testata di Umanità Nova

Umanità Nova, numero 24 del 3 luglio 2004, Anno 84

Economia
Il governo manovra per restare a galla




L'esito delle elezioni ha mandato al governo un duplice segnale, contraddittorio, sulla direzione da prendere. Il rafforzamento dell'asse An-Udc sembra da una parte picconare le residue velleità liberiste di Forza Italia e del padrone pagante; il guadagno di voti della Lega puntella invece il barcollante Tremonti nel suo tentativo alquanto azzardato di accelerare lo smantellamento del welfare. La risultante di queste forze divaricate non poteva essere messa in piazza prima dei ballottaggi, e quindi è cominciata (o meglio è proseguita) una lotta sotterranea interna alla maggioranza, che rischia di esplodere con grande fragore nel prossimo mese. È facile prevedere che questa volta Fini (e i suoi alleati) non si accontenteranno di un altro rinvio: dopo il fallimento della "cabina di regia", un anno fa, e del sostanziale nulla di fatto dopo la decisione di marzo 2004 di affidargli le deleghe in tema economico-sociale, è arrivata l'ora di calare le carte. Forza Italia è sempre l'azionista di maggioranza della Casa delle libertà, ma gli altri inquilini sembrano essersi stancati di godersi l'ospitalità gratuita, che potrebbe preludere ad un doloroso sfratto dal governo con le politiche del 2006.

Sono almeno tre le scadenze che attendono il governo nelle prossime settimane:
una manovra correttiva sui conti del 2004 che prenda atto del fallimento del condono edilizio e che porti a casa 5/6 miliardi di euro entro fine anno;
un Dpef per la finanziaria 2005 che risponda alle richieste di Confindustria e Sindacati in tema di sviluppo e indichi da dove possono saltar fuori i primi 12,5 miliardi di euro per abbassare le tasse il prossimo anno;
l'approvazione, prima della pausa estiva, della riforma delle pensioni, che in realtà comincerà a produrre risparmi consistenti solo dal 2009 in avanti.

Il menù governativo

Il menù, parziale o completo che sia, dovrà essere servito all'Ecofin in programma il 5 luglio, e deve abbassare la probabilità che il vertice consegni all'Italia l'"early warning" sui conti pubblici, dovuto allo sforamento dei parametri di Maastricht, eventualità che potrebbe rappresentare una tegola piuttosto seria sull'affidabilità del debito sovrano del paese e sui tassi d'interesse a cui viene rifinanzato.
Nessuna delle scadenze che attendono il governo si presta ad una soluzione facile. 

Per quanto riguarda la manovra correttiva, ci sono forti perplessità nella stessa maggioranza di governo sulla sua reale natura. Un ministro influente come Alemanno, uscito personalmente premiato dalle urne, pensa che non sia necessaria. Buttiglione ha dichiarato di voler prima sapere con esattezza lo stato dei conti, adombrando una certa diffidenza verso la gestione Tremonti. Le stime ufficiali sul livello del disavanzo divergono: per il governo siamo al 2,9% del Pil e rischiamo di salire al 3,2% nel 2005, mentre Bankit e Confindustria parlano del 3,5% adesso e del 4,1% nel 2004. Quindi per gli uni la manovra è solo un'eventualità, per gli altri una misura improrogabile. Sui contenuti ci sono due terreni di intervento: un taglio dei costi negli acquisti della Pubblica Amministrazione (centralizzazione tramite Cosip) di almeno 2 miliardi di euro; una riduzione dei trasferimenti alle imprese, con l'istituzione di un Fondo Rotativo per il credito agevolato, al posto delle attuali erogazioni a fondo perduto. Le imprese si sono dapprima lamentate orribilmente, poi hanno rilanciato alla grande per bocca di Montezemolo: per ogni euro in meno di agevolazione, un euro in meno di Irap. Come dire, l'importante è che rientri dalla finestra quello che esce dalla porta. Quando si dice avere le idee chiare…

Il risultato è che nessuno è in grado di quantificare i risparmi su questa seconda voce di spesa. 

Per quanto riguarda il Documento di Programmazione Economica e Finanziaria, le idee sono, se possibile, ancora meno chiare. Questo documento, da presentarsi entro il 30 giugno, dovrebbe rappresentare il quadro teorico da cui poi salta fuori, a settembre, la finanziaria per l'anno successivo. Dovrebbe quindi illustrare lo stato dei conti e delineare le linee programmatiche che ispirano la manovra economica. Per i cultori della concertazione, è un documento da negoziare tra governo e parti sociali, per arrivare a "soluzioni condivise" che non ingenerano scontri. Ma la concertazione si fa in tre e negli ultimi tempi solo il sindacato vi era rimasto affezionato: da quest'anno però anche Confindustria è tornata a predicarla e resta da convincere il governo di centro-destra, che un giorno sì e l'altro no etichetta la Cgil come la fabbrica dell'odio e gli altri sindacati come ostacoli alla modernizzazione. La prima cosa da chiarire dunque è se il governo voglia "concertare" oppure no. Poi deve spiegare dove intende prendere i soldi per il secondo modulo della riforma fiscale e quali spese vengono tagliate. Infine deve chiarire quali segmenti sociali vengono a guadagnare qualcosa dalla rimodulazione delle aliquote. L'impressione è che questo governo sia in tale stato di fibrillazione da non riuscire nemmeno ad affrontare la questione.

