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Umanità Nova, numero 27 del 12 settembre 2004, Anno 84

Le parole e i fatti
Migranti: verso uno stato di polizia



Nel mese di luglio la Corte Costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzionale di due norme della legge Bossi-Fini (L. 30.7.2002 n. 189 di modifica del DLgs 286/98, il Testo Unico sull'immigrazione). In particolare sono stati ritenuti incostituzionali il comma 5bis dell'art. 13 del DLgs 286/98 che prevedeva l'esecuzione immediata, prima di ogni valutazione in sede giudiziaria, del provvedimento di accompagnamento alla frontiera disposto dal prefetto (c.d. espulsione amministrativa), nonché il comma 5quinquies dell'art. 14 DLgs 286/98 che prevedeva l'arresto obbligatorio dello straniero che aveva violato l'ordine del questore di allontanarsi dal territorio dello stato entro 5 gg. dopo esser stato rilasciato da un centro di permanenza temporanea senza che fosse stato possibile espellerlo. In entrambi i casi, fin dalla promulgazione di tali norme, erano palesi le violazioni dei più elementari principi costituzionali relativi alla libertà personale e al diritto di difesa.

Contemporaneamente, sempre a luglio, si è assistito alla vicenda degli immigrati della Cap Anamur: in questo caso, per giorni, una volta sbarcati, è stato impedito o reso difficilissimo, ogni contatto tra gli immigrati e avvocati e gruppi di assistenza, in modo da impedire che i richiedenti asilo potessero esercitare i loro diritti e che venissero espulsi il prima possibile. Di fatto, alcuni emigrati sono letteralmente spariti, trasportati segretamente da un centro di permanenza temporanea all'altro, in un gioco al rimpiattino tra polizia, legali, associazioni di sostegno.

Le due vicende consentono alcune riflessioni. È chiaro che per gli immigrati vige un sistema repressivo gestito in gran parte dal punto di vista meramente amministrativo da questure e prefetture, il cui operato subisce un controllo giurisdizionale difficoltoso e che il ministero dell'interno cerca di impedire o rendere inutile: prima si espelle e poi si vedrà: questo è l'impianto voluto dalla Bossi-Fini (che ha solo peggiorato la già grave situazione per gli stranieri voluta dalla ulivista legge Turco-Napolitano). La tensione tra operato amministrativo e controllo di legittimità dello stesso demandato ai giudici denuncia la partita in corso all'interno dell'ordinamento. Nella classica tripartizione liberale dei poteri (legislativo, esecutivo-amministrativo, giudiziario), il gioco sta nell'impedire che uno dei tre prevarichi gli spazi degli altri. Storicamente, il prevalere dell'esecutivo sugli altri due, denuncia un deteriorarsi della democrazia e un restringimento degli spazi di libertà e partecipazione, fino all'estremo del c.d. stato di polizia. Lo spostamento di potere sull'esecutivo è giustificato, normalmente, da esigenze eccezionali, talché l'emergenzialismo viene sempre sbandierato per legittimare norme che comprimono diritti fondamentali: il problema è fino a che punto arriverà la compressione e, soprattutto, quanto di artificiale vi sia nel richiamo stesso all'emergenza.

La riflessione può quindi allargarsi e non è chi non veda come la situazione internazionale sia dominata da un'emergenza, il terrorismo, dai contorni sfumatissimi e la cui presenza ha comportato l'instaurarsi di una prassi liberticida. In particolare ci riferiamo alla possibilità di trattenimento senza giudizio e per un tempo illimitato in luoghi segreti o tipo Guantanamo di sospetti da parte di Stati Uniti e Gran Bretagna e delle norme che hanno allargato i poteri polizieschi di controllo su tutti i cittadini in quei due paesi. Anche qui, il controllo giurisdizionale è totalmente impedito o reso arduo. La creazione di un doppio regime giuridico (per gli stranieri, per i sospetti, ecc.) vulnera gravemente lo stato di diritto ed ha la funzione di sperimentare la tenuta delle democrazie occidentali: l'esecutivo si espande sull'onda dell'emergenzialismo, sottrae spazi al potere legislativo (produzione di norme per decreto governativo anziché legge parlamentare) e a quello giudiziario (applicazione di misure coercitive come detenzione o espulsione senza che il soggetto possa ricorrere ad un giudice), testa la capacità di reazione dell'opinione pubblica alla compressione dei diritti di fette della società.

Dove si sente abbastanza forte, il potere esecutivo agisce e basta. Il caso della guerra in Iraq è emblematico. Montato il baraccone mediatico delle armi di distruzione di massa di Saddam, si è passati alla guerra guerreggiata. Occupato l'Iraq, Bush e Blair, hanno ammesso di essere stati ingannati dai loro servizi segreti. Risultato: nessuno, l'Iraq resta occupato. All'opinione pubblica resta la soddisfazione di sapere che il sistema è capace di ammettere i propri errori: questa sarebbe la superiorità della democrazia rispetto agli altri regimi di governo. Il problema è però lo stato di fatto, vera essenza del potere esecutivo che prima agisce e poi (eventualmente) subisce un controllo. Lo stato di fatto creato in Iraq, così come lo stato di fatto dell'espulsione di uno straniero senza alcun controllo hanno la natura dell'irreparabilità. Si pensi che la Bossi-Fini è del luglio 2002; a luglio 2004 due norme palesemente illegittime già quando furono scritte sono state (finalmente) dichiarate incostituzionali e quindi cancellate con efficacia dalla promulgazione; ma: e in questi due anni quante volte sono state applicate? E che si fa con gli stranieri espulsi sulla base di norme palesemente illegittime fin dall'inizio? Li si va a cercare al loro paese e gli si chiede scusa? Li si riporta in Italia e gli si permette di ricominciare là da dove il loro cammino di migranti si era interrotto bruscamente?

La lenta erosione degli spazi di libertà che è in corso ha modelli storici conosciuti. Il gioco tra i tre poteri delle democrazie liberali non ci appassiona (non è che tifiamo per la magistratura o il parlamento contro il governo), ma illuminare il processo in corso all'interno delle democrazie occidentali conferma piuttosto la bontà della scelta dell'azione diretta: allo stato di fatto dei governi e degli stati va contrapposto l'esercizio diretto della libertà proprio perché è questa la posta in gioco, sempre, ma soprattutto in un frangente storico come questo, in cui anche tradizionali diritti liberali sono in sofferenza e il mero richiamo a questi ultimi o alla democrazia rappresentativa appare limitato e limitante. All'effettività dell'agire dell'esecutivo, va contrapposta l'effettività del nostro agire, cioè l'esercizio concreto della libertà.

Simone Bisacca

















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