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Umanità Nova, numero 19 del 30 maggio 2004, Anno 84

Sicurezza e garanzie: un colpo di spugna
Sul filo del rasoio



Il mondo del lavoro al tempo della destra berlusconiana al governo non ne aveva ancora viste abbastanza e così sta per arrivare l'ennesima bordata. È infatti in avanzato stato di elaborazione un decreto legislativo di riforma della normativa sulla sicurezza del lavoro: si vuole oggi intervenire sul complesso di disposizioni che tutelano la salute e l'incolumità dei lavoratori. Non basta la precarietà del reddito, con l'introduzione della flessibilità totale contenuta nella legge 30 del 2003 (c.d. legge Biagi) e del relativo decreto di attuazione dell'autunno scorso. Neanche la salute dei prestatori di lavoro deve essere di impaccio alle imprese. Il decreto in questione vuole alleggerire da un lato le norme statali cogenti che costringono i padroni a prevedere tutte una serie di misure onde evitare incidenti sul lavoro e l'insorgere di malattie professionali: al loro posto gran risalto viene dato alle cosiddette buone pratiche imprenditoriali, cioè alla dichiarazione d'intenti da parte del singolo datore di lavoro di mantenere un certo standard di sicurezza; questo impegno si viene a sostituire appunto a norme cogenti e valide per tutti previste dalla legislazione nazionale. Tanto più che essendo prevista una legislazione delle regioni concorrente con quella statale in materia di salute e sicurezza su lavoro, potremmo ritrovarci con una gran varietà di tutele a seconda della regione in cui viviamo. Inoltre, già così le sanzioni in materia non fanno gran paura a nessuno, stante l'ampia possibilità per i datori di lavoro di adeguare i propri impianti dopo eventuali accertamenti ed evitare così sanzioni; in tanti casi è possibile pagare un'oblazione in danaro e chiudere la pendenza con la legge. In futuro il sistema sanzionatorio sarà ancora più alleggerito, sarà tolto potere agli ispettori del lavoro e di fatto si andrà verso una vera e propria depenalizzazione dei reati in danno della salute dei lavoratori.

Ma non basta. Il governo sta scaldando i motori per rimettere mani al progetto di legge n. 848bis, quello, per intenderci, che prevede la riforma dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori. Ci eravamo lasciati con il tentativo berlusconiano, rientrato, di rendere inapplicabile l'art. 18 della legge 300 del 1970 in alcuni casi, come quello dei neoassunti per una durata di tre anni. Nella primavera del 2003 le grandi manifestazioni di lavoratori svoltesi in tutto il paese avevano consigliato a governo e Confindustria di lasciar perdere. Ma vuoi per la contingenza elettorale e il bisogno di raccattare voti tra padroni e padroncini, vuoi perché l'art. 18 è materia che accende gli animi e li distrae dalle altre nefandezze quotidiane dei berluscones, è stata annunciata la volontà del governo di tornare sulla libertà di licenziare ingiustamente. Già perché bisogna ricordare che l'art. 18 dello statuto dei lavoratori è norma che incide sulle conseguenze di un licenziamento dichiarato illegittimo, ordinando la reintegrazione del lavoratore illegittimamente espulso dalla fabbrica; nessuno nel nostro ordinamento ha mai introdotto norme che vietassero di licenziare: è sempre stato sanzionato il licenziamento illegittimo. Invece, oggi si vuole prevedere il pagamento di una somma di danaro, parametrata ad un certo numero di mensilità di retribuzione, al posto della reintegra nel posto di lavoro, qualora il licenziamento venga dichiarato illegittimo, cioè privo di giusta causa o giustificato motivo. L'espulsione di lavoratori scomodi diventa quindi una voce a bilancio.

Tutto si può pagare: dai danni all'ambiente alle malattie professionali agli infortuni sul lavoro ai licenziamenti. Si smantellano diritti sociali uguali per tutti e inderogabili e si introducono meccanismi di risarcimento in danaro, di pagamento di penali e oblazioni: e tra l'altro per nulla salate. Il tutto per dare mano sempre più libera ai padroni di rovinare ambiente e salute, nonché per trattare i lavoratori come risorse umane di cui ci si avvale se come quando e quanto si necessità.

Vale la riflessione di sempre: il governo se lo può permettere perché non trova resistenze sufficienti nel mondo del lavoro e nella società, non perché voglia indebolire una classe forte. I lavoratori sono deboli e quindi la controparte spinge sull'acceleratore. Finché non si ricostituirà una opposizione sociale abbastanza forte, andremo avanti così, indipendentemente dal colore del governo.

Simone Bisacca











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