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Umanità Nova, numero 25 del 18 luglio 2004, Anno 84

Caso Battisti: emblema di un'Italia sempre uguale
Il passato che non passa e l'emergenza sicuritaria



Cosa ha di diverso l'Italia di oggi da quella dell'immediato dopoguerra? Perché il ministro della Giustizia di allora, il comunista Togliatti, si poteva permettere un'amnistia generalizzata ai criminali fascisti ed oggi invece si continua a tenere aperta, a distanza di quasi trent'anni, la pagina degli anni di piombo? Sono domande queste che sorgono spontanee dopo che lo Stato francese ha deciso di accogliere la richiesta di estradizione di Cesare Battisti, avanzata dallo Stato italiano. Già la vicenda Sofri, poi quelle degli estradati dall'Algeria e dal Nicaragua, avevano messo in evidenza la volontà persecutoria dell'apparato nel perseguire reati connessi all'insorgenza politica armata degli anni '70-'80; ora la vicenda Battisti riconferma una linea di comportamento di cui non si vede la fine. Appare del tutto evidente che la situazione politica italiana, nei suoi assetti istituzionali, è ancora parecchio lontana dal raggiungere un grado di stabilizzazione tale da permettersi di archiviare quel periodo e non tanto perché ci sono alcuni emuli delle BR in giro, quanto per l'utilizzo che si continua a fare di quei fatti ai fini della lotta politica. Non c'è evidentemente da sorprendersi: per un paese che ha impiegato ventiquattro anni per arrivare alla conclusione che l'Aereonautica Militare, nei suoi massimi dirigenti, ha coperto la strage di Ustica compiuta da qualche "fedele" alleato senza indicare chi; per un paese che dopo trentacinque anni ha saputo solo individuare in generici fascisti di Ordine Nuovo i responsabili della strage di piazza Fontana; in un paese che non ha mai voluto andare a fondo in vicende definite oscure (ma chiarissime per chi ha occhi per vedere) come quella di Salvatore Giuliano, di Roberto Calvi o di Carlo Alberto Dalla Chiesa; per un paese del genere, terreno di conquista delle mafie, dei poteri forti internazionali, dei servizi segreti, gli avvenimenti di quegli anni rimangono una preziosa miniera da cui attingere per spargere veleni, per minacciare ritorsioni, per intimidire gli oppositori.

Un'amnistia inoltre comporterebbe l'ammissione che nell'Italia di quegli anni ci fu un movimento diffuso teso al sovvertimento rivoluzionario degli assetti di potere contro il quale lo Stato, in tutte le sue componenti, varò una legislazione d'emergenza che colpì i fondamenti costituzionali e la cosiddetta civiltà giuridica. Una legislazione sostenuta con entusiasmo dal PCI di Berlinguer e del compromesso storico, applicata da quelle "toghe rosse" che istituirono i grandi processi contro il cosiddetto terrorismo nella cui accezione vennero compresi anche molti esponenti dei movimenti sociali di quegli anni (ricordate il 7 aprile?). Difficile che chi scrisse e approvò quelle leggi infami, da Stato di polizia, possa trovare oggi il coraggio di una lettura storica di quella fase; e se a sinistra non c'è questo coraggio come pensiamo ci possa essere un po' di onestà intellettuale in una destra che continua ad agitare il drappo rosso della lotta al terrorismo, sempre e comunque, come arma di dissuasione e di repressione nei confronti di ogni possibile movimento di contestazione e di lotta. Se la lotta (anche quella armata) di quegli anni è stata solo espressione di criminalità, non vi può essere metabolizzazione politica ma solo vendetta e giustizia sommaria. Cose in cui il ministro Castelli sta dimostrando notevole propensione. Ma non c'è solo questo elemento che emerge dalla lettura della vicenda Battisti e di altre consimili. Le dichiarazioni di Chirac in merito al "dovere" della Francia di concedere l'estradizione all'interno dello "spazio giuridico europeo" vanno ben oltre il caso in questione. Esse infatti si collegano ad uno dei principali obiettivi politici dell'Unione Europea: quello della realizzazione di uno spazio giuridico nel quale gli Stati nazionali si assicurano, mediante la reciproca collaborazione ed il reciproco riconoscimento delle rispettive decisioni giudiziarie, il controllo della popolazione. Giova ricordare a tale proposito che a partire del primo di gennaio di quest'anno l'estradizione è stata superata dal più efficace strumento del "mandato d'arresto europeo" che velocizza le pratiche di consegna dei ricercati tra i vari Stati dell'UE: uno strumento più in linea con le esigenze di controllo e di sorveglianza proprie di un assetto di potere sempre più invasivo, autocratico ed illiberale. Paradossalmente il governo Berlusconi non ha ancora ratificato tale strumento, probabilmente per il timore che le concezioni giuridiche in atto in altri paesi (per esempio la Spagna) non garantiscano allo stesso livello gli imputati eccellenti. Ma si tratta sicuramente di un intoppo di breve durata. Quello che è certo è che nell'Europa dei capitali, sull'onda di una falsa emergenza di sicurezza, il controllo poliziesco si sta rafforzando e si sta dotando di armi sempre più efficaci, per il controllo sia degli stanziali che dei migranti: d'altronde in un Europa che si fa fortezza, in un contesto di guerra, sia esterna che interna, non ci si può stupire che sia l'elemento repressivo a dilatare le proprie competenze. Sta piuttosto alla coscienza critica di questo continente, al suo elemento laico e progressista, ai movimenti sociali, la capacità di non farsi travolgere dall'isteria securitaria, di dissolvere in sostanza i fantasmi del passato.

M.V.
















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