Umanità Nova, numero 26 del 5 settembre 2004, Anno 84
Probabilmente non è molto fondata la speranza, assai diffusa nel centrosinistra, che questo governo sia agli sgoccioli. È sicuramente vero, invece, che i danni che il governo può ancora produrre negli ultimi due anni che gli restano possono essere rilevanti.
La fase di crisi e di fibrillazione che ha investito la maggioranza dopo le elezioni europee di giugno è stata parzialmente assorbita dalla pausa agostana, dopo aver toccato l'apice nelle convulse settimane di luglio. Le dimissioni di Tremonti hanno svolto la necessaria funzione salvifica: consegnando la testa del suo principale ministro, Berlusconi ha riconosciuto il mutato rapporto di forze dentro la Cdl in favore dei centristi e di A.N. ed ha sacrificato l'uomo simbolo dell'asse con la Lega, per guadagnare tempo prezioso e preparare possibili controffensive. Tremonti aveva effettivamente agito come il capo di un manipolo di guastatori ispirati dal leghismo e pronti a caricare i poteri forti a testa d'ariete. Basti pensare agli attacchi a Bankitalia, allo scontro con le fondazioni bancarie, al tentativo di sottrarre i finanziamenti agevolati alla gestione delle banche per concentrarli nella Cassa Depositi e Prestiti, al progetto di tagliare i finanziamenti alle imprese del sud per trasformarli in prestiti da rimborsare. Il nuovo orizzonte che la Confidustria di Montezemolo vuole aprire necessita di mediazioni compatibili, non di duelli all'ultimo sangue. Ma a livello politico i problemi sono tutt'altro che risolti.
La maggioranza resta in fiamme e i progetti strategici di
forzitalioti, centristi e finiani viaggiano in direzioni diverse ed
opposte: tuttavia se non si metteva mano agli estintori, si rischiava
di vedere bruciare la casa subito, senza alcun rimedio possibile.
L'apparente ricompattamento serve ai giocatori per riprendere fiato e
ridefinire la strategia per l'avvenire. Al suo realizzarsi non è
stata estranea la durezza della situazione economica, in generale, e
dei conti pubblici, in particolare.
Il declassamento del Paese subito a luglio da Standard & Poor's
poteva innescare una spirale pericolosa di sfiducia nei confronti del
debito sovrano, con ripercussioni pesanti sugli interessi ed il costo
del debito. Il deterioramento del livello del fabbisogno statale, che
è peggiorato tra il 2002 ed il 2003 di circa 12 miliardi di
euro, e di una cifra analoga nei primi sette mesi del 2004, rendeva
assai urgente il varo di provvedimenti correttivi.
Sotto schiaffo per un possibile "early warning" da parte di Bruxelles per il cattivo andamento dei conti pubblici, il governo ha cercato la "sterzata" per riportare sotto controllo la dinamica della spesa. L'articolazione dell'intervento si è basata su tre pilastri: manovrina, Dpef, legge delega sulle pensioni.
La "manovrina" si è tradotta in un intervento da 5,6 miliardi di euro, da rafforzare entro la fine dell'anno con altri 2 miliardi di euro, attraverso provvedimenti amministrativi. Ad essere colpiti sono stati anzitutto gli acquisti di beni e servizi da parte dello stato, con tagli al bilancio della difesa (dagli iniziali 1.800 miliardi si è poi passati ai soli 800) e del welfare (circa 500 miliardi). Banche ed assicurazioni sono stati colpite da misure di anticipo di imposte e tasse, il resto viene da tagli agli enti locali e cartolarizzazioni. Di particolare rilievo è l'aumento della tassazione sulla compravendita di immobili, uno dei settori cresciuti di più negli ultimi 4/5 anni in seguito al crollo delle borse. Il governo ha aumentato le imposte di registro, ipotecaria e catastale sulla compravendita di case diverse dalla prima casa, ma è dubbio che l'introito sia quello auspicato (600 miliardi l'anno da qui al 2006). Infatti le banche hanno già organizzato l'aggiramento dell'imposta attraverso il rilancio dei mutui finanziari, con ipoteca sulla prima casa, esente dal rincaro di aliquota. Inoltre è ripresa massicciamente la tendenza a comprare casa all'estero per evitare le nuove imposte, di pari passo con la ripresa della fuga dei capitale all'estero. La stessa Banca d'Italia, pur non dettagliando le cifre, ha segnalato con molta preoccupazione il fenomeno, che rischia di inficiare completamente l'effetto di rientro dei due anni precedenti, attraverso lo scudo fiscale. È evidente del resto che il denaro rimpatriato e "sdoganato" non è stato convogliato in investimenti produttivi, come auspicato dalle autorità economiche, ma ha alimentato una grossa bolla speculativa sugli immobili, che ha fatto salire i prezzi delle case oltre ogni limite. L'andamento di questo settore non è sfuggito all'attenzione del fisco e sono piuttosto fondati i timori che presto la tassazione sulla casa subirà una certa impennata: i più preoccupati temono addirittura una patrimoniale sulla casa, magari attraverso una revisione delle rendite catastali che tramite l'Ici potrebbe sollevare le sorti della finanza locale.
