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Umanità Nova, numero 24 del 3 luglio 2004, Anno 84

Follie climatiche all'ombra del totem capitalista
La COP sei tu


La prima settimana di maggio è stata caratterizzata da fenomeni atmosferici anomali: prolungate piogge su tutta la penisola italiana, nevicate che hanno provocato la chiusura di alcuni valichi, grandinate, acqua alta a Venezia come non si registrava da 50 anni, al nord temperature inferiori di 10 gradi rispetto alle medie stagionali, per questo alcuni sindaci avevano addirittura autorizzato la riaccensione degli impianti di riscaldamento. 

Un mese dopo, con il superamento dei 30 gradi di temperatura, la notizia del record di vendita di condizionatori, mentre per i "poveri vecchietti", che non possono permettersi questa spesa, il ministro Sirchia consiglia un trasferimento nei centri commerciali (i soggiorni climatici organizzati dagli enti locali non sono più di moda). 

Siamo alla "schizofrenia climatica" con tutte le patologie connesse.

È vero, il "tempo" è da sempre argomento delle discussioni da bar o utile riempitivo delle conversazioni di cortesia, ma negli ultimi anni il tema dei cambiamenti climatici ha occupato le pagine delle riviste scientifiche e sono numerosi gli studi finalizzati a prevedere i possibili scenari del futuro.

In questo campo non si possono avere certezze ma proprio per questo è fondamentale non commettere errori che nel lungo periodo possano determinare conseguenze irreparabili.

All'inizio del dicembre 2003 a Milano si è svolta COP9, Conferenza della Parti sui cambiamenti climatici. Di fronte al progressivo rimaneggiamento e svuotamento degli accordi di Kyoto, in assenza della ratifica da parte della Russia, divenuta fondamentale per il varo ufficiale delle misure deliberate dagli stati aderenti, con gli USA, responsabili del 36% delle emissioni, che se ne sono andati per la loro strada, risultava ancor più chiaro che non potevamo aspettarci nulla di buono. 

Si avvicina il momento in cui si passerà dall'allarme precauzionale alla gestione dell'emergenza?

Per meglio comprendere quali sono le tendenze in atto è necessario fare due passi indietro per ricordare quanto emerso in occasione dei precedenti accordi.

La conferenza di Marrakesh

In particolare, mi riferisco alla settima conferenza tenutasi a Marrakech nel 2001. Fu in quella circostanza che, i burocrati "dell'ecologia globale", delinearono più chiaramente le modalità applicative dei meccanismi flessibili concepiti per aggirare gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra all'interno dei confini dei propri stati. 

Il passaggio è stato importante perché, in quell'occasione, si gettarono le basi per abbandonare la strategia centrata sulla riduzione delle emissioni dei gas serra, prodotti dalle attività antropiche, per dare sempre più spazio alla logica del mercato delle "quote degli inquinanti".

Il principio che si affermò è semplice: un Paese può continuare ad emettere una certa quota di gas serra se è in grado di controbilanciare questi inquinanti con dei crediti d'emissione acquisiti tramite i cosiddetti meccanismi flessibili.

Sono tre i dispositivi utilizzabili dagli Stati: il Clean Development Mechanism, il Joint Implementation e l'Emission Trading. Il Meccanismo per lo Sviluppo Pulito (realizzabile tra Stati ad industrializzazione avanzata e anche tra questi e i Paesi in Via di Sviluppo), è un sistema che promuove l'impegno a "favore" dei PVS per la fornitura di tecnologie ad alta efficienza energetica in grado di ridurre le emissioni; in pratica favorisce gli investimenti privati in quei paesi ad economia arretrata che garantiranno poi crediti d'emissione ai paesi industrializzati. La Collaborazione tra Paesi (tra Stati ad industrializzazione avanzata e Paesi con economie in transizione, come quelli dell'Est Europa inclusi nell'Annex1) prevede l'attuazione di progetti comuni per ottenere la riduzione delle emissioni mediante la diffusione e l'impiego delle tecnologie più efficienti. 

Con il Commercio dei diritti di Emissione è previsto che le riduzioni possano essere ottenute tramite l'acquisto di "emissioni potenziali" presso quei paesi che hanno livelli d'emissione inferiori a quelli previsti dal Protocollo di Kyoto. Semplificando, se "Pinco" emette meno gas serra di quelli che il Protocollo gli consente, può vendere la sua differenza a "Palla", in modo che questo possa rientrare nei limiti impostigli. Verranno quindi istituiti dei veri e propri "Registri Nazionali" dove contabilizzare sia le "unità - quote" (obblighi, crediti, etc.), sia le transazioni delle emissioni disponibili. L'attuazione concreta di tali procedure è ancora lontana per la maggior parte delle Parti aderenti.

COP9 a Milano

È in questo contesto che si sono inserite le decisioni della COP9 milanese che ha ulteriormente spostato l'equilibrio delle misure da adottare, a favore dei meccanismi flessibili.

Nello specifico si è discusso delle foreste che non sono più considerate solo nel ruolo di "polmoni" del pianeta, ma anche con funzione di sinks, cioè pozzi di assorbimento, dell'anidride carbonica.

