Umanità Nova, numero 21 del 13 giugno 2004, Anno 84
Quanto è accaduto in Fiat nei tre giorni che sono seguiti alla
morte di Umberto Agnelli rappresenta una forte accelerazione del quadro
complessivo. Cercheremo di sintetizzare la valanga di informazioni che,
in modo assolutamente straordinario, è stata scaricata di botto
sui "mercati", e di segnalare anche i più rilevanti elementi di
novità che sono emersi dal nuovo scenario. Come sappiamo tutti,
i giornali hanno bisogno di vendere, e ne inventano di tutti i colori
per fare titoli esagerati o spacciare panzane per notizie riservate.
Tuttavia chi investe dei soldi lo fa, in genere, a ragion veduta, e i
volumi transitati sul titolo Fiat nei primi quattro giorni di giugno
qualcosa significano. Il titolo è salito di oltre il 20% e sono
passati di mano azioni per circa il 38% del capitale Fiat. In cifre, si
tratta di oltre 2 miliardi di euro, vale a dire 4.000 miliardi di lire.
Chi muove questo denaro, e lo mette su un singolo titolo, lo fa in
genere per due ragioni: 1) perché ha delle informazioni; 2)
perché ha una strategia. È vero che dall'inizio dell'anno
il titolo Fiat era sceso del 14% contro una media di settore positiva
(+34%). Ma la sottovalutazione borsistica di Fiat non giustifica di per
sé questi volumi. Vediamo dunque di isolare le informazioni
più importanti che ci hanno fornito.
Nell'intervista a Repubblica del 2 giugno, Gianluigi Gabetti racconta ad Ezio Mauro i retroscena del siluramento di Morchio. L'ex amministratore delegato aveva in sostanza cercato di ottenere anche la presidenza, approfittando del vuoto di potere seguito all'imprevedibile scomparsa di Umberto, che ha lasciato un'azienda fragile senza indicare alcun successore. Il rifiuto della famiglia di concedere ad un solo uomo (peraltro neanche organico al clan) così tanto potere, è stato giustificato formalmente con il rispetto della nuova legge sul diritto societario, che prevede lo sdoppiamento delle due cariche di Presidente e Amministratore delegato. Tuttavia è evidente come si sia combattuta una dura lotta di potere, senza esclusione di colpi, ed è verosimile la ricostruzione di un Morchio sponsorizzato dal governo (Tremonti soprattutto) per prendere il comando di una Fiat da trasformare in "public company" e da sottrarre progressivamente al controllo degli Agnelli. Una Fiat schiacciata sul governo di centro-destra, da usare anche contro la nuova presidenza della Confindustria, da 24 ore in mano a Luca Cordero di Montezemolo: un modo come un altro per tagliare i rifornimenti al nuovo capo dei padroni, troppo piacione e poco governativo. Altre ipotesi hanno visto Morchio come quinta colonna di scalatori sconosciuti, identificati poi in Colaninno, investitori esteri e così via.
Sia come sia, la famiglia ha inteso battere un colpo, ribadendo la prerogativa di esprimere il Presidente, come rappresentante fisico di tutto il Cda, che dialoga e si coordina con l'Amministratore delegato, responsabile della gestione. In sostanza, era il messaggio, fino a prova contraria i padroni siamo noi. Ovviamente è seguita una catena di decisioni coerenti con questa scelta, che ha implicato il fatto di mettere ai posti di comando persone di fiducia (meglio se competenti), disponibili a guidare una transizione verso porti più sicuri, garantendo alla proprietà, e quindi alla famiglia allargata, un ruolo anche per il futuro. Il futuro si chiama Jaki Elkann (il Vice-presidente), suo fratello Lapo, poi Andrea Agnelli (figlio di Umberto), a sua volta cooptato nel Cda. Lo spilungone nipote dell'Avvocato avrà due "tutor": Montezemolo per la parte industriale, Gabetti per la parte finanziaria.
La prima mossa di Montezemolo è stata quella di nominare Sergio Marchionne nuovo amministratore delegato di Fiat. Marchionne è un manager italo canadese, che non ha mai lavorato in Italia. Proviene dalla svizzera Sgs, un'azienda del gruppo specializzata nella certificazione industriale di qualità. È famoso per avere fatto crescere il titolo in borsa da 250 a 784 franchi in meno di un anno, raddoppiando dal 6 al 12% il margine operativo, attraverso una feroce politica di taglio dei costi e dei posti di lavoro. Le sue prime dichiarazioni sono state che la "Fiat è da rifare" e che "l'azienda deve andare in officina". Il suo programma di lavoro mi sembra molto chiaro, seppur abbia tenuto a sottolineare che non è sufficiente il taglio dei costi e ribadito la necessità di riposizionare Fiat su una gamma più alta di prodotto. Questa intenzione del resto è stata espressa da tutti e quattro (quattro!) gli amministratori delegati Fiat degli ultimi 2 anni, ma in testa alle classifiche di vendita vediamo sempre Punto, Panda e Seicento, mentre faticano parecchio Ypsilon, Idea e Stilo, per non parlare di Thesis o altri modelli (nei primi mesi 2004 è calata persino la quota Alfa).
