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Umanità Nova, numero 20 del 6 giugno 2004, Anno 84

Il rapporto annuale di Amnesty
Il "diritto" del più forte



Sono sempre più convinto che chi scrisse che la storia era finita, alla caduta del muro di Berlino, era sostanzialmente un cretino. Un cretino oppure, nella più benevola delle ipotesi, il prezzolato apripista di un pensiero unico che vedeva, nella sacrosanta fine del comunismo sovietico e del duopolio egemonico del pianeta, il definitivo trionfo del capitalismo democratico occidentale. Ossia degli Stati Uniti d'America, dei suoi valori "universali", del suo primato "morale".

A dimostrazione della pericolosità di questa ipotesi presuntuosamente globalizzante sta il rapporto annuale di Amnesty International, presentato in questi giorni. E difatti, a convincerci una volta di più che la storia non è affatto finita, e che non si è verificata l'universale affermazione dei "diritti umani" dopo la fine del dispotismo sovietico, come voleva far credere il politologo nippo-americano di cui sopra, basta leggere alcuni dei dati o delle considerazioni proposte da Amnesty.

"La struttura attuale del diritto internazionale sta subendo l'attacco più duro mai verificatosi [...]. I diritti umani e il diritto internazionale umanitario sono stati oggetto di contestazione diretta in quanto ritenuti incapaci di dare una risposta ai temi della sicurezza [...]. In nome della 'guerra al terrorismo' i governi stanno intaccando i principi e i valori dei diritti umani". Evidentemente, quanno c'è da mena' se mena. E infatti, in mezzo mondo, in nome e per conto della "lotta al terrorismo", si mena e si muore! E mentre quelli che menano sono i soliti noti, quelli che muoiono, lungi dall'essere la loro controparte armata, più o meno fondamentalista o democratica, sono, ovunque, soprattutto i civili. In Cecenia come in Iraq, in Colombia come in Algeria. A Nassirya, ad esempio (e lo veniamo a sapere solo oggi, anche se forse non avevamo bisogno della conferma), durante la famosa "battaglia dei tre ponti" di due mesi orsono, i nostri valorosi portatori di civiltà hanno fatto fuori, più o meno, centocinquanta persone. Ci riesce davvero difficile pensare che fossero tutti pericolosi terroristi!

Insomma, finito il pericolo "rosso", compare prepotentemente il terrorismo internazionale, a fornire a Stati e gruppi di potere gli opportuni pretesti per dare sfogo ai propri insani istinti, senza doversi nascondere dietro l'alibi del diritto internazionale. Le torture, ad esempio. Lo sappiamo, e lo sa anche Amnesty, ci sono sempre state e sempre ci saranno, perché fanno parte della intima natura del potere. Ma una volta, se non altro per dimostrare una cristallina superiorità morale, si cercava di nasconderle come le più intime pudende. Oggi, sempre in nome della "lotta al terrorismo" "alcuni governi hanno introdotto misure che rappresentano una rottura con la loro grande tradizione giuridica" e dietro questo linguaggio diplomatico apparentemente asettico, si vedono Abu Ghraib, Guantanamo, "località segrete sparse per il mondo", e tutte le carceri nelle quali governi feroci e disumani tengono costretti i loro oppositori. E questo non solo in Cina, nello Yemen, nel Congo, in Nepal o in Pakistan, ma anche nella civilissima Inghilterra, la madre riconosciuta dei diritti civili, dove sono detenute numerose persone in base a una legge che "consente la detenzione indefinita sulla base di prove segrete di cittadini stranieri che non possono essere deportati". Insomma, non si sta parlando di arbitrii, ma di decisioni prese in quei templi della democrazia e della libertà che sono i parlamenti occidentali, impegnati, per il bene dei loro sudditi, a ovviare al fatto che "le proprie norme in materia di acquisizione delle prove sono troppo vincolanti per consentire procedimenti giudiziari efficaci". E allora al diavolo le prove, oppure... oppure c'è la tortura.

Questa benedetta "lotta al terrorismo" rappresenta anche un ottimo affare, e non poteva essere diversamente, vista la gentaglia con cui abbiamo a che fare. In suo nome, infatti "molti paesi hanno allentato i controlli sulle esportazioni di armi verso quei governi noti per la spaventosa situazione dei diritti umani in cui versano i loro paesi" e di conseguenza "i paesi in via di sviluppo spendono ogni anno circa 22 miliardi di dollari in armi, mentre sarebbero sufficienti 10 miliardi di dollari l'anno per ottenere una scolarizzazione universale di base". Proprio come Gœring, che quando sentiva la parola cultura, metteva mano alla fondina della pistola!

Come anarchici, siamo perfettamente consapevoli dei limiti di un'organizzazione che vorrebbe poter riformare, dall'interno, l'irriformabile, così come siamo persuasi della involontaria ingenuità di questi periodici richiami etici a chi con l'etica ci si risuolerebbe le scarpe. Siamo altrettanto consapevoli, però, che i rapporti di Amnesty hanno un indubitabile valore, sia perché rappresentano un inconfutabile richiamo alle responsabilità degli stati, sia perché, grazie alla serietà, all'imparzialità e all'onestà di chi lavora con Amnesty, la messe di dati e di denuncie che ci viene offerta diviene un insostituibile patrimonio di conoscenze per chiunque intenda combattere contro il potere. E, infatti, il Rapporto 2004 di Amnesty, che tra l'altro affronta anche le situazioni paese per paese (e per l'Italia non possono mancare le denuncie sui Cpt, sul mancato diritto d'asilo, sui processi per i fatti di Genova e bazzecole simili), contiene altre considerazioni sulle limitazioni alle libertà dei singoli e dei popoli che tutti i governi si sentono sempre più legittimati a mettere in atto, in nome della sicurezza interna. Una serie impressionante di misure più o meno violente e repressive, strumentalmente ispirate al provvidenziale concetto della autodifesa preventiva. Nel cui nome si potrebbe arrivare "a un'escalation dei conflitti internazionali in quanto i governi, seguendo il precedente della guerra all'Iraq guidata dagli Stati Uniti, si sentono meno vincolati e quindi più legittimati a combattere preventivamente le minacce che ritengono provenire da altri Stati".
Se questa è la fine della storia...

Massimo Ortalli












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