L'assorbimento della CO2 attraverso le foreste costituiva solo una misura integrativa ai tradizionali interventi di riduzione nei settori industriali. I negoziati hanno aperto alla possibilità di inserire le attività di riforestazione nel meccanismo CDM per consentire la produzione di crediti di CO2 utili a raggiungere gli obiettivi di decremento delle emissioni dei gas serra previsti dal Protocollo. Tuttora non sono state definite però, in modo chiaro, le procedure per valutare gli assorbimenti netti del gas serra. L'assurdo è che, a fronte di un obiettivo di riduzione dei gas serra del 5,2% (in media rispetto ai dati del 1990) da ottenere entro il 2012, la deforestazione su scala globale, che nell'ultimo decennio ha spazzato via 14 milioni d'ettari, ha contribuito e continua a contribuire in maniera consistente (15-20 % circa delle emissioni globali totali) all'incremento di gas-serra nell'atmosfera.

Invece di deforestare e riforestare, sarebbe più logico conservare il patrimonio esistente, ma in questo caso si andrebbero a toccare gli interessi economici delle nazioni che sfruttano le grandi foreste presenti sui loro territori.

A proposito d'interessi, nei piani di riforestazione si è dichiarato ammissibile l'uso di piante geneticamente modificate e di piante non autoctone; saranno i singoli paesi, in base alla loro legislazione, a giudicare opportuno o meno l'impiego di queste piante. 

Si prospetta un altro buon affare per chi controlla il mercato della manipolazione genetica, attraverso la promozione dell'utilizzo di OGM in ambiti diversi, cercano di creare consenso nell'opinione pubblica per poi tentare di sfondare nello strategico mercato alimentare. Di fatto, nel settore forestale non risulta alcun vantaggio nell'utilizzo di specie arboree geneticamente modificate, è sicuro invece l'effetto negativo legato alla riduzione delle biodiversità. 

I Paesi che ratificheranno il Protocollo di Kyoto dovranno riportare dati e informazioni sulle superfici forestali esistenti, sulle attività di riforestazione (piantagioni su superfici già alberate) e afforestazione (conversione di aree non forestate in foreste) e sulla deforestazione. 

Nella logica della contabilizzazione del carbonio sequestrato dalle aree forestate, sono possibili speculazioni legate alle aree da destinare all'afforestazione e ai vincoli di tempo tra un intervento di deforestazione e una successiva riforestazione che, per gli interessi  connessi, potrebbe favorire l'effetto "prima disbosco e poi mi faccio finanziare il rimboschimento".

L'ecoburocrazia si è, inoltre, occupata delle modalità di registrazione dei crediti di emissione e della loro validità temporale (è indispensabile uniformarle per procedere alla compravendita senza incappare in continue contestazioni). 

Le parti hanno deciso di costituire un fondo supplementare (anche se dai resoconti si deduce che molti stati non versano le loro quote annuali o le versano sistematicamente in ritardo).

L'incremento dei fondi sarebbe necessario per permettere la gestione dello sviluppo e del trasferimento delle tecnologie, per rafforzare la struttura informativa, ma è anche richiesto per le attività connesse… all'adattamento al cambiamento climatico. In pratica, di fronte a frequenti eventi atmosferici estremi, i convenuti hanno individuato la necessità di avviare studi su base scientifica, tecnologica e socioeconomica che affrontino gli aspetti relativi alla vulnerabilità, mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici in atto (siamo già così nei guai che stanno preparando le scialuppe di salvataggio). 

Fatta eccezione per alcuni paesi che hanno già ridotto la percentuale delle loro emissioni risulta che, nel complesso, l'inquinamento provocato dal settore energetico e dei trasporti è aumentato nell'ultimo decennio (nel settore dell'aviazione civile l'incremento è stato addirittura del 40%).

Uscire dal cono d'ombra del totem capitalista

La necessità di garantire in tempi brevi un decremento delle emissioni legate alle attività umane diventa quindi sempre più pressante, ma dovrebbe essere ormai matura l'idea che non è più possibile delegare alle politiche degli stati, alle burocrazie nazionali, alle lobby economiche la cura dell'equilibrio ecologico - climatico del pianeta.
Come già ribadito in altre occasioni, non ha senso chiedere il rimedio a coloro che provocano la malattia. Siamo due volte vittime perché lo stile di vita che viene proposto - imposto è quello che ci vuole sempre più integrati sostenitori della civiltà dei consumi in cui lo sfruttamento dell'uomo, sull'uomo e sull'ambiente, rimane un pilastro dell'economia. Siamo di nuovo vittime quando veniamo colpiti dagli effetti di quei disastri che definiscono naturali ma in realtà sono, direttamente o indirettamente, generati dagli interessi della classe dominante. 

Non possiamo dimenticare che le conseguenze più penalizzanti vengono subite da quella parte della popolazione mondiale che già si trova al limite della sopravvivenza. I primi a pagare sono i più deboli ma per tutti si allontana la prospettiva di un possibile equilibrio tra specie umana ed ambiente, nel contempo l'ombra del totem capitalista si allunga, minacciosa, anche sulle opportunità delle generazioni future.

Non si può rimanere a guardare, né delegare ai governi la ricerca della soluzioni, né lasciare che il capitalismo sfrutti i danni prodotti all'ambiente per procurarsi nuovi profitti.

In questo caso la mobilitazione della base nelle piazze non è sufficiente, occorrono risposte concrete ed immediate. 

È possibile coniugare tutto ciò, in un pianeta popolato da 6 miliardi di individui, senza ritornare all'età della pietra? Il dibattito è aperto.

MarTa















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