In realtà la focalizzazione sul settore auto richiederà probabilmente scelte drastiche su vari piani. Dopo Avio e Toro, i grandi fondi esteri (che sono tornati a comprare Fiat in questi giorni, con molti consigli "buy"), si aspettano la cessione di Iveco (alla tedesca Man) e di parte di Cnh (es. le macchine da costruzione a Volvo). Poi c'è l'attesa sul divorzio da GM. Montezemolo viene considerato un buon negoziatore e può portare a casa l'atteso miliardo di euro dalla vendita della "put" con GM. A quel punto, l'assetto di Fiat auto può essere messo in movimento, verso quel polo del lusso europeo da costruire con Volkswagen (Ferrari-Maserati-Alfa per Fiat, Audi per VW). Montezemolo ne parlava già nel 2001.
Sulle alleanze industriali, si possono a quel punto aprire nuove strade: i più accreditati parlano di Toyota, che oltre ad avere uno stabilimento in Francia, a Valenciennes, da dove escono frotte di Yaris, potrebbe essere interessata a radicarsi anche in Italia, comprando stabilimenti e fette di mercato ed anche il know-how per battere la Honda sulle auto di fascia alta (sfruttando l'esperienza Lancia ed Alfa Romeo)..
Cosa pensano le banche della nuova gestione? Tutto il bene possibile, ovviamente, se tutto ciò fa crescere il titolo in borsa. Le banche hanno messo soldi freschi in Fiat nel 2002, con il prestito convertendo da 3 miliardi di euro, sull'ipotesi che alla fine l'auto andasse alla General Motors. Di fronte al disimpegno degli americani, alle banche non resta che guardare ad altre soluzioni. Convertire il prestito in azioni significherà per le banche perdere molto (oggi come oggi, almeno 1,2 miliardi di euro), a meno che il prezzo dell'azione Fiat si avvicini ai 14,40 euro del maggio 2002 (oggi vale 5/6 euro). Una squadra di manager disponibili ad accelerare il piano Morchio può portare risultati notevoli in tempi più brevi e rendere meno doloroso il sacrificio finale, previsto nel settembre del 2005. Con la conversione integrale del prestito in azioni Fiat, le banche salirebbero al 27% e l'Ifil scenderebbe al 22%. Fiat sarebbe più forte sul piano patrimoniale, avrebbe meno debiti e meno interessi da pagare, le banche sarebbero comunque disunite e incapaci di esprimere una gestione industriale. Quindi potrebbe continuare a comandare la famiglia. Soprattutto se, come si è ipotizzato, dietro agli acquisti forsennati di questi giorni, ci fosse qualche fiduciaria degli Agnelli, che a questi prezzi potrebbero rosicchiare un altro 10% di quote con "soli" 570 milioni di euro, ipotecando con pochi soldi il controllo del gruppo anche per il futuro.
Il futuro della Fiat non si divide dunque da quello degli Agnelli, almeno non ora e non qui. È probabile che una parte della famiglia scalpiti per sganciarsi, ma le modalità di questo divorzio saranno gestite con grande inventiva finanziaria e legale, la stessa che portò Gabetti a creare oltre 20 anni fa la Giovanni Agnelli & C. sapaz, una scatola che rappresenta il vertice della piramide finanziaria che consente alla famiglia di controllare il gruppo tramite Ifi e Ifil. Come si sa, il tribunale di Torino autorizzò questo strano mostro che consente di vendere azioni solo ai consanguinei o di permetterne comunque il diritto di prelazione in caso di scarso gradimento per i nuovi entrati. Quel modello, imitato poi da tutte le dinastie industriali italiane, imporrà probabilmente operazioni straordinarie (fusione Sapaz-Ifi, oppure opa su Ifi Privilegio, oppure fusione Ifi-Ifil), ma finalizzate a mantenere il controllo del gruppo in mano ai rami della famiglia che vorranno restare dentro Fiat.
Dobbiamo dunque pensare, ancora per qualche anno, ad una presa
"forte" degli Agnelli su Fiat. I big dell'auto che hanno "focalizzato"
hanno vinto: Bmw, Porsche, Peugeot sono storie di successo. Il loro
esempio può essere imitato, per qualche tempo, anche dalla
casata di Villar Perosa.
Restano fermi i dubbi sull'impegno di lungo periodo della Fiat sul
settore auto: la gestione vincente di Ifil di Umberto Agnelli e Gabetti
è stata quella della rotazione degli investimenti e di
attività da comprare e valorizzare in un lasso ragionevole di
tempo. Le cartiere Worms, la Rinascente, la Exor sono esempi in tal
senso. L'impegno in Italenergia fa ancora parte dell'orizzonte
strategico di Fiat e resta sul tavolo del negoziato con la francese
Edf. La proroga al 2007 dei complessi accordi che regolano la
sistemazione azionaria di Italenergia potrebbe funzionare in tal senso:
prendere tempo significa chiarirsi le idee su come va il mercato, il
titolo Fiat, la sua possibile vendita.
Industriali loro malgrado, gli Agnelli vogliono di sicuro avere un futuro come finanzieri. La loro macchina da business deve ritornare a macinare utili, non distruggere 7 miliardi di euro di capitale come è successo negli ultimi tre anni. Non credo che si preparino tempi migliori per gli operai e i dipendenti Fiat.
Renato Strumia