Umanità Nova, numero 28 del 19 settembre 2004, Anno 84
A distanza di alcuni giorni dagli eventi la dinamica della strage di
Beslan continua a non risultare chiara. La scomparsa di più di
100 persone avvenuta durante il primo tentativo di fuga degli ostaggi e
nel corso del convulso attacco delle squadre speciali continua a tenere
banco. Molti genitori non si rassegnano alla scomparsa dei figli e
alimentano storie riguardanti una fuga di alcuni rapitori con una parte
degli ostaggi che non possiedono alcuna relazione con la realtà.
Probabilmente i corpi dei loro cari sono spariti nell'immondo carnaio
seguito a quella che probabilmente passerà alla storia come la
peggiore azione di commando mai eseguita da un reparto speciale nel
mondo.
Naturalmente la dimensione della tragedia sta alimentando polemiche continue che il governo russo sta cercando di chiudere con i metodi autoritari che gli sono consueti: il governo dell'Ossezia del Nord ha svolto la funzione di capro espiatorio ed è stato mandato a casa dal Presidente della Repubblica autonoma noto per essere uno degli uomini più vicini al Presidente russo nell'intero Caucaso, mentre il direttore delle Isvestjia ha pagato con il licenziamento la coraggiosa posizione presa contro Putin, ritenuto a ragione l'ispiratore dell'arruffato colpo di mano con il quale le forze speciali russe hanno assaltato la scuola "numero uno" provocando la strage che conosciamo tutti.
Nei giorni successivi è stato programmato sulla televisione russa un filmato girato dai guerriglieri asserragliati all'interno della scuola che è obiettivamente ributtante. Il sequestro di bambini e la loro esecuzione non viene minimamente ridimensionata dalle equivalenti atrocità compiute dalle truppe russe in Cecenia e dai loro alleati locali, la gang dell'ex Presidente Kodirov. La messa in atto della macelleria di Beslan segna un ulteriore passaggio nel generale imbarbarimento del conflitto in quell'area, non diversamente da quanto sta avvenendo in Iraq dove truppe di occupazione americana e gruppi di guerriglia dediti ai sequestri stanno facendo a gara nell'azione più atroce. Su questo si deve essere chiari: i gruppi di guerriglia organizzati usano questo tipo di azioni in quanto privi dei mezzi occidentali per la barbarie asettica come aerei e carri armati che permettono di massacrare migliaia di civili, anche bambini, senza alcun coinvolgimento diretto dell'uccisore; le azioni si fanno tanto più atroci quanto più le truppe di occupazione, gli occidentali in Iraq e i russi in Cecenia, compiono azioni sempre più feroci e sprezzanti contro la popolazione locale in modo da spingere la guerriglia a compierne di altrettanto barbare perdendo ogni simpatia nell'opinione pubblica mondiale. Non dobbiamo dimenticarci che le azioni contro ospedali e scuole della guerriglia cecena arrivano dopo anni di distruzione scientifica della loro terra, e che i gruppi islamici in Iraq hanno iniziato a sgozzare gli ostaggi dopo la ben orchestrata fuga di notizie sul carcere di Abu Grahib.
Le azioni più feroci della guerriglia cecena, non diversamente dagli sgozzamenti davanti ad una videocamera compiuti dai gruppi islamici in Iraq non sono però esclusivamente una reazione alla barbarie tecnologica di occidentali e russi ma la cartina di tornasole che ci permette di giudicare l'imbarbarimento delle lotte di indipendenza nell'area islamica il cui inizio coincide con l'affermarsi del wahabismo come dottrina religiosa e politica in quella parte del mondo musulmano compresa all'interno dei confini di stati non musulmani. Il wahabismo, non diversamente dagli integralismi cristiani od ebraici, è un'arma che si adatta perfettamente alla ferocia di queste guerre perché rifiuta di riconoscere all'altro la comune appartenenza al genere umano. Se le classi dominanti occidentali sono state costrette ad inventarsi motivazioni di tipo umanitario per giustificare davanti alle proprie popolazioni le politiche di colonizzazione del Sud del mondo e l'utilizzo di armi di distruzione di massa nei confronti delle popolazioni ribelli, le élite del mondo islamico dispongono di strumenti più rozzi ma altrettanto efficaci per guidare una lotta per la propria affermazione che richiede l'utilizzo del terrore nei confronti dei dominati dell'occidente.