Mentre il Presidente con bandana sproloquia di tagli alle tasse, infatti, le cifre ci dicono che la tassazione degli enti locali è cresciuta dal 1992 ad oggi di circa il 330%! Questo non è certo bastato a compensare i tagli dei trasferimenti dallo stato centrale, tanto è vero che l'indebitamento degli enti locali è cresciuto in misura esponenziale (anche attraverso strumenti in valuta, derivati, anticipi su cartolarizzazioni) e ci si pone seriamente il problema di cosa potrebbe accadere se dovessero verificarsi casi di default che coinvolgano comuni, province, regioni, enti territoriali.
Il secondo pilastro della strategia del governo è stata l'approvazione del D.P.E.F., il documento di programmazione economica e finanziaria, che rappresenta la cornice economico-finanziaria, a respiro pluriennale, all'interno del quale deve poi prendere forma la legge finanziaria vera e propria per il 2005. Il Dpef delinea un quadro previsivo per 2005-2006 ed imposta una strategia per il 2005/2008. Complice la fresca sostituzione di Tremonti con Siniscalco, il Dpef (varato con oltre un mese di ritardo) è ancora più generico del solito. Le previsioni per la crescita del Pil nel 2005 si limitano ad uno striminzito 1,4%, che si riducono subito al 1,2% per via dell'effetto depressivo della "manovrina". Il governo intende realizzare, per il 2005, una manovra da 24 miliardi di euro, ma si guarda bene dal dettagliarne le modalità. In compenso prende corpo un'ipotesi di vasta alienazione del patrimonio pubblico nell'arco di tempo 2005/2008. Si punta a vendere roba per 100 miliardi di euro nell'arco dei quattro anni, circa 25 miliardi ogni anno. Un provvedimento di legge apposito prevede di fare affluire nel fondo di ammortamento del debito pubblico anche le vendite di immobili, come già accade per le aziende di stato privatizzate. A questo proposito, è ufficiale che entro la fine dell'anno verrà ceduto un altro 10-20% dell'Enel con una Opv sul mercato, con l'obiettivo di incassare una cifra nel range 4-8 miliardi di euro. Non è neanche esclusa una sesta tranche dell'Eni, un altro 10% della compagnia, che potrebbe fruttare fino a 6 miliardi di euro. In condizioni di mercato più favorevoli, entro il prossimi due anni, potrebbero prendere la strada del privato anche Poste, Ferrovie, Rai, Alitalia e così via.
I più esagerati arrivano ad ipotizzare una privatizzazione del patrimonio pubblico pari al 40% del suo valore complessivo, né si spiega chi e soprattutto con quali mezzi potrebbe comprare. L'esperienza delle privatizzazioni italiane (le più ampie del mondo nello scorso decennio) insegna che il bene alienato viene svenduto, spesso al capitale privato, incapace di competere sui mercati mondiali, ma desideroso di scavarsi nicchie di rendite acquisendo a basso costo le redditizie aziende pubbliche. Per quanto riguarda il pubblico dei piccoli risparmiatori, le ferite di borsa sono ancora troppo sanguinanti per poter puntare su un azionariato di massa.
Infine il terzo coniglio uscito dal cilindro del governo è stata la legge delega sulle pensioni. Dopo quasi tre anni di tira e molla, con un tracotante voto di fiducia, la legge delega è passata. La fiducia dei mercati è momentaneamente un po' più salda, anche se gli effetti economici veri e propri cominceranno a farsi sentire dal 2008. Come dire, l'importante è cominciare. Il provvedimento è stranoto nelle sue direttrici (abolizione delle pensioni di anzianità, minimo di 40 anni di contributi, allungamento progressivo dell'età anagrafica, equiparazione fra fondi collettivi e polizze individuali, silenzio assenso per il conferimento ai fondi del Tfr). In realtà occorrerà attendere un anno per i regolamenti attuativi e tutto lascia supporre che i lavoratori non resteranno a guardare passivamente lo smantellamento del proprio regime previdenziale. Tuttavia siamo tutti adulti e vaccinati, e sappiamo che il governo sta solo portando avanti il lavoro cominciato, sin dal 1995, dal centrosinistra, il quale non è particolarmente infastidito dal fatto che, a questo giro, tocchi al centrodestra beccarsi critiche e scioperi.
In conclusione abbiamo visto come il governo abbia sfruttato l'emergenza economica ed il nuovo clima concertativo per stemperare le tensioni interne e ricompattare le fila. Resta difficilissimo, in questo contesto, adempiere alla più importante promessa che il Polo aveva fatto, quella di ridurre le tasse. La perdita di competitività del sistema paese preoccupa Confindustria, che vorrebbe una straordinaria mobilitazione di risorse pubbliche per ricerca, sviluppo e infrastrutture, finanziata dalle tasse dei lavoratori naturalmente, mentre per se chiede un forte abbattimento dell'Irap, visto che l'Irpeg è già scesa.
È probabile quindi che, ancora una volta, la pressione fiscale su stipendi e salari resti elevata, mentre l'inflazione reale erode il potere d'acquisto in misura sempre più sensibile. Il nuovo quadro concertativo rischia di inaugurare l'ennesimo ciclo di sacrifici per lo sviluppo, mentre a lungo termine il reddito differito viene attaccato attraverso la riforma delle pensioni.
Questa morsa può essere allentata solo attraverso una opposizione sociale ampia, che sappia porsi all'altezza della nuova sfida lanciata da padroni e governo. L'autunno ci dirà se esistono i presupposti per costruire, insieme al rilancio dell'iniziativa sul salario nei contratti, una mobilitazione forte ed incisiva nella difesa dei livelli del welfare.
Renato Strumia