Umanità Nova, numero 25 del 18 luglio 2004, Anno 84
Mi è capitato sovente di riflettere sul fatto che gli uomini e le donne che, per origine familiare o per ascesa personale, occupano posizioni di potere presumibilmente, nel momento della sconfitta, patiscono orrendamente per quanto sta loro capitando esattamente come avveniva ai membri delle classi dominanti in epoche storiche diverse e più sanguigne e come avviene tuttora ai leader delle aree meno "sviluppate" del pianeta.
Manca oggi, almeno nell'area delle democrazie industriali e in misura particolare in Italia, all'ascesa ed alla caduta dei membri della classe dirigente la dimensione epica e ce ne si occupa, di norma, solo in forma farsesca.
Basta pensare a George Bush, l'"uomo più potente del mondo" che è noto in pubblico come ex alcolista, aderente ad una componente particolarmente fessa del protestantesimo – i cristiani rinati – e individuo caratterizzato da un quoziente intellettuale particolarmente modesto. È, a ben vedere, straordinaria la differenza rispetto ad Osama Bin Laden che non si presta in alcun modo a farsi trattare da pagliaccio, si esibisce con comprensibile moderazione, potrebbe persino essere morto e realizzerebbe, in questo modo, il massimo della dimensione tragica.
Pensiamo, per stare all'Italia, all'ascesa ed alla caduta di Giulio Tremonti.
Il nostro eroe appare sulla scena, decenni addietro, come
articolista de "Il Manifesto" e dimostra, per l'ennesima volta, quanto
fosse singolarmente ingenuo il conte Camillo Benso di Cavour quando
affermava che chi a vent'anni non è un rivoluzionario a quaranta
sarà un farabutto. Ammesso che aderire negli anni '70 sia stata
una scelta rivoluzionaria, è evidente che nessuno può
accusare il commercialista Giulio Tremonti di non essere diventato, a
quarant'anni, un farabutto.
Mostrando un'ammirevole dose di anticonformismo, il nostro eroe, negli
anni '80, è craxiano e corre in soccorso, secondo consolidati
costumi del ceto intellettuale nazionale, al vincitore.
Scende - o sale? - direttamente in politica negli anni '90 con i pattisti di Segni e, con limpida e trevigiana coerenza, diventa ministro di un governo contro il quale si è presentato alle elezioni.
Una scelta – la nostra notoria passione per l'equità ci impone di riconoscerlo – ci ha risparmiato e cioè quella di entrare a far parte della sinistra berlusconiana assieme al buon Ferrara.
Fatto il suo percorso, Tremonti ha ritenuto di elevare a modalità di governo la finanza creativa e cioè l'assieme di tecniche che fanno grande un commercialista e ha fornito una riprova, non necessaria ma edificante, della natura criminale del potere e del carattere statalista del crimine. Si è, visto che c'era, definito colbertista, scelta che ha posto in non lieve imbarazzo i suoi supporter leghisti che sono stati costretti a controllare sul bigino chi fosse Colbert e fornito di che discettare agli studiosi dell'opera sua.
Ebbene, quest'uomo è caduto sotto i colpi dei democristiani e dei postfascisti e l'evento più mirabolante che la sua caduta ha prodotto è stato il suo rifiuto di entrare in casa se un giornalista de "La Repubblica" che stazionava di fronte al portone non se ne fosse andato.
La sua caduta, per di più, non ha affatto riportato ordine
nel campo di Agramente che è la destra italiana ma ha, semmai,
accentuato le tensioni visto che Berlusconi ha ritenuto, per
accontentare leghisti ed italoforzuti, di occuparsi lui del ministero
così dolorosamente abbandonato di Tremonti ed ha, in questo modo
esasperato postfascisti e democristiani.
Lo spostamento al centro della Confindustria
Assistiamo oggi, di conseguenza, all'ennesima puntata di uno scontro
interno al centro destra e che vede gli eredi della DC lavorare per
porre le condizioni di una rinascita del centro democristiano stesso
come forza determinante per la definizione di qualsiasi maggioranza.
Non si tratta, a rigore, di una novità. Da dieci anni c'è
chi cerca di occupare il centro dello schieramento parlamentare e di
appropriarsi dell'azione di maggioranza che permetterebbe al suo
detentore di decidere, volta volta, chi e, soprattutto, a che prezzo
andrà a governare il paese.
A mio avviso, quindi, la vera novità non consiste nel fatto
che i democristiani vogliono preparare la successione ad un Berlusconi
sempre più palesemente bollito. Si tratta, in realtà, di
una costante.