Dal punto di vista politico si debbono rimarcare le progressive difficoltà del progetto putiniano di ritorno in grande stile della Russia sul palcoscenico mondiale. È del tutto evidente che Beslan e gli attentati della settimana precedente hanno come obiettivo quello di mettere in dubbio la capacità dell'ex agente del KGB di salvaguardare la popolazione russa dalle conseguenze della guerra in Cecenia. La manovra di Putin e del suo entourage consistente nell'attribuire al terrorismo internazionale e, in particolare, ad Al Qaeda la strage di Beslan risponde proprio a questo tentativo di delegittimazione con l'attribuzione dell'attentato ad un'entità insieme inafferrabile e demoniaca. In questo modo il Presidente russo cerca anche l'approvazione europea ed americana al suo operato invocando un comune nemico.
La realtà, ovviamente, è ben diversa e vede nel focolaio caucasico la radice di quanto sta avvenendo. Dietro alle clamorose azioni della guerriglia, però, non c'è solo la resistenza di una popolazione da sempre non assimilata contro lo stato russo che, nelle varie forme assunte negli ultimi due secoli, ha sempre operato nell'area in modo oppressivo e colonizzatore. Quello che salta agli occhi nella situazione russa è l'insieme di interessi che si muovono contro ogni ipotesi di rilancio della Russia come media potenza a cavallo tra Europa ed Asia. Non si tratta solo della vicenda degli oleodotti caucasici destinati a trasportare le risorse energetiche del Caspio verso l'Europa, ma più in generale della possibilità per gli Stati Uniti e per i loro alleati locali di inglobare le immense ricchezze minerarie ed energetiche della stessa Russia, e di bloccare sul nascere lo sviluppo di un'asse tra il paese eurasiatico, l'Iran, l'India e la Cina. Questi ultimi due paesi, pur ferocemente rivali, sono entrambi interessati all'acquisizione di quote progressivamente più elevate di petrolio e gas per servire le loro economie in crescita mentre l'Iran necessita di aumentare le esportazioni di risorse energetiche per finanziare il proprio sviluppo. India e Cina dipendono oggi da gas e petrolio controllati dagli Stati Uniti e da un mercato guidato dalle multinazionali angloamericane, mentre l'Iran deve vendere quote prefissate a un prezzo deciso dagli stessi poteri. A tutti e tre questi paesi farebbe comodo un rafforzamento dei legami con la Russia paese insieme esportatore di materie prime e di tecnologie nucleari. Non a caso l'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica sotto pressione USA ed israeliana attacca oggi l'Iran perché questo paese sta sviluppando un piano di sviluppo dell'energia atomica grazie alle tecnologie acquisite dai russi. Il pericolo di un futuro sviluppo bellico di tali ricerche è abbastanza remoto anche perché l'ultimo accordo tra Iran e AIEA prevede controlli anche a sorpresa proprio per evitare una simile eventualità. Sotto attacco è proprio la collaborazione russa alla politica di sviluppo dell'Iran.
