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Umanità Nova, numero 22 del 20 giugno 2004, Anno 84

La risoluzione 1546 sull'Iraq
ONU benedice l'occupazione



La Risoluzione 1546 dello scorso 8 giugno, presentata dopo quattro stesure da Romania, Regno Unito e Usa, è stata adottata all'unanimità dai 15 membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Essa riformula lo status internazionale del conflitto iracheno, legandolo strettamente alle norme del diritto internazionale e del diritto internazionale umanitario, pur senza sciogliere l'intricata pretesa americana di non considerare i terroristi come soggetti combattenti ai quali vanno applicate le garanzie previste dalle Convenzione di Ginevra (e figuriamoci ai civili non combattenti sicuri…).

I punti salienti della Risoluzione concernono la presa d'atto della formazione di un Governo ad interim che sostituisce il Consiglio iracheno che aveva emanato la bozza di Costituzione che dovrà reggere la società irachena. Tale importante testo non viene nemmeno citato, e ciò ha attirato le critiche curde, che vi leggono una diminuzione della propria autonomia in un regime quasi federale: la 1546 non entra nel merito delle suddivisione futura della forma di regime, ma esplicita nero su bianco l'integrità territoriale della sovranità irachena. Del resto, la Risoluzione approva la formazione del governo ma non la sua configurazione, tanto per non scontentare i curdi e gli alleati europei, anche se la prima vittima di tale formulazione ambigua è proprio l'Onu e il suo segretario generale, nella figura del suo rappresentante speciale che si è visto scavalcato dagli Usa venendo visti vanificati i suoi sforzi di mediazione imparziale (ai sensi del costume diplomatico). Al momento in cui scrivo, infatti, funzionari amici dell'ex ministro degli esteri algerino Brahimi danno per imminenti le sue dimissioni dall'incarico, che poteva lanciarlo verso la successione a Kofi Annan avendo già dimostrato perizia in Afganistan senza scontentare nessuno. Stavolta la posta è talmente alta che gli Usa non hanno esitato a sacrificarlo pur di indicare personalità a loro affini (se non prezzolate...). 

Il Governo ad interim che prenderà il potere sovrano al 30 giugno 2004 avrà pieni poteri sul territorio in condominio con la Forza multinazionale di combattimento che da potenza occupante viene legittimata quale esercito internazionale di sostegno alla difficile transizione irachena, e come tale richiesta a mo' di finzione dallo stesso governo presieduto da Ayad Allawi, lo sciita esule a libro paga della Cia. Il Governo chiede la prosecuzione dell'occupazione militare coordinando le proprie forze di sicurezza, tutte da costruire, con gli eserciti presenti, cui potranno affiancare i propri militari per operazioni di polizia interna e di lotta al terrorismo internazionale. Tutto ciò potrà essere revocato non appena lo richiederà il governo ad interim, o almeno riesaminato dodici mesi dopo l'approvazione della Risoluzione. Ma siccome la Forza multinazionale dovrà anche provvedere alla sicurezza del personale delle Nazioni unite incaricato di appoggiare gli sforzi governativi per l'implementazione di tutti i passaggi preliminari (non solo sicuritari) verso le elezioni generali parlamentari da tenersi al più tardi entro il 31 gennaio 2005 (il nuovo parlamento varerà un reale governo eletto e preparerà la futura Costituzione con il futuro assetto di governo entro la fine del 2005), è altamente probabile che le potenze occupanti, magicamente trasformate dalla 1546, restino quanto meno a tutto il 2005.

Il Governo ad interim torna in possesso dei magri (almeno per ora) proventi del programma Onu Oil-for-Food che gli Usa si erano accaparrati all'indomani dell'occupazione, ma solo entro i successivi dodici mesi potrà disporre liberamente dei fondi provenienti dalla cooperazione internazionale nell'ambito dei programmi di sostegno varati dall'Onu e dalle Conferenze internazionali, sul modello afgano, che si dovessero tenere.

La Risoluzione infine integra lo scambio di lettere tra il Premier Allawi e Colin Powell (invitando la Coalizione dei volenterosi a proseguire generosamente il loro impegno in Iraq) e tra Colin Powell e il Presidente di turno dell'Assemblea Generale dell'Onu in cui gli Usa garantiscono protezione alla missione Onu (Unami) in Iraq militarmente ma anche economicamente (anche se il testo estende tale contribuzione finanziaria ad ogni paese membro delle nazioni Unite).
La Risoluzione non inquadra la Forza multinazionale di combattimento sotto l'egida del Cap. VII della Carta Onu, il che significa che non si tratta di caschi blu, né di un mandato ex novo ad una coalizione multinazionale che riceve appunto un mandato politico, bensì alla trasformazione e rilegittimazione di una potenza militare già esistente che si autoimpegna a coordinarsi con l'Onu e con il governo provvisorio iracheno. Si tratta del celebre compromesso tra chi voleva mano libera unilaterale e chi voleva trasformare totalmente le truppe occupanti affidandone il comando ad una struttura militare diversa da quelle finora presenti, ossa togliendo il comando al Pentagono ed alla Casa bianca.