Il fatto nuovo, i cui effetti si stanno dispiegando e si dispiegheranno
sul medio periodo è lo spostamento al centro della
Confindustria, la caduta di D'Amato - un altro desaparecido -, l'ascesa
di Luca Cordero di Montezemolo, lo sviluppo di nuove modalità di
rapporto fra sindacati istituzionali e padronato.
Questa novità sociale pone le condizioni, in maniera tutt'altro che meccanica, per un cambiamento dello scenario politico.
Per intanto, verifichiamo la classica doppiezza del discorso della sinistra parlamentare e sindacale.
Da una parte, infatti, Epifani, nel mentre loda le aperture di Montezemolo, ricorda la necessità di garantire una crescita dei salari, dall'altra, i recenti contratti del commercio e della cooperazione sociale concedono al padronato di tutto e di più per quanto riguarda retribuzioni e diritti in cambio di un rafforzamento di un ruolo di partnership del sindacato.
Basta leggere cosa è scritto, a questo proposito, in un comunicato dell'8 luglio della sinistra CGIL:
"Il nuovo contratto non solo consente il raddoppio della percentuale dei contratti a termine su base annua, ma non pone alcuna limitazione ad altre tipologie di contratti precari o atipici, come ad esempio i contratti a progetto, e non esclude il lavoro a chiamata, e la somministrazione di manodopera a tempo indeterminato. A ciò si aggiunga che fuori dalla percentuale del 28 % su base annua, fissata per contratti a termine ed ex interinali, le aziende potranno assumere apprendisti in un numero eguale ai dipendenti con contratti a tempo indeterminato, e per un periodo che è stato esteso a 48 mesi, non dimenticando che a disposizione delle aziende vi sono anche i contratti d'inserimento che sono fuori dalla percentuale sopra indicata"
Peccato che il comunicato di "Lavoro e Società" non faccia cenno alla crescita dei finanziamenti ai sindacati istituzionali da parte delle aziende del commercio, un tema, come è noto, delicato.
Tornando al quadro generale, è evidente che il dialogo fra sindacati istituzionali e padronato è una condizione per restaurare appieno la concertazione ma se è una condizione necessaria non è, con ogni evidenza, una condizione sufficiente.
Da una parte, infatti, il funzionamento del modello corporativo democratico richiede un coinvolgimento del governo e questo governo non è certamente, a meno di una radicale correzione di rotta, il più affidabile.
Dall'altra è necessario porre ordine nel quadro sindacale e
sociale e se anche è vero che oggi le relazioni fra CISL e CGIL
sono decisamente migliorate rispetto al passato è anche vero che
non è rientrata l'anomalia FIOM, per un verso, e, soprattutto,
che la pressione di settori significativi della working class per reali
aumenti retributivi non è facilmente liquidabile con operazioni
di scambio.
La ripresa della concertazione: preludio ad un nuovo quadro politico?
Schematizzando al massimo è evidente che il blocco sociale della
destra è in tensione fortissima, che vi è uno scontro fra
un asse "nordista" Lega – FI ed un asse "sudista" AN - UDC e che
segmenti di questo blocco sono in movimento e disponibili a nuove
combinazioni che prevedono una dialettica con i settori centristi
dell'Ulivo dall'Udeur ai popolari. Non a caso, i mal di pancia a
sinistra non mancano.
Sarebbe un errore sottovalutare la, relativa, autonomia del ceto politico rispetto ai propri referenti sociali. Il trionfo o la caduta, per fare solo un esempio, di Marco Follini dipenderanno principalmente dalla fedeltà dei suoi colonnelli, se Berlusconi riuscirà a comprarli il nostro eroe cadrà, altrimenti avrà ancora filo da tessere.
Ma se, sul breve periodo e per quanto riguarda i passaggi tattici, le frazioni che costituiscono il ceto politico hanno un discreto margine di manovra, sul medio periodo e per le questioni importanti devono fare i conti con le strutture portanti della società. E oggi la tendenza alla ripresa della concertazione è seria e sarà difficilmente ribaltabile.
È evidente che la sinistra è più affidabile della destra per quel che riguarda il governo delle tensioni sociali. Se qualcuno avesse avuto ancora dei dubbi gli ultimi due anni dovrebbero essere stati educativi. È persino già pronto il nuovo ritornello per giustificare i sacrifici: "è necessario rilanciare il tessuto industriale devastato dalla miopia della destra e a questo fine, come è stato per l'entrata in Europa, ogni sacrificio è giustificato".
Naturalmente non sappiamo oggi se il governo terrà, come si risolveranno i suoi scontri interni, se il progetto neocentrista funzionerà ecc… Quello che ci interessa di più è come affrontare la ripresa della concertazione e il nazionalismo economico che l'accompagna sin da ora e su quali contenuti qualificare la proposta libertaria.
Cosimo Scarinzi