Gli Stati Uniti e le multinazionali che controllano il mercato gaspetrolifero, però, non sono gli unici attori interessati allo sfascio politico russo e al controllo delle risorse del paese. I cosiddetti oligarchi russi, i neo miliardari che hanno creato la loro fortuna nel periodo eltsiniano sulla finanziarizzazione dell'economia del paese, sostenuta dal denaro fresco ottenuto svendendone le risorse, sono stati colpiti in questi anni dalla politica del gruppo dirigente putiniano tendente a riportare sotto controllo le ricchezze del paese e ad utilizzarle per favorire lo sviluppo di un capitalismo nazionale per il quale servono denaro, disponibilità energetica e rapporti stretti con i paesi europei che sono i naturali destinatari sia del gas e del petrolio russi sia della produzione a basso costo e ad alto valore aggiunto del paese. La quasi ovvia complementarietà tra un paese con molte risorse naturali, basso livello tecnologico e un apparato industriale da ricostruire, con paesi al contrario ricchi di tecnologia, di capacità produttiva e di capitali da investire sul terreno produttivo, ma poverissimi di materie prime come Francia, Germania, Italia e Spagna, è evidente. L'unica politica sensata che il gruppo dirigente russo può svolgere per favorire il proprio sviluppo economico è quella di costruire rapporti sempre più stretti con questi paesi dal punto di vista commerciale e di scambio materie prime – tecnologie avanzate. Questa prospettiva non allarma solo gli americani che perderebbero il controllo su una quota rilevante delle risorse energetiche mondiali e su una parte del commercio internazionale, ma anche gli oligarchi russi che vedrebbero messa in forse la propria rendita di posizione garantita dalle banche americane e dalla completa disponibilità dalle risorse russe. Putin per iniziare il proprio avvicinamento ai paesi europei ha, infatti, dovuto iniziare la resa dei conti con i padroni delle grandi concentrazioni industriali del settore energetico e minerario utilizzando ogni mezzo a propria disposizione e colpendo un uomo simbolo come Berevozkji oggi chiuso in una prigione russa. Lo stesso finanziere russo, d'altra parte, è sospettato fin dal 1999 di coltivare rapporti strettissimi con il comandante ceceno Shamil Basayev riconosciuto responsabile della strage di Beslan e che arrivò alla notorietà dopo l'assalto a un ospedale in Daghestan. Già all'epoca si sussurrava che il magnate russo fosse interessato ad impedire una successione a Eltsin che non tenesse conto dei suoi interessi. Oggi, con tutta la struttura degli oligarchi russi sotto attacco, non sembra impossibile pensare che l'antico patto tra questi signori e un settore della guerriglia cecena continui ad operare al fine comune di sfasciare il paese ed impedire l'affermazione di un potere forte alternativo a quello dei grandi finanzieri. Sul "Manifesto" di sabato 11 settembre Manlio Dinucci faceva notare che tutte le azioni di Basayev sono avvenute al momento giusto per sabotare il funzionamento degli oleodotti tra il Caspio e il porto di Novorossjisk, sia in Cecenia, sia in Daghestan, e che a ogni soluzione alternativa alla Cecenia pensata dai russi per il passaggio del greggio e del gas verso l'Europa abbia sempre corrisposto un allargamento del raggio di azione della guerriglia cecena. La prospettiva è interessante ma credo che il discorso vada allargato dalle risorse petrolifere e dalla "guerra degli oleodotti" alla questione del controllo della Russia più in generale.
Lo stesso Putin nell'applicazione di un sempre maggiore autoritarismo interno, ha iniziato a indicare l'assedio interno-esterno al potere in Russia come causale delle ultime azioni di guerriglia in Russia e ha minacciato di "colpire il terrorismo" ovunque abbia le sue basi. Quest'ultima frase è visibilmente una minaccia non tanto nei confronti degli USA quanto verso quegli alleati di Washington nell'area come la Georgia che sono da sempre sospettati di finanziare la guerriglia cecena e di permettergli il passaggio sul proprio territorio. Dal momento che il, paese caucasico ha non pochi contenziosi aperti con Mosca su Abkhazia, Ossezia del Sud e basi russe sul territorio georgiano non ci dovrebbe stupire se nei prossimi mesi la parola tornasse alle armi anche in questo altro angolo di Caucaso.
Giacomo Catrame