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Umanità Nova, numero 23 del 27 giugno 2004, Anno 84

Afganistan: vincere la guerra, perdere la pace
Roccaforte inespugnabile



Vieni, facciamo ancora la pace: c'insegue la morte…
(Antico canto pashtun)


Il 15 giugno persino il comando Nato a Kabul è stato colpito. Per cercare di dissimulare la realtà di un altro conflitto aperto, la definiscono "guerra a bassa intensità"; la verità è che anche in Afghanistan, la macchina militare e i progetti di dominio degli Usa e dei loro alleati possono dirsi prigionieri delle proprie mire imperialiste.

Tanto per comprendere la situazione attuale, basta considerare i principali fatti avvenuti sul piano militare nello scorso mese di maggio, tenendo presente che si tratta comunque di spiragli d'informazione.

1 maggio: azione della guerriglia nell'Uruzgan, morto un marine Usa.

3 maggio: in risposta ad un attacco ad un convoglio, nel quale erano rimasti feriti due soldati, raid aereo Usa nei dintorni di Gardez, muoiono per "fuoco amico" tre poliziotti afgani e un civile.

5 maggio. Uccisi due dipendenti della società inglese Global Risk nel distretto di Mandol.

11 maggio: attacco di guerriglieri contro pattuglia delle forze governative nei pressi di Shshjoy, due soldati afgani morti; ferito a Kabul un militare tedesco del contingente multinazionale Isaf.

13 maggio: attacco contro pattuglia Usa a Khakrez, cinque ribelli uccisi.

16 maggio: attacco contro convoglio nei pressi di Grishk, morto un militare Usa (l'86° dall'inizio dell'occupazione) e due commilitoni feriti.

21 maggio. In risposta ad un attacco contro veicoli militari Usa tra Tani e Gurbuz, un elicottero colpisce una casa, uccidendo tre civili.

22 maggio: Attaccato da miliziani in moto un convoglio a Waza Khwa, morto un soldato governativo.

23 maggio: incursione talebana a Tirin Kot, due morti (si ignora se civili o militari governativi).

24 maggio: attacco con razzi contro convoglio dell'Isaf a Kabul, colpito un veicolo, deceduto un soldato norvegese ed un altro ferito.

26 maggio: Bombardamento Usa nella zona di Spin Boldak (nella provincia di Kandahar), morti 28 sospetti guerriglieri talebani.

27 maggio: Scontro a fuoco nei pressi di Skin (Waziristan), feriti due soldati Usa; attacco con razzi e artiglieria pesante contro pattuglia governativa nei pressi di Mazgadeti (provincia orientale di Paktia) e risposta con aerei ed elicotteri, distrutti due veicoli delle forze alleate, morti 6 militari e 4 ribelli.

30 maggio: Attacco nella provincia di Zabul, morti 4 soldati Usa; 4 attacchi simultanei contro postazioni militari e strutture governative, si parla di almeno 11 soldati morti e 28 feriti.

Cronache di oggi che sembrano provenire da un passato lontano.

Porta dell'Asia centrale, bastione orientale dell'impero di Alessandro, frontiera del mondo islamico, l'Afghanistan è infatti sempre stato al centro degli interessi e dei disegni espansionistici dei potenti della terra. Per oltre due millenni, migrazioni di popoli, invasioni, eserciti hanno attraversato questi territori. Gli inglesi, che agli inizi del XIX secolo si avviavano a completare la conquista della penisola indiana, presto si resero conto che la sicurezza delle nuove colonie dipendeva dal controllo della "roccaforte afgana". Questa constatazione e la necessità di contenere l'espansionismo della Russia zarista in quella regione d'importanza strategica causarono una grave crisi internazionale che vide come oggi - ma anche come ieri, negli anni '80 con la disastrosa occupazione sovietica - truppe straniere scontrarsi con la resistenza dei guerrieri pashtun, ritenuti già da Erodoto come "i più bellicosi dell'impero di Dario".

La guerra, iniziata nel marzo 1839, si concluse nell'aprile 1881, quando le ultime truppe britanniche lasciarono Kandahar, dopo aver subito una gravissima sconfitta a Maiwand.

I combattenti waziri avrebbero cantato: "…le donne inglesi sono terrorizzate a Londra".

Oggi la presenza dei contingenti militari stranieri (6.500 soldati dell'Isaf, compresi circa 500 italiani, a presidio di Kabul; circa 15.000 dei reparti speciali Usa, nell'ambito della missione Enduring Freedom), possono solo tentare di garantire l'incolumità del governo presieduto da Hamid Karzai.

In pratica non ha senso parlare di Stato afgano, dato che il potere del presidente imposto e protetto dagli Stati Uniti è limitato a Kabul. A sud, alcune regioni intorno a Kandahar, sono tornate sotto il controllo talebano, mentre a nord i signori della guerra si combattono tra loro per il possesso dei territori e della produzione di oppio, ma sono ormai da tempo in conflitto anche con le forze governative di cui disconoscono l'autorità. La fazione più potente è quella dei tagiki comandati da Mohammed Qasim Fahim, ministro della difesa di Karzai ma anche suo principale avversario politico.

I comandanti mujaheddin, oltre che sui proventi del commercio dell'oppio, sono sostenuti "politicamente" da Russia, India, Iran ed ex-repubbliche sovietiche, tutti interessati ai gasdotti e ai corridoi commerciali, stradali e ferroviari.

La debolezza del governo Karzai è del tutto evidente come dimostra il rinvio delle elezioni prima da giugno a settembre e quindi al gennaio 2005, sotto la tutela armata degli Usa e dei loro alleati, italiani compresi. Intanto vanno avanti le neanche tanto sotterranee mediazioni con settori talebani e le famiglie tribali pashtun; d'altra parte i talebani possono contare sull'appoggio dei servizi segreti pakistani, l'ISI, e sulle basi nell'area pashtun a cavallo tra il confine pakistano e quello afgano.

Ma di tutto questo, ben di rado i media rendono conto, se non per riferire degli spostamenti di truppe tra Iraq e Afghanistan: i due fronti di cui sono ostaggio gli strateghi della guerra permanente.

U.F.














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