Umanità Nova, numero 24 del 3 luglio 2004, Anno 84
La perdurante esistenza sul territorio italiano dei CPT, ossia dell'istituzione di strutture detentive per migranti impone alcune radicali considerazioni critiche.
Ormai da sei anni, dietro tale acronimo vi sono i Centri di Permanenza Temporanea, denominazione con cui si cerca di dissimulare dei campi d'internamento con evidenti connotazioni razziali e razziste, che niente hanno mai avuto a che vedere con l'accoglienza.
"Il campo - ha ben definito Giorgio Agamben in Homo Sacer - è lo spazio che si apre quando lo stato di eccezione diventa la regola (…) Se l'essenza del campo consiste nella materializzazione dello stato di eccezione e della conseguente creazione di uno spazio in cui la nuda vita e la norma entrano in una soglia di indistinzione, dovremo ammettere che ci troviamo virtualmente in presenza di un campo ogni volta che viene creata una tale struttura, indipendentemente dall'entità dei crimini che vi sono commessi e qualunque ne siano la denominazione e la specifica topografia."
Per questo finché sussiste il "campo" non si può ipotizzare né accettare alcuna sua cogestione umanitaria, come invece sostenuto da certo volontariato sia laico che cattolico, operante fianco a fianco delle forze dell'ordine.
L'esistenza di questi luoghi più infami delle stesse galere, in cui i reclusi - "colpevoli" soltanto di aver varcato irregolarmente i confini nazionali ed europei - sono isolati e rinchiusi in attesa di essere identificati ed espulsi, smaschera in modo totale cosa significa in concreto il sistema democratico, ma anche l'ideologia liberale e la politica riformista.
La loro creazione infatti risale al precedente governo di centro-sinistra, attraverso la legge Turco-Napolitano approvata anche da quella sinistra che oggi si dichiara pervasa da sdegno (inclusi Rifondazione Comunista e Verdi), in attuazione delle direttive europee di Schengen in materia d'immigrazione, quali elementi fondamentali della politica dei flussi contingentati. La legge Bossi-Fini ha quindi ripreso pienamente tale misura, limitandosi ad allungare da uno a due mesi il tempo massimo di detenzione previsto.
Per i detenuti non esistono né garanzie né diritti di sorta, ed ormai non si contano più vessazioni, privazioni, violenze legalizzate e tragedie impunite come il rogo avvenuto al "Serraino Vulpitta" a Trapani; persino i più elementari diritti umani sono sistematicamente negati nella completa legalità democratica, come più volte denunciato anche da Amnesty International nei suoi rapporti annuali, oltre che recentemente da Medici senza Frontiere.
La logica concentrazionaria dei CPT s'inserisce peraltro nell'imperante clima emergenziale di guerra esterna/interna, una guerra in cui la sopraffazione e l'annientamento sono la regola, come dimostrano gli orrori di Guantanamo, di Bagram, di Abu Ghraib, dove in nome della lotta al terrorismo il terrore di Stato diviene pratica normale, pianificata e legittimata.
Condizione essenziale per l'esistenza di tali non-luoghi è la loro "invisibilità" all'interno delle società cosiddette democratiche, pronte a turbarsi a telecomando per le immagini delle torture nelle galere in Iraq, ma atrocemente cieche e sorde davanti agli orrori che quotidianamente avvengono a poca distanza dalle nostre vite.
A tutt'oggi vige infatti questa sostanziale ed inquietante separatezza tra la realtà interna e quella esterna dei CPT; una separatezza per certi aspetti paradossale in quanto l'ubicazione dei CPT è in molti casi all'interno del territorio urbano, vicino a case, strade e luoghi di lavoro popolati da gente "normale" che sembra indifferente a muri, fili spinati, gabbie, riflettori, carcerieri armati. Oppure la dislocazione dei campi si trova non lontano dalle spiagge dove nella bella stagione l'italiano medio si reca spensieratamente in vacanza.
Così proprio chi si ritiene "libero" è costretto ad evadere, a conferma di quanto la distanza della consapevolezza sia slegata dalle effettive distanze spaziali: niente è più lontano di quello a cui non vogliamo accostarci.
Mentre ogni anno si celebra il Giorno della Memoria per non dimenticare la tragedia dei lager nazisti, la società civile sembra convivere serenamente con strutture che, pur non essendo i campi di sterminio ove furono annientati milioni di ebrei, zingari, omosessuali, testimoni di Geova, etc., somigliano moltissimo ai primi campi di concentramento in cui, nella generale indifferenza o complicità, furono imprigionati oppositori politici e soggetti "asociali".
Attualmente in Italia, sono operativi una dozzina di CPT ma da tempo a livello governativo si ritiene necessario che ve ne sia almeno uno in ogni regione e, purtroppo, i lavori stanno andando avanti per giungere a tale risultato, pur se non mancano proteste e resistenze attive.
Scrive ancora Agamben, in Quel che resta di Auschwitz, commentando le partite di calcio che a volte si svolgevano nel lager tra SS e internati, che quella rappresenta "anche la nostra vergogna, di noi che non abbiamo conosciuto i campi e che pure assistiamo, non si sa come, a quella partita, che si ripete in ogni partita dei nostri stadi, in ogni trasmissione televisiva, in ogni quotidiana normalità. Se non riusciamo a capire quella partita, a farla cessare, non ci sarà mai speranza".
Speranza per chi è prigioniero, sia dentro che fuori quelle recinzioni.
(Documento per l'assemblea del coord. anarchico del Veneto)