di fuga in anno elettorale che sappia di eleganza
retorica senza tuttavia abbandonare il terreno iracheno, perno di una
strategia a lungo termine implicante la costruzione di ben tredici basi
militari Usa in loco che potranno avvicendare quelle saudite da poco in
via di smantellamento, prima del redde rationem con la famiglia dei
Saud, la vicenda delle torture irrompe a disturbare i sonni di una
opinione pubblica già poco incline all'avventura militare
preventiva.
Ormai tutti sappiamo come le norme cartacee del diritto internazionale
vietino le torture ai danni dei prigionieri e detenuti, specie se
questi ultimi nulla hanno a che vedere con la guerra. La Convenzione di
Ginevra, frutto di negoziazioni gestite da studiosi, militanti,
diplomatici e avvocati, quasi mai da statisti, contemplava un quadro
bellico tradizionale, in cui cioè l'uniforme militare era
visibile e impegnava esclusivamente i combattenti, mentre i civili,
già vittime al 50% nel corso della II guerra mondiale, ora
diventati il 90% delle vittime di conflitti bellici, erano tutelati in
quanto estranei alle azioni militari.
Ma che dire allora delle violenze nelle carceri che, abitualmente, ricorsivamente, esemplarmente, sempre diremmo, vengono effettuate in tempi di pace? Perché l'ipocrisia moralistica diffusa lentamente dalla propaganda dei regimi democratici in occasione della divulgazione di evidenze visive alle violenze nelle prigioni irachene gestite dalle potenze occupanti (e l'Italia dal triste passato somalo ne è esente finora solo perché non gestisce direttamente l'ordine nelle carceri, affidato al capolista inglese nell'area di nostra competenza), rinvia come limite costitutivo della violenza intima del potere democratico alle torture in atto nelle galere di tutti i giorni. Non occorre citare i casi: umiliazioni, stupri, intimidazioni, omicidi, suicidi sono all'ordine del giorno in qualunque luogo di detenzione in ogni luogo del pianeta, e su questo versante domestico, le carte dei diritti umani, sempre invocate come arma di denuncia da parte di ispettori che inviano rapporti riservati ai rispettivi governi - come è stato anche il caso dell'Italia negli anni '90 - si dimostrano inerti e inefficaci affinché la criminosità del volto del potere sia affievolita in regimi democratici, nonostante la propaganda ci voglia convincere del contrario.
In Iraq, poi, la sequenza dei tempi è istruttiva a proposito. La campagna di guerra finisce "ufficialmente" il 1 maggio 2003. Già nell'estate il CICR (Comitato Internazionale della Croce Rossa), Amnesty International e Human Rights Watch, che sono abilitate e privilegiate a poter entrare con propri esperti e ispettori nelle carceri (il primo addirittura come organismo istituzionale previsto dalla Convenzione di Ginevra!), rilevano irregolarità e inviano con opportuna discrezione e opacità mediatica rapporti sia ai responsabili delle strutture che ai propri organi dirigenti. È la prassi che comincia a muovere le acque, a cui solitamente la medesima prassi risponde con l'opera di soffocamento, depistaggio e quant'altro le élite statali attuano per non far venire fuori una verità nota a chiunque passi solo qualche ora in galera.
Fatto sta che, benché gli alti vertici in loco e a Washington
e Londra comincino a leggere i rapporti, in autunno per tutta risposta
il Pentagono invia a Baghdad il responsabile di Guantanamo per studiare
la maniera efficace per neutralizzare in via preventiva il
controterrorismo delle fazioni irachene in lotta attraverso lo
strumento della tortura per estorcere notizie utili al conflitto tra la
prima della classe e l'ultimo degli eserciti guerriglieri.
A cavallo di fine 2003 - inizi 2004 i rapporti umanitari arrivano a
conoscenza sicura dei vertici militari e politici, che commissionano un
rapporto ufficiale al generale a stelle e strisce Taguba, il quale
evidentemente non aspira a fare carriera, che stende nero su bianco,
talvolta rafforzando senza usare il linguaggio paludato delle
organizzazioni umanitarie internazionali, quanto noto da sei mesi e da
chissà quante vittime precedenti.
