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Umanità Nova, numero 20 del 6 giugno 2004, Anno 84

L'impero, i vassalli, i servi, gli schiavi
L'americonazismo


Quasi nessuno ha notato e criticato la grave irritualità commessa nel corso del dibattito alla Camera ed al Senato, sulla questione del ritiro o meno delle truppe italiane dall'Iraq, quando Berlusconi ha definito gli Stati Uniti la "più grande democrazia del mondo". Che un Presidente del Consiglio, nell'ambito delle sue funzioni, nella più ufficiale delle occasioni, affermi che un paese straniero, per quanto alleato, detenga un primato in fatto di democrazia, significa formalizzare una condizione di vassallaggio dell'Italia nei confronti di quest'altro paese. In più di cinquanta anni di subordinazione dell'Italia agli Stati Uniti, ciò non era mai accaduto.

Il punto è che il razzismo anti-arabo ed anti-islamico costituisce soltanto un'esca, mentre il vero obiettivo dei filoamericani è di sancire un'inferiorità razziale degli italiani. Gli ultimi due libri della Fallaci, esibiscono il paradigma di questo razzismo, in cui agli italiani viene offerto di partecipare alla superiorità americana diventando loro servitori e sicari. In altre parole, la razza superiore può estendere la sua superiorità ad altri gruppi etnici attraverso l'emanazione e la cooptazione, esattamente come veniva teorizzato dai croati Ustascia a proposito del loro rapporto di subordinazione nei confronti dei tedeschi. Del resto, in questa visione, gli stessi americani non sono concepiti come una razza tout court, ma come una popolazione eterogenea che partecipa della grandezza della élite bianca protestante, fondatrice dell'America.

Insomma, diventare degli ustascia degli americani, è oggi il massimo delle aspirazioni che viene offerto agli italiani.

L'elettoralismo determina l'assuefazione ad un opinionismo astratto e fine a se stesso, fatto di espressioni di gradimento e sgradimento, così che non ci si rende conto dei veri scopi di una certa comunicazione.

Un anno fa si chiedeva ai pacifisti di esprimersi sul fatto di essere contenti o meno della fine della guerra in Iraq; una discussione fine a se stessa, che faceva da diversivo rispetto al vero problema: Bush proclamava la fine della guerra, ma non traeva le conseguenze legali, cioè la fissazione di tempi certi per la liberazione dei prigionieri iracheni.

Allo stesso modo, in questi giorni si è fatta una discussione sui livelli di indignazione da assegnare rispettivamente alle torture americane o alle decapitazioni presunte islamiche. Ancora una volta ciò fa da diversivo rispetto al vero problema: se i prigionieri iracheni avessero uno stato giuridico certo, allora sarebbero sotto il controllo di organismi internazionali, e quindi certe cose non sarebbero potute accadere.

Il punto è che oggi gli Usa, in varie parti del mondo, tengono sotto sequestro varie migliaia di persone senza riconoscere loro alcuno stato giuridico, e quindi nessuna garanzia giuridica. Il precedente storico di questo fatto è costituito dalla condizione degli ebrei e degli zingari nei campi di concentramento nazisti. 

Comidad - Napoli












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