Tale precedente della 1546 indebolisce la già non florida immagine dell'Onu: la legittimazione a posteriori di una occupazione militare sarà senza dubbio invocata in futuro, magari facendola passare come una clamorosa marcia indietro del governo Usa che ritorna nell'alveo del multilateralismo. Invero, chi rompe paga ma i cocci sono degli altri, ossia delle Nazioni Unite, che potranno tenere sotto controllo gli Usa solo per quanto concerne la sicurezza del personale Onu, bersaglio lo scorso anno di un formidabile attacco che costò la vita all'Inviato speciale di Annan, il brasiliano Collor de Mello, con recriminazioni verso la mancata tutela delle forze di occupazione.

Con la 1546 va via Bremer e arriva John Negroponte come ambasciatore Usa presso il governo ad interim, già noto per i suoi perversi servizi in America centrale nei famigerati anni '80. Nulla cambia sul campo, anzi la sicurezza garantita dalle Forze multinazionali contro i terroristi stranieri, come precisa Allawi, dovrebbe sottrarre lo sciita radicale Sadr dalle mire delle potenze occupanti per rientrare nell'ambito di una dialettica interna al paese, sia pure a furia di tritolo e kalashnikov. La cornice normativa internazionale resta una patina appiccicata sopra lo scontro sempre più feroce, ma probabilmente la metamorfosi dello status delle forze di occupazione potrà consentire elegantemente agli Usa di rimpiazzare qualche mela marcia troppo ossequiosa delle direttive del Pentagono per sostituire qualche generale da sacrificare sull'altare delle Convenzioni di Ginevra per i fatti di Abu Ghraib (a cominciare dal comandante in capo in Iraq, il gen Sanchez).

Non credo che la 1546 muterà nulla in fatto di unilateralismo americano, propugnato a più riprese dall'attuale amministrazione, che del resto è una scorciatoia di tempo rispetto all'arrogante multilateralismo dell'amministrazione democratica di Clinton (Kosovo docet). L'Onu ne esce a traino di uno stato dei fatti che consente ai paesi recalcitranti europei di sanare una lacerazione con il partner d'oltre oceano, in cambio di non si sa che cosa. La sinistra moderata italiana ritorna ostaggio di una visione liberale delle relazioni internazionali che ha fatto rientrare dalla porta principale lo strumento militare della guerra (preventiva o meno poco importa in tal momento) solennemente buttato fuori all'indomani del secondo conflitto mondiale. Incapace di vedere un'alternativa, si consegna ai realisti sinistri di ogni epoca e su ogni latitudine. La sinistra un tempo extraparlamentare, un po' meno moderata, ritorna a giocare il ruolo di ala sinistra, contribuendo a tenere un gioco dialettico all'interno di un Ulivo allargato proteso a cacciare Berlusconi, il quale usa spregiudicatamente ogni strumento di potere, infischiandosene di una deontologia governativa, timoroso di fare la fine di Aznar o di perdere clamorosamente consensi come Blair.

Infatti, anche sul piano elettorale, per i placidi europei, è tutto da dimostrare che la guerra paghi in termini di voti. Del resto, negli Usa, mai la guerra è argomento elettorale (i consigliori di Bush cercano sempre di orientare le conferenze stampe su problemi interni al paese per far dipendere l'esito delle elezioni di novembre da questioni economiche e sociali, piuttosto che dai temi militari internazionali; e poi l'affluenza alle urne negli Usa è ridotta rispetto a quella della piattaforma continentale, anche se Blair ha perso con una affluenza di poco più del 40% degli elettori).

Sul medio e lungo periodo, in conclusione, la Risoluzione 1546, ambigua quanto giusto per poter segnare un punto a ciascuna delle parti in campo, corre seriamente il rischio di fare la fine di tante altre risoluzione dalle pie intenzioni, con l'aggravante di penalizzare oltremodo la popolazione irachena, vittima ipocrita del cinismo diplomatico, degli equilibri interstatali, delle strategie di potere legali e illecite che si rinsaldano le une con le altre sulla pelle di uomini e donne, bambini e anziani.

Salvo Vaccaro













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