Umanità Nova, numero 28 del 19 settembre 2004, Anno 84
Tale di questo popolo è lo stato
quale di nave in un mar d'abisso.
(versi di un antico poema urdu)
L'estate afgana è stata, a tutti gli effetti, un'altra estate di guerra.
Anche se la permanente cappa di silenzio con cui le autorità Usa
cercano di coprire quest'altro infausto fronte della loro guerra, la
stagione estiva ha visto sia un'intensificarsi delle azioni di
guerriglia e degli scontri, sia il complicarsi ulteriore della
situazione politico-sociale e dei conflitti tra i diversi signori della
guerra e del narcotraffico.
Dopo un maggio cruentissimo, il bollettino estivo della guerra, seppur frammentario, è oltremodo eloquente.
29 maggio: quattro soldati Usa morti in conseguenza di un attacco nella provincia di Zabul. Attacchi anche nella provincia di Helmand e nella città di Musa Qala, con una decina di soldati governativi uccisi.
2 giugno: uccisi cinque operatori di Medici senza Frontiere. Msf decide di lasciare l'Afganistan, denunciando sia il fatto che le forze speciali utilizzano abiti civili sia che i militari della coalizione distribuiscano volantini che vincolano la distribuzione degli aiuti alla collaborazione col governo.
18 giugno: colpi di lanciarazzi sparati contro la sede dell'Alto commissariato dell'Onu per i rifugiati a Kandahar, l'attacco segue di pochi giorni l'omicidio del capo del dipartimento governativo per i rifugiati. Un interprete morto e due militari Usa feriti per una mina; feriti anche due soldati neozelandesi in scontri con miliziani.
24 giugno: due marine Usa morti in un'imboscata nella provincia di Kunar; intervenuto un aereo statunitense in appoggio.
26 giugno: a Jalalabad bomba uccide tre donne che lavoravano al censimento per conto dell'Onu.
28 giugno: sedici afgani sarebbero stati assassinati dai talebani in quanto avevano risposto al censimento pre-elettorale.
30 giugno: attentati a Jalalabad, 27 feriti; a Kandahar attaccato un convoglio che portava viveri alle truppe Isaf, rapiti dodici autisti.
19 luglio: un alto comandante dell'esercito governativo della provincia orientale di Kunar è ucciso da uomini armati a Kabul.
1 luglio: il governo britannico annuncia l'invio di ulteriori truppe in Afganistan, come deciso dal vertice Nato di Istanbul.
22 luglio: uccisi undici militari governativi in un agguato dei talebani nel distretto di Dishu, a 570 km. da Kabul. Durante altri scontri a Uruzgan i marine Usa avrebbero ucciso dieci miliziani fondamentalisti.
28 luglio: bomba nella moschea di Ghazni al cui interno si stava svolgendo il censimento in vista delle elezioni; sei morti tutti afgani, tra i quali due che lavoravano per l'Unama, missione di assistenza dell'Onu, impegnati nel censimento.
12 agosto: visita lampo a Kabul e a Jalalabad del segretario alla difesa Usa Rumsfeld che dichiara "il maggior numero di taleban che si ritrovano insieme costituiranno un target migliore, saranno uccisi o catturati più in fretta". Intanto precipita un elicottero Usa nella provincia di Khost; morto un marine e altri 14 feriti; come al solito le autorità militari non ammettono le cause.
28 agosto: esplode una bomba nella scuola coranica nel villaggio di Naiknaam, i morti sono almeno dieci; si ipotizza una ritorsione talebana per l'ospitalità data ad una organizzazione non governativa che garantisce l'insegnamento alle donne.
29 agosto: autobomba a Kabul contro la sede della Dyncorp, una compagnia di sicurezza Usa che sta addestrando la nuova polizia afgana; fonti governative parlano di dieci-quindici morti, tra i quali due statunitensi.
30 agosto: raid aereo statunitense nella provincia di Kunar in risposta ad attacco talebano contro postazioni governative; uccisi sei civili dalle bombe Usa.
9 settembre: attacco con missili a Kabul contro una stazione di polizia, nell'aeroporto della capitale e a "Camp Warehouse", base delle truppe ISAF: almeno 1 morto e due feriti.
In questo quadro, dopo due rinvii, per il 9 ottobre sono state fissate le elezioni presidenziali, mentre quelle legislative sono state rimandate al prossimo anno. Un ulteriore rinvio non appariva possibile, sia perché nei prossimi mesi l'inverno renderà impraticabile il territorio, sia perché comunque una parvenza di normalità democratica era indispensabile alla campagna elettorale di Bush che, infatti, ha sbandierato tali elezioni alla convention repubblicana.
In realtà parlare di democrazia e normalizzazione in Afganistan è un vero non sense.
Il censimento degli elettori, avvenuto tra assassinii e brogli, appare del tutto inattendibile; in un anno si sono registrate almeno mille vittime, in larga parte civili, nonostante la presenza degli 8.500 militari dell'Isaf (International Security Assistance Force), sotto comando Nato, comprendente anche il contingente italiano e dei circa 18.000 soldati anglo-americani dell'operazione Enduring Freedom; nelle carceri è praticata la tortura e non si conosce il numero gli oppositori scomparsi; nelle province rimangono padroni i vari signori della guerra, con le loro armatissime milizie e le loro produzioni di oppio; i talebani hanno ripreso forza e sono in grado di controllare intere aree del paese.
In simile contesto per difendere il "normale svolgimento" delle elezioni, i comandi Usa e Nato hanno accelerato l'operatività della Polizia Nazionale e dell'Esercito Nazionale afgani costituendo una nuova Rapid Action Division, composta da militari afgani, tutti armati di AK-47 e dotati di 100 jeep fornite dall'Unama, ossia da quella che dovrebbe essere una missione di assistenza dell'Onu. Tale forza d'intervento rapido è già entrata in azione nella provincia di Herat ed è stata impiegata per mantenere l'aeroporto di Shindand sotto il controllo del cosiddetto governo islamico transitorio.
Ma forse l'aspetto più paradossale delle imminenti elezioni presidenziali sono proprio i 18 candidati. Oltre ad Amid Karzai, l'attuale capo del governo provvisorio, vi sono i diversi signori della guerra, compreso il famigerato generale Dostum. Si tratta di personaggi a dir poco inquietanti, con alle spalle un passato di sangue, complicità e tradimenti, in rappresentanza non di partiti o movimenti politici, ma di clan con proprie milizie; Karzai, il candidato favorito degli Stati Uniti, per assicurarsi la vittoria su questi concorrenti, sta trattando persino con settori del passato regime talebano, e qui la farsa elettorale risulta in tutta la sua ambiguità.
Uncle Fester