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Umanità Nova, numero 28 del 19 settembre 2004, Anno 84

Rapita la speranza
Gli sporchi giochi della politica tra Baghdad e Roma




Quello che fa arrabbiare è che sono due come noi, due di noi. Due ragazze convinte che non possono essere i rapporti di forza a governare il mondo, che la parola "solidarietà" non è moneta da spendere ai mercati delle vacche che animano la politica, e che gli interventi armati, in Iraq come dovunque, sono fonte di dolore e di tragedie più grandi di quelle a cui, come raccontano, si vorrebbe porre fine. E sulla loro pelle si gioca l'ennesima, sporca e sporchissima partita di potere.
Non vogliamo rifarci alle facili ipotesi che in questi giorni sono sulla bocca di tutti ma che nessuno vuol fare a voce alta. Non intendiamo perciò suggerire, come da più parti si fa in Iraq e in Europa, che dietro a questo rapimento si nascondano i cinici giochi dei servizi occidentali che hanno buttato sul tavolo degli scambi di favori, dei ricatti e dei condizionamenti, le esistenze di Simona Pari e Simona Torretta, ma non per questo possiamo esimerci dal fare alcune considerazioni che nascono spontanee osservando le reazioni politiche ed istituzionali che questo rapimento ha messo in atto.

Innanzitutto, le modalità.
D'accordo, Baghdad è Baghdad e dire che sia una città sicura è una bestialità. Tutto può accadervi, e infatti tutto vi accade. Anche che un commando di una quindicina di persone, perfettamente addestrate e inquadrate, riesca ad entrare, in pieno giorno e a bordo di tre fuoristrada scoperti, nella zona più protetta e sorvegliata della città. E riesca a prelevare quattro persone, di cui ha nominativi e foto segnaletiche, al termine di un'operazione che tutti i testimoni hanno descritto come opera di militari professionisti. Comunque sia, è sicuramente una banale coincidenza che il rapimento avvenga a pochi giorni dall'insediamento del nuovo ambasciatore americano in Iraq, quel Negroponte resosi famoso per aver organizzato la controguerriglia in Nicaragua e a El Salvador ai tempi di Reagan. Come è una coincidenza che un giorno prima dei fatti, il direttore del Sismi, in una audizione parlamentare, abbia previsto nuovi sequestri di italiani in Iraq, ed espressamente di donne. Ah, non c'è che dire, come sono informati i nostri servizi di informazione!

E poi le contropartite.
Visto che, come dicevamo in precedenza, non vogliamo pensare male né abbandonarci a facili dietrologie, prendiamo il toro per le corna e fidiamoci di quanto raccontano tante persone a cui "conviene" dar credito: e cioè che dietro il rapimento ci siano davvero gli iracheni. E non, si badi bene, gli esponenti di quella presunta resistenza popolare negata a gran voce dalle coefore di un'informazione allegramente autoimbavagliata, ma volgari e brutali terroristi con i quali non è possibile alcuna forma di dialogo. Ebbene, quali brillanti risultati hanno ottenuto, e otterranno, questi ipotetici geni della guerriglia? Come pensano di aver fatto progredire il progetto di liberazione della comunità islamica di cui dicono di essere i paladini?

Si sono visti, si sono visti eccome questi brillanti risultati. Innanzitutto i pochi occidentali la cui presenza poteva ancora fungere da deterrente e cattiva coscienza per gli occupanti, si troveranno costretti, prima o poi, ad abbandonare l'Iraq. E così un po' di testimoni in meno! Secondariamente, la sconcertante brutalità di questo infame rapimento ha rimesso, qui da noi, le cose a posto: non ci sono arabi buoni che lottano per affrancarsi dalla "tutela" occidentale, ma solo terroristi affamati di sangue (visto che rapiscono le pacifiste) e così quella legittimazione della resistenza all'occupazione americana, che lentamente stava prendendo quota anche in ambienti tradizionalmente ostili, va a finire a carte quarantotto. Con buona pace degli sforzi di quanti, in Europa e in America, non hanno mai smesso di opporsi alla guerra. E per finire, ultimo ma non meno importante, si è ricreata in Italia quella sconcertante "unità nazionale contro il terrorismo", che già negli anni settanta aveva soffocato sotto una cappa di greve e obbligato "consenso" ogni possibilità di capire e interpretare con lucidità le cause e le ragioni (più o meno legittime) dei fenomeni contro i quali si chiamava a raccolta l'intero paese. E l'imprevedibile rapidità con la quale si è ricreata, da destra a sinistra, questa equivoca unità di intenti, non può non far pensare che non si aspettasse altro per dare finalmente fiato alle trombe. Si sa, la finanziaria e il federalismo sono alle porte e i giochi sono di nuovo aperti, e quindi cosa di meglio del rapimento di due giovani donne inermi, due pacifiste di sinistra, per ricompattare una classe politica che spesso si differenzia al suo interno solo per il colore della cravatta? E poi, chi può negarlo, ... in fondo se la sono andata a cercare!

Temiamo, temiamo fortemente, che Simona Pari e Simona Torretta possano essere le nuove vittime sacrificali da immolare sugli immondi altari delle ragioni di stato. Delle ragioni di chi deve rivincere, magari in modo meno truffaldino, le prossime elezioni presidenziali; di chi deve ricreare un'unità di intenti talmente bipartisan da garantire il processo di riforme "di cui il paese ha tanto bisogno"; di chi deve mettere la sordina a una opposizione intransigente alla guerra che non sembra più moneta cantante in termini elettorali. Delle ragioni, infine, di chi continua a far credere alle masse sfruttate dell'Islam che la loro emancipazione potrà partire solo dalle moschee fondamentaliste per concludersi nella venerazione dei sanguinari Imam di turno.
Temiamo per queste nostre due "compagne", ma non possiamo rassegnarci, e vogliamo rivederle fra noi, a manifestare contro la guerra, a esercitare la loro solidarietà, a esprimere la loro umanità fatta di impegno e consapevolezza. Vogliamo rivederle fra noi, vive!

Massimo Ortalli


















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