Infine la questione pensioni. Il provvedimento è in terza lettura alla Camera e Maroni spinge per l'approvazione definitiva prima delle ferie, se necessario con il voto di fiducia. An e Udc vorrebbero strappare il consenso sindacale, arrivando a dichiarare che tutte le richieste di modifica sono già state accolte. Alcuni aspetti della riforma però non piacciono a Cgil, Cisl e Uil, in particolare laddove si equiparano i fondi pensione collettivi alle polizze previdenziali private. La riforma delle pensioni è per questo governo una questione di bandiera e una patente di affidabilità europea. Non produce risparmi immediati (2,5 miliardi l'anno solo dal 2009, poi fino a 9 miliardi annui tra il 2012 ed il 2019, poi a calare fin quasi ad annullarsi dal 2030 in avanti), ma rappresenta una dimostrazione di forza con chiaro valore simbolico (è ancora vivo il ricordo del 1994 e del primo grande capitombolo della destra). La riforma delle pensioni è il pilastro su cui imbastire la difesa dall'early warning dell'Ecofin: su questo il governo non può fallire, se vuole sopravvivere.
Naturalmente Tremonti e compagni pensano di avere delle cambiali da incassare, in sede europea. Fu l'Italia di Berlusconi a guidare lo schieramento che, nel novembre scorso, perdonò gli sforamenti di Francia e Germania, congelando le sanzioni previste. Adesso, chiosa Tremonti, cosa vuole che siano due o tre decimali di troppo, visto il piacere che a suo tempo abbiamo fatto ai due paesi che insieme fanno il 50% del Pil dell'Unione Monetaria?

Intanto, per tenere in piedi la baracca, Tremonti si sta scervellando per trovare dei soldi entro la fine dell'anno con i metodi che gli sono cari. Per migliorare i saldi si viaggia spediti sulle cartolarizzazioni: 15 miliardi di euro potrebbero entrare con un mix davvero fantasioso di provvedimenti. Il governo ha già imbastito la prima cartolarizzazione dei crediti per la ricerca, del valore di 1,88 miliardi di euro; per fine anno potrebbe arrivare una analoga misura per i crediti Inps del 2004 per 1,5 miliardi di euro; la dismissione di immobili pubblici tramite un nuovo fondo immobiliare dovrebbe fruttare tra 3 e 5 miliardi; una terza cartolarizzazione di immobili (Scip3) potrebbe dare 2 miliardi di euro; infine l'emissione di un Tav-bond da 1 miliardo di euro permetterà di raccogliere soldi, attraverso accensione di nuovi debiti esclusi dal perimetro della P.A., così come i 3 miliardi di covered bond emessi dalla Cassa Depositi e Prestiti. Insomma il sistema Tremonti funzionerà ancora, fino a quando ci sarà qualche bene pubblico da vendere e qualche incasso da anticipare.

È evidente che il 2005 rappresenta l'anno cruciale, l'anno pre-elettorale per eccellenza. Restituire qualche soldo ai contribuenti e tenere alto il volume di spesa per i grandi lavori, senza farne gravare il peso su un debito già così preoccupante, può rappresentare la differenza tra vincere o perdere nel 2006.

Le confuse prospettive all'ombra dell'Ulivo

Il quadro sta velocemente cambiando e il centro-sinistra intende sfruttare le evidenti difficoltà del governo per offrirsi come possibile staffetta nel processo di risanamento dei conti e di sblocco del sistema paese. Con le aperture acritiche a Montezemolo sul nuovo corso confindustriale e le ribadite professioni di fede nei confronti del rigorismo europeista puntano a proporsi come unica alternativa credibile all'inaffidabile governo dei berluscones, sebbene il polo ulivista sia stato un po' snobbato dalle urne. A sinistra resta così irrisolto il quesito di fondo: battere il centro-destra per fare cosa? Quale progetto di società e di modello economico anima il centro-sinistra? Che differenze ci sono sulla politica economica o sulla politica sociale, al di là dell'evidenza del conflitto d'interesse? In realtà le contraddizioni interne allo schieramento prodiano sono così devastanti che non possono mai essere espresse con chiarezza le opzioni privilegiate, pena la deflagrazione immediata.

Soltanto una crescita progressiva delle lotte e della mobilitazione sociale può orientare diversamente il dibattito sulla modernizzazione, partendo dal basso e dal quadro extra-istituzionale. Si tratta di avviare un serrato confronto sui contenuti e sulle scelte politiche che stanno maturando i governi europei dei più svariati colori, per chiarire cosa vogliamo in prospettiva: un'altra Europa, un'altra economia, un'altra società. 

Renato Strumia















una storiasommarioarchiviocontatticomunicaticollegamenti