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Umanità Nova, numero 23 del 27 giugno 2004, Anno 84

Carceri USA
L'orrore quotidiano



Dopo la divulgazione delle foto delle torture nel carcere di Abu Ghraib in Iraq, i media di regime hanno pensato bene d'impegnarsi nell'improbabile tentativo di convincere il loro pubblico che quello che era successo nella prigione irachena era solo l'opera di pochi militari mentalmente deviati ("qualche imbecille", come ripetono all'unisono da settimane Vittorio Feltri e Giuliano Ferrara), mentre molte anime belle dichiaravano il proprio scandalo per quello che avevano visto, ma confermavano la propria fiducia nella "grande democrazia americana" al motto di "comunque, queste cose in carcere degli Stati Uniti non sarebbero potute succedere" (Ciccio Rutelli dixit).

In realtà, negli Stati uniti alcuni mesi fa avevano suscitato scalpore le affermazioni della senatrice californiana Diane Feinstein che, dopo aver visto le prigioni all'aperto di Guantanamo, aveva dichiarato: le prigioni US sono peggiori! Molti attivisti per i diritti civili avevano sostenuto le ragioni della senatrice. "Preferirei stare a Guantanamo che in un penitenziario statale nell'Illinois" ha detto Doug Cassel, direttore del Centro Internazionale per i Diritti Umani della Northwestern University, "Nelle prigioni US si corrono grossi rischi di stupro, si deve necessariamente far parte di una gang o pagarsi la protezione per evitare di esser ammazzati o brutalizzati".

Queste affermazioni possono sembrare un po' forti, ma in realtà negli ultimi decenni il sistema carcerario statunitense è cresciuto come un vero e proprio cancro sociale che ha divorato le vite di milioni di persone. Alla fine del 2002, il totale dei reclusi alla fine era di 2 milioni, 166.000 statunitensi.

Questo significa che negli Stati Uniti ci sono 766 carcerati su 100.000 abitanti (in Giappone nel 2000 vi erano solo 47 detenuti per 100.000 abitanti; in Norvegia 56; in Francia 80; in Italia 94; in Germania 97. Solo la Russia postmarxista ha cifre paragonabili: 730 detenuti ogni 100.000 abitanti).

L'incremento della popolazione carceraria è un fenomeno iniziato con l'era Reagan (nel 1980 i detenuti erano solo 318mila), ma che non si è mai interrotto (è stato nel 1995, sotto la Presidenza Clinton, la spesa pubblica del Governo Usa per costruire prigioni ha scavalcato per la prima volta quella per le Università). Ai detenuti bisogna poi aggiungere chi è in libertà condizionata o per buona condotta, 6,9 milioni di persone alla fine del 2002. In totale, negli Stati uniti il 2,5% della popolazioni è in prigione o sotto sorveglianza giudiziaria. Poiché la stragrande maggioranza dei detenuti è di sesso maschile, le persone sotto controllo giudiziario rappresentano il 5% dei maschi. Se si escludono i minori di 14 anni e gli anziani ultra 65-enni, questa percentuale sale al 7,6% (un maschio adulto su 13). 

Quest'esplosione del numero di detenuti non corrisponde peraltro a un significativo aumento della criminalità. Il numero di detenuti tra il 1982 e il 2001 è più che quintuplicato, ma gli arresti sono cresciuti solo dell'11,4% (passando da 12 milioni nel 1982 a 13,7 milioni nel 2001) e il numero dei casi discussi in tribunale è passato da 86 milioni nel 1984 a 92,8 milioni nel 2001 con una crescita solo del 7%. Mentre dunque non si registrano né un aumento del crimine né un maggiore controllo della polizia, vi è un diffuso e metodico inasprimento delle pene che riempie le prigioni. La grande responsabile della carcerazione di massa è l'assurda guerra alla droga, responsabile da solo di più della metà delle detenzioni (nell'oltre l'80% dei casi per semplice possesso).

La cosiddetta lotta contro il crimine è costata nel 2001 167 miliardi di dollari. Il sistema giudiziario da lavoro a 2,3 milioni di persone, di cui 747.000 secondini, e rappresenta il 7% della spese statali e federali, quanto il sistema sanitario pubblico nel suo complesso. Con le privatizzazioni vi è stata la nascita di una grande e articolata industria delle carceri.