Rinviando una analisi puntuale del rapporto Taguba ad una prossima
occasione, è opportuno anticipare come almeno uno dei quattro
nominativi di civili (Steven Stephanowicz, John Israel, Torin Nelson
and Adel Nakhla della CACI, Californian Analysis Center Inc., ora
trasferita in Virginia), impiegati di una delle due società
private a cui ormai il Pentagono esternalizza funzioni operative
militari - ad esempio la Titan di San Diego, in California, fornisce
tra l'altro i traduttori, alcuni dei quali evidentemente vanno
leggermente oltre la loro specifica funzione per erigersi ad aguzzini
in cerca di informazioni, che poi puntualmente tradurranno con dubbia
professionalità - risulti essere assegnato alla 205 brigata dei
servizi di intelligence militare del V corpo d'armata comandato dal
Col. Thomas Pappas, che in tempi di pace ha base in Germania e in
Italia.
Solo la sapiente regia di uscita di foto, video e testimonianze dirette
riesce a smuovere le acque, come sempre facendo sacrificare qualche
pedina piccola, senza risalire ai vertici politici che, senza ombra
dubbio, non solo erano a conoscenza - il segretario Rumsfeld è
celebre per il suo disprezzo di ogni lacciolo democratico e normativo a
livello internazionale, come recita la filosofia del potere, neocon e
neoprog è indifferente - ma per di più approvavano,
incoraggiavano e regolamentavano minuziosamente, esattamente come fanno
gli israeliani, coperti sino a qualche anno fa dalla loro Corte suprema
che ammise forme di tortura "moderata" per estorcere informazioni utili
a prevenire atti di terrore. Come è palese, l'aggettivo
"moderato" è utilissima foglia di fico per legalizzare e
legittimare quasi tutto, basta che non trapeli all'esterno e non si
arrivi all'irreparabile, ossia la morte del malcapitato.
Già si intravede la strategia di difesa degli imputati, i
quali, temendo di finire per divenire capri espiatori di tutto, hanno
riferito di avere ricevuto istruzioni in tal senso dai propri
superiori, che li hanno altresì invitati perentoriamente a
seguire le metodologie adoperate dagli esperti civili delle imprese
private, come ha rivelato qualche familiare dei militari alla gogna
come pecore nere devianti che infangano l'onore di un esercito che
sembra aver dimenticato My Lai in Vietnam o le stragi in America
centrale negli anni '80, quando a dirigere quel tipo di operazioni
riservate era John Negroponte, attuale rappresentante Usa alle Nazioni
Unite ma in procinto di diventare il 30 giugno ambasciatore in Iraq. Il
che lascia poco pure alla fantasia dietrologica più sfrenata.
Ogni democratico sincero conta sempre nella fiducia verso i propri
rappresentanti eletti e controllati, caso mai, dal terzo potere, la
magistratura. In campo internazionale già non esiste la
quadratura del cerchio come negli ordinamenti interni, che comunque
sappiamo come funzionano rispetto a tali eventi. Inoltre gli Usa non
hanno sottoscritto il trattato istitutivo della Corte penale
internazionale, quindi i loro cittadini-militari all'estero rispondono
solo ed esclusivamente ai tribunali interni, militari per di
più. Inoltre ancora, quei cittadini-civili che sono ingaggiati
per tali usuali compiti sporchi, oltre a godere delle coperture tipiche
dell'intelligence, sono soggetti a sanzioni civili (licenziamento,
sospensione dello stipendio, ammende, ecc.) che lasciano il tempo che
trovano, soprattutto a livello internazionale. Ma ancor di più
una loro eventuale responsabilità non acquista piena valenza
politica, e quindi de-responsabilizza ulteriormente i vertici
politici.
Così funzionano oggi le democrazie criminali.
Salvo Vaccaro