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Umanità Nova, numero 26 del 5 settembre 2004, Anno 84

La santa alleanza a Nassiriya
Il prete ed il soldato



E se non basta la retorica in mimetica, ecco arrivare, in soccorso, l'aiuto della Chiesa.
Che le cose a Nassiriya, per il contingente italiano, non vadano troppo bene, è fin troppo evidente. Nonostante l'indiscussa "simpatia" di cui - ci dicono con sospetta insistenza - godrebbero le nostre truppe presso la popolazione locale, non passa giorno, ormai, che qualche mattacchione armato di kalashnikov non si eserciti al tiro al bersaglio contro i lagunari della "Serenissima" o i soldati del "Genova Cavalleria". Con una ricaduta di immagine, per la nostra missione di pace, sempre più ingombrante e difficilmente sostenibile, anche per un sistema dell'informazione quale il nostro, completamente embedded nei pannicelli caldi dei comunicati ufficiali degli alti comandi.

Ma, come dicevamo all'inizio, a portare il suo santo soccorso non poteva mancare il Vaticano, nientepopodimeno, poi, che nella persona di mons. Angelo Bagnasco, ordinario militare per l'Italia. Leggiamo infatti, sul paludato "Corriere della Sera", un ispirato articolo con il quale veniamo informati che il summenzionato prete, una specie di generale dei cappellani militari, si è recato a Camp Mittica per celebrare una commovente e toccante funzione assieme al cappellano del posto Mauro Amato. Cogliendo a pretesto, infatti, il desiderio di una cinquantina di quei baldi giovanotti di cresimarsi (i sessanta gradi di Nassiriya sembrano davvero fare brutti scherzi), l'alto prelato della "chiesa con le stellette" ha inteso rinfrescare la memoria dei soldati italiani, ribadendo loro i "veri" motivi per i quali si trovano a fare la guerra a un popolo che della loro presenza, stando ai fatti, proprio non ne vuole sapere. Presenza che, a suo dire, non è dovuta agli stranoti interessi strategici ed imperialistici della superpotenza e dei suoi tirapiedi, ma al fatto che "gli italiani vengono visti con simpatia ed affetto da questi popoli, al punto da essere punto di riferimento per un futuro migliore. Anche se non tutti vogliono e capiscono quanto stanno facendo. Ma sono pochi, una piccola minoranza". E infatti, continua imperterrito e impermeabile al ridicolo questo prete in divisa: "La loro è un'attività svolta con animo cristiano, ispirata dai veri valori della solidarietà, e che li segnerà nel profondo".
Se lo dice lui, uomo di chiesa e quindi di verità, non resta che credergli!

È stupefacente come i preti, dall'ultimo parroco di campagna al più alto gerarca curiale, riescano sempre a tenere i piedi in tutte e due le staffe. Talmente bravi, in questa difficile arte dell'inganno, che sarebbero capaci, se necessario, di occupare con soli due piedi anche una terza o una quarta staffa. Roba che la famosa ed esecrata doppiezza togliattiana di antica memoria sbiadisce come un gioco da ragazzi!

È noto come, sulla questione irachena e sull'intervento armato di americani e alleati, il Vaticano abbia avuto una posizione ufficiale non schierata sulla necessità della guerra. Pur con tutti i distinguo del caso, la Chiesa si è guardata dallo sposare passivamente le posizioni guerrafondaie, spendendosi  piuttosto per una soluzione diplomatica e non militare della sostituzione di Saddam Hussein. Lasciando da parte, infatti, le corpose tangenti petrolifere che il raìs ha profuso a piene mani a esponenti di punta dell'integralismo cattolico lombardo, o lo storico filoarabismo in chiave antigiudaica che da sempre contraddistingue le politiche papali, è indubbio che l'udienza concessa dal papa a Tarek Aziz a poche ore dall'inizio dell'invasione e la massiccia partecipazione delle realtà cattoliche al movimento contro la guerra abbiano dimostrato un effettivo interesse a che la seconda guerra del Golfo non scoppiasse. E non spetta a noi giudicare la buonafede con la quale migliaia di cattolici hanno manifestato per le strade il loro sentire pacifista.

Resta il fatto, però, che una volta fatta la frittata, anche la chiesa si sia apprestata a sedersi, come al solito, alla tavola imbandita. Con lo stile sperimentato in duemila anni di potere, infatti, le gerarchie ecclesiastiche si sono apprestate a recitare il solito gioco delle parti, fatto di declamazioni e reticenze, di due passi avanti e tre indietro, di dichiarazioni a favore e dichiarazioni contro, di appoggio all'uno e consenso all'altro..., evitando così, al di là delle generiche e patetiche invocazioni alla pace, di mantenere fede con coerente fermezza a quei principi di amore e fratellanza ai quali dice di essere ispirata.

Non stupisce, quindi, che nel momento stesso in cui il Vaticano si dichiara opportunisticamente disponibile ad un'opera di mediazione fra le parti, mandi un suo importante prelato a legittimare, e santificare, le evidenti nefandezze di cui si rendono protagonisti i soldati italiani (e in guerra non può essere diverso): costretti, più o meno, a sparare sui civili, ma almeno cresimati. Dove sia tutta la superiorità etica e morale di cui vanno continuamente cianciando, resta davvero difficile da capire!

Del resto, potevamo davvero aspettarci qualcosa di diverso dai preti?

Massimo Ortalli

















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