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Umanità Nova, numero 29 del 26 settembre 2004, Anno 84

Stragi di Stato
Massacri in Iraq, lager per migranti in Libia, uranio alla Maddalena



Ci sono morti che pesano come macigni, altre non sono che piume sollevate da un vento capriccioso che le muove e le manda lontano. Lì si perdono tra la polvere ove giacciono i tanti che in vita non hanno avuto che ombre lievi, indistinte, i tanti la cui voce si confonde nel rumore di fondo dei giorni e delle sere che ci accompagnano, senza mai levarsi oltre il balcone di casa, senza mai farsi narrazione, perché destinata al breve spazio della ciarla, del sussurro familiare, delle grida il cui eco si perde nei cortili.

Eppure delle volte vorresti che urlassero per scuotere le coscienze intorpidite dei più, di quelli che si affannano solo quando la morte diventa spettacolo, quando la barbarie si fa esplicita, gridata, rivendicata. In prima pagina di quasi tutti i quotidiani spicca la notizia dell'ostaggio macellato là, tra il Tigri e l'Eufrate, dove la morte, per fare notizia, per bucare i media, deve essere orrenda, esibita, fotografata, filmata. Reality show di massa. Mica roba per pochi, come i film dell'orrore le cui vittime invisibili e negate affiorano mutilate, violate nel deserto del Messico. Piume senza valore, senza volto, senza storia che non sia quella sempre uguale della sopraffazione, della miseria, del disprezzo per le donne. 

Se poi a morire sono gli iracheni, quelli che la fame spinge in fila ad arruolarsi, quelli che giocano in mezzo alle bombe inesplose, quelli che finiscono a brandelli nel centro di un mercato, quelli che le bombe triturano tra i cumuli di macerie delle case di Falluja, allora non ci sono neppure le riprese perché l'ennesima replica dello stesso sceneggiato ormai annoia. Meglio le miss, meglio le veline, che tette e culi non vanno mai fuori mercato. È pelle fina, di prima scelta, altro che le miserie dell'Iraq, la polvere, le facce stanche, così stanche che non mostrano neppure la disperazione. Altro che gli sguardi grevi delle donne irachene, imprigionate nei loro manti neri, la cui vita vale meno di nulla. Quelle che finiscono in carcere, quel carcere da cui i fondamentalisti vorrebbero liberarle, vengono torturare e violate dai carcerieri e, se liberate, vengono uccise dai parenti per cancellare l'onta subita.

Le carneficine non ci toccano, non ci riguardano, sono roba da gente barbara, gente che non vale come noi. Oggi come ier l'altro, quando le truppe del generale Graziani ammazzavano, impiccavano, torturavano i libici. Bazzecole, roba ormai passata, tanto che Fini, il vicepremier (post)fascista vorrebbe che i libici ci mettessero una pietra sopra, cancellando il "giorno della vendetta" contro gli italiani, in ricordo della battaglia di Sciara Sciat, quando le truppe coloniali del generale Caneva ebbero la peggio. Sarebbe come chiedere agli ebrei di cancellare il ricordo della Shoah, o ai ruandesi di dimenticare il genocidio di cui sono stati vittime, mentre il mondo "civile" taceva. Si sa: quando c'è bisogno di un "giorno della memoria" è perché quando si poteva guardare si è distolto lo sguardo, quando si poteva gridare si sono serrate le labbra.

L'avventura coloniale italiana è costata la pelle ad un libico su otto ma di questo, tra gli italiani "brava gente" non c'è ricordo, non c'è narrazione, non c'è vergogna. E così, dopo i campi di concentramento terribili dove venivano rinchiusi i ribelli libici, destinati a morire di stenti o sulle forche, gli eredi di Benito Mussolini chiedono che si aprano nuovi campi, per rinchiudervi i migranti che dal cuore sanguinante dell'Africa approdano al golfo della Sirte, per cercare un imbarco verso il nostro Bel Paese. Niente più barconi carichi di disperati, niente più cadaveri impigliati nelle reti dei pescatori di Porto Palo, niente più galere per gente colpevole di essere nata nel posto sbagliato, niente più evasioni, feriti, morti. Solo silenzio. Il silenzio con cui si accompagnano i peggiori misfatti. Per ora il governo libico non ha accettato ma la contrattazione continua… con un po' di pazienza Gheddafi otterrà il prezzo del sangue versato allora e, chi sa, potrebbe aprire i campi di concentramento richiesti da Berlusconi. 

Quel Berlusconi la cui immagine in bandana nella villa/bunker sarda ha fatto il giro del mondo, mentre a pochi chilometri, alla Maddalena, da trent'anni nascono bambini deformi, si moltiplicano leucemie e tumori in un silenzio assordante. I lavori di raddoppio della base che ospita i sottomarini a propulsione nucleare sono iniziati da qualche settimana mentre veniva diffuso un rapporto di Legambiente sullo spaventoso inquinamento radioattivo delle alghe raccolte intorno all'isola.

Anche le vite dei bimbi della Maddalena sono lievi come piume, meri dati statistici annegati tra le scartoffie di qualche ASL, destinati a farsi presto polvere. Eppure queste statistiche ci raccontano ovunque la stessa terribile storia, una storia di morti annunciate tra la gente che vive accanto alle basi dove si prepara la guerra, dove la morte è un mestiere come un altro. Il mestiere del soldato, il mestiere del politico di professione, il mestiere dello statista che invia le truppe in Iraq, che vuole si erigano lager per migranti sull'altra sponda del Mediterraneo, che offre i propri approdi alle basi atomiche dell'amico Bush.

Ma si sa che quando le stragi sono di Stato gli eufemismi si sprecano. Le guerre sono umanitarie, i campi di concentramento si chiamano Centri di accoglienza, la leucemia è solo una fatalità imprevedibile. Ed il vento porta via ogni cosa.

Maria Matteo



















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