Umanità Nova, numero 29 del 26 settembre 2004, Anno 84
Mi sono ritrovato a pensare che gli esseri umani sono come il capitale
o viceversa: vanno là dove sono maggiormente remunerati.
L'essere umano cerca di stare meglio e quindi emigra da uno spazio del
globo ad un altro per soddisfare esigenze che vanno dalla semplice
sopravvivenza al maggior guadagno o alla soddisfazione professionale.
Emigrano dalla loro terra i poveri, ma anche i cervelli. Pure, chi
lascia la propria terra per bisogno non è così povero,
perché è riuscito almeno a mettere insieme i soldi per il
viaggio, costosissimo e rischioso. Ci sono quelli ancora più
poveri, che privi di ogni mezzo, crepano sul posto. Se guardiamo
all'Africa, soprattutto, vediamo che la maggior parte degli emigrati
viene da paesi dove il tenore di vita, pur incomparabilmente più
basso del nostro, non è così basso: dall'inferno della
fame vera e della morte per tifo o dissenteria, difficilmente si riesce
a fuggire. L'emigrazione è un fenomeno complesso: non stupisce
trovare tra gli immigrati di casa nostra un tasso di scolarità
buono; così come dovremmo riflettere sul fatto che essere un
paese oggetto di immigrazione non testimonia solo della povertà
altrui, ma anche della ricchezza nostra, nel senso che essere
destinazione di emigrati ci dice quanto ricchi siamo diventati, quanto
è ricca la nostra società: l'uomo non va dove pensa che
potrebbe essere più povero, l'aspettativa di remunerazione
dell'emigrato (di soddisfacimento dei suoi bisogni e di arricchimento)
è una controprova ineludibile del nostro benessere. Tanto
più che è evidente il fatto che gli immigrati vanno a
coprire vuoti del nostro ciclo sociale e produttivo che noi benestanti
non copriamo più: che senso hanno altrimenti le tante badanti,
gli addetti alle pulizie, i manovali dell'edilizia, gli operai generici
extracomunitari?
Intanto prosegue la dislocazione di aziende nostrane in paesi dal costo del lavoro spesso irrisorio: e questo per dire dell'industria manifatturiera. Il capitale in sé (la finanza…) non conosce da tempo frontiere, grazie anche alla rivoluzione informatica il denaro vero o virtuale viaggia di continente in continente più volte nello spazio della stessa giornata. Anzi, il suo flusso è permanente, vera rumore di fondo del nostro universo globalizzato.
Anche lui, il denaro, come il povero migrante, cerca solo di stare meglio.
Mi chiedