Umanità Nova, numero 19 del 30 maggio 2004, Anno 84
Tre ordini di questioni hanno di recente riportato l'attenzione generale sui guai della Fiat:
Andando con ordine, dobbiamo inquadrare i recenti avvenimenti nello scenario complessivo, con un po' di cronistoria della fase precedente, quella che va dalla morte dell'Avvocato all'annuncio della malattia del fratello che ne ha preso il posto. Umberto Agnelli ha un linfoma benigno al polmone e dovrà stare qualche tempo lontano dalla prima linea, ma ha speso bene il periodo che va dal febbraio 2003 al maggio 2004. Si può dire che abbia profuso ogni sforzo per ribaltare una situazione disperata e che ci sia, almeno temporaneamente, riuscito. Convinto da almeno 15 anni della necessità di cedere l'auto e concentrarsi su altre attività, Umberto Agnelli ha dovuto rassegnarsi a fare tutto il contrario di quanto desiderava per non rischiare di perdere tutto. In questi 15 mesi ha formato una squadra completamente nuova, con un forte apporto internazionale. Giuseppe Morchio (ex-Pirelli) amministratore delegato del gruppo, Herbert Demel (austriaco ex-Audi/Volkswagen) a.d. di Fiat Auto, Martin Leach (inglese, ex-Ford Europe) a. d. di Maserati (in panchina per prendere la guida della Ferrari). Tutta la squadra di vertice è cambiata e gli uomini della scuderia Fiat si sono sparpagliati in giro per occupare posizioni strategiche: l'ex-braccio destro di Umberto Agnelli all'Ifil (Galateri di Genola) siede oggi alla presidenza di Mediobanca, sulla poltrona che fu di Cuccia, acerrimo nemico storico dell'attuale Presidente Fiat. Luca Cordero di Montezemolo, pupillo ferrarista, va ad assumere la presidenza della Confindustria, in aperta rottura con la gestione precedente che vedeva, nell'asse D'Amato-Berlusconi-Romiti-piccola impresa, un'aperta critica al ruolo e al peso della grande industria nel sindacato dei padroni. Persino Romiti, braccio militare di Mediobanca in Fiat ai tempi del veto ad Umberto, viaggia oggi sulla difensiva, guida un gruppo sull'orlo del crack, sta per perdere la presidenza della Rcs e deve negoziare con le banche per non fallire. Persino il rapporto con i media è migliorato, per non parlare di quelli con il governo.
La Fiat è riuscita ancora una volta a superare il momento peggiore, quando di colpo tutta la sua storia industriale recente era stata messa sotto i riflettori e sottoposta, per la prima volta, ad un'analisi di massa impietosa e massacrante. Il carattere assistenziale dei contributi statali alla Fiat, la sua politica ricattatoria nella scelta dei siti produttivi, il ritardo nel lancio di modelli nuovi, la bassa qualità del prodotto, la scarsità di investimenti su ricerca e sviluppo, la mediocrità del management, la durezza delle relazioni industriali, sono stati tutti squadernati per mesi sui giornali e sulle televisioni. Oggi l'azienda gode di nuovo di buona stampa e chi osa criticarla passa per disfattista ad ogni latitudine politica. Il governo cerca di sfruttare l'apparente ripresa del Lingotto spacciandola come farina del suo sacco.
Certo questo "turnaround" non è stato indolore per la famiglia. Per la prima volta la Fiat è stata costretta a scendere a patti con tutti, a fare scelte drastiche e costose, a convincere i suoi azionisti storici a mettere mano al portafoglio. La nuova gestione ha dovuto chiedere un altro aumento di capitale (il secondo in due anni), ha dovuto vendere Toro e Fiat Avio e concentrarsi sull'attività principale legata all'automotive. Per prevenire il panico e la speculazione legata all'enorme quantità di obbligazioni in scadenza, Fiat ha preparato, sin dalla fine del 2003, circa 7 miliardi di euro di liquidità. Questa cifra enorme deve traghettare il gruppo verso la ripresa della redditività. La domanda attorno a cui tutto ruota è una sola: basterà fino a quando i conti saranno tornati in attivo? Si presume che dopo il rimborso del bond scaduto a marzo e dopo quello che andrà in scadenza a luglio, questa liquidità sarà scesa a 4 miliardi. L'attività ordinaria di Fiat continuerà a bruciare cassa fino alla fine del 2004 (le perdite attese vengono stimate in un range tra 500 milioni e 1 miliardo di euro). L'andamento del gruppo assomiglia a quello di un acrobata che cammina sul filo d'acciaio a 30 metri dal suolo, senza nessuna rete di protezione.
Alla fine dei primi 4 mesi di quest'anno, la quota di Fiat in Europa era leggermente salita, dal 7,2% del 2003 all'attuale 7,7%. Certamente ha influito il successo dei nuovi modelli e soprattutto il buon andamento del mercato dell'auto in Europa (un mercato che ha assorbito nei primi quattro mesi 2004 in tutto 4.900.000 auto vendute nel solo gruppo dei 15, oltre 5.500.000 se teniamo conto di tutta la nuova Europa più l'Efta). Il mercato è cresciuto del 3,1% rispetto all'anno prima Tutti i grandi gruppi del resto sono andati bene, e Fiat resta al sesto posto, in coda a tutti i principali concorrenti (Vw, Psa, Ford, Renault, Gm) e davanti solo a Daimler-Chrysler e Toyota.
Tuttavia questi successi provvisori si sono dimostrati effimeri. Nell'ultimo mese abbiamo assistito, come ricordato, ad un'accelerazione degli eventi.
Gli operai di Melfi hanno inaspettatamente presentato il conto di 10 anni di sfruttamento intensivo. Il loro sciopero ha prodotto pesanti danni materiali e fornito un pessimo esempio agli operai degli altri stabilimenti. La lezione che se ne può trarre è che la fabbrica integrata non è invulnerabile e che dove si producono merci vendibili (e richieste dal mercato) il potere contrattuale è forte ed il conflitto paga. Ma il dato principale è che la lotta di Melfi ha messo in crisi uno dei principali "asset" di Fiat: la disponibilità di una forza lavoro docile e sottomessa, perché sconfitta ripetutamente negli anni nei suoi tentativi di resistere al dispotismo aziendale e alla passività sindacale. Chiunque si proponga un domani di entrare in Fiat come azionista deve tenere conto che la forza lavoro ha dimostrato la capacità di rialzarsi in piedi e ritornare ad essere "classe per sé".
La malattia di Umberto pone dei seri interrogativi sul futuro della continuità dinastica. È indubbio che la famiglia abbia in passato effettuato delle scelte industrialmente sbagliate, ma dettate in qualche modo da ragioni "affettive", o meglio legate al carattere vagamente monarchico della dimensione del suo potere, prima sul territorio sabaudo-piemontese, e poi via via su scala nazionale. Adesso questo tipo di legame si avvia ad essere definitivamente reciso. Il nuovo management non ha "territorio" di riferimento che non sia la competizione su scala globale. Nessuno si illude oggi sulla possibilità di salvare Mirafiori: si tratta di discutere sul come e sul quando lo stabilimento chiuderà e cosa se ne farà dopo. La fabbrica inaugurata nel 1938 diventerà probabilmente la sede predestinata di un gigantesco inceneritore, capace di smaltire i rifiuti di tutta l'area urbana torinese. L'interesse di Fiat per l'energia ed il suo ingresso, datato 2001, in Italenergia-Edison, non sono casuali. La prospettiva di riutilizzo dell'area Mirafiori può quindi perseguire due business fortemente integrati: smaltimento dei rifiuti e produzione di bio-energia. Si tratta di vedere se in questo potenziale cambiamento di pelle del gruppo la famiglia riesca a giocare ancora un ruolo guida, dopo la progressiva scomparsa biologica delle figure di leadership.
Infine il prestito convertendo. Come si ricorderà, nel maggio 2002, le sei principali banche italiane (più due estere) accordarono a Fiat un riscadenziamento del debito attraverso la concessione di un prestito convertibile pari a 3 miliardi di euro, scadenza 3 anni. Questo prestito era legato a precise condizioni, che non si sono verificate. Visto l'andamento assai negativo della gestione aziendale seguito a quell'evento, le banche avranno la possibilità di convertire il prestito in azioni nel settembre 2005, ad un prezzo assai poco conveniente (circa 10 euro), pari al doppio dell'attuale prezzo di mercato dell'azione Fiat. Per le banche, intervenute quando Fiat era a 14,40 euro, si tratta di una forte perdita. Tuttavia Profumo, a.d. Unicredit, ha già cominciato a spesare in bilancio questa perdita futura, dando per scontato l'esercizio dell'opzione. Se le altre banche lo seguissero, salirebbero al 30% del capitale Fiat, relegando l'Ifil a circa il 20% e lasciando GM all'attuale 10%. È evidente che si andrebbe ad una soluzione "spezzatino", con l'Ifil in progressivo disimpegno e le banche alla ricerca di un socio industriale forte, a cui cedere il settore auto.
Si tratta dunque di attendere le mosse di tutti gli attori in campo: Fiat non ha ancora deciso cosa fare con la quota residua che ha in Italenergia (24% dato in pegno a Credit Suisse), né con la possibilità di ricomprarsi il 14% ceduto alle banche nel 2003 (con opzione di riacquisto). La francese Edf sembra intenzionata a comprarsi tutta Italenergia, ma ha bisogno di tempo: ha chiesto di recente una proroga dal 2005 al 2007, per non appesantire troppo i propri conti in una fase di parziale privatizzazione.
È facile quindi che Fiat cerchi nell'immediato una
risoluzione concordata del rapporto con GM, rinunciando alla "put" in
cambio di un miliardo di euro. Sono soldi che possono servire per
tenere duro un paio d'anni in più, risanare l'auto, venderla
bene e buttarsi sull'energia con la liquidità ricavata.
L'industria dell'auto, come già accaduto per tanti altri
comparti, può smettere di parlare italiano entro 2/3 anni.
Per molti stabilimenti italiani comincia l'era dell'archeologia industriale…
Renato Strumia