Gli istituti di pena privati sono circa 160 sparsi in trenta Stati, coprono il 7% del mercato carcerario e crescono ad un ritmo del 35% l'anno. Il Correctional Business si muove su tre fronti: costruire e gestire le carceri; creare nuovi posti di lavoro (spesso gli amministratori locali cercano di ottenere un carcere sul proprio territorio per le opportunità di lavoro all'interno e nell'indotto di servizi); sfruttare il lavoro dei detenuti (nel 2004, le carceri-fabbrica da 111 diventeranno 120 per accogliere oltre duemila nuovi detenuti). La potente lobby del Correctional Business esercita forti pressioni su politici e magistrati, per impedire che nuove procedure e norme sulla libertà provvisoria interferiscano con i suoi interessi, incoraggiando, di fatto, l'incremento delle carcerazioni. La privatizzazione ha favorito lo sviluppo di un sistema carcerario sempre più impersonale e automatizzato, con alti livelli di sorveglianza e conseguente riduzione del personale, in particolare quello sanitario, con conseguenze drammatiche. Una ricerca ha recentemente rilevato che dei 9 milioni di detenuti liberati nel 2002, più di un milione e 300mila erano portatori del virus dell'epatite C, 137.000 avevano contratto quello dell'Aids e 12.000 la tubercolosi. Queste cifre - fornite dalla Commissione nazionale per la salute in carcere - rappresentano rispettivamente il 29%, tra il 13 e il 17%, e il 35% del numero totale di americani colpiti da queste malattie. Secondo molti ricercatori nel campo della salute pubblica l'epidemia d'arresti che ha colpito il paese è l'incubatrice di massa delle malattie infettive.

Se la situazioni nelle carceri americane è tutt'altro che rosea, peggio ancora è nei penitenziari di massima sicurezza, i cosiddetti "Supermax", dove sono più di ventimila i detenuti rinchiusi in isolamento prolungato. Sono reclusi in piccole celle spoglie per 23 ore al giorno. Il pasto è passato attraverso una fessura nella porta di metallo. Non possono vedere né parlare con nessun'altro essere umano. Non possono guardare dalla finestra e sono soggetti a 24 ore di luce artificiale. Non possono effettuare chiamate telefoniche né hanno alcuna visita o contatto. Escono dalle celle solo per la doccia o per mezz'ora di attività fisica solitaria, dopo essere stati sottoposti a perquisizioni corporali. Girano per il carcere con braccia e gambe incatenate accompagnati sempre da due guardie, una delle quali ha a disposizione una pistola a scariche elettriche per segnalare al prigioniero la "giusta direzione" da prendere. Molti di questi detenuti hanno disturbi mentali che non vengono curati in alcun modo. 

In California le prigioniere classificate come "pericolose per la sicurezza" possono essere tenute in isolamento a lungo termine nella "Security Housing Unit" (SHU), unità di massima sicurezza nella prigione statale di Valley.

Le donne nella SHU trascorrono dalle 22 alle 24 ore al giorno in una piccola cella di calcestruzzo, senza alcun tipo di lavoro o rieducazione, e mangiano, si lavano e defecano osservate da guardie di sesso maschile. Ogni volta che lasciano o ritornano nella loro cella vengono perquisite a fondo e ammanettate.

A una gran parte di loro sono stati diagnosticati problemi di salute mentale.

Le carcerate possono trascorrere anni o, addirittura, l'intera condanna confinate nella SHU per infrazioni disciplinari successive o di minore entità.

E.G., ad esempio, ha avuto ripetuti prolungamenti della sua permanenza perché copriva la feritoia quando usava la toilette, andando contro le regole del carcere. La continua punizione del suo desiderio di privacy ha completamente sconvolto la sua mente. Le strutture di massima sicurezza come quella di Valley stanno proliferando in tutto il sistema carcerario degli Stati Uniti e, in alcuni casi, l'intera prigione è di massima sicurezza. Secondo Amnesty International, "le condizioni di queste strutture violano gli standard internazionali per il trattamento dei prigionieri", mentre un rapporto di Human Rights Watch afferma che "l'assenza di interazione con altri individui, l'assenza di stimoli mentali, la mancanza di qualsiasi cosa possa rendere la vita accettabile, sono fattori di distruzione fisica, psicologica ed emotiva".

Le carceri USA sono un vero e proprio ricettacolo di orrori, non solo in Iraq. Nel 1994 il professore di psicologia dell'Università del South Dakota, Struckman-johnson, intervistando 1793 detenuti, rilevò che il 22% dei detenuti uomini ed il 7% dei detenuti donne hanno sostenuto di aver subito violenze sessuali. Nel 2000 Struckman-Johnson ha condotto una ricerca similare in sette prigioni: il 12% dei detenuti uomini ha affermato di aver subito violenze sessuali. Un quinto degli intervistati sosteneva di aver subito questi abusi da parte del personale carcerario.

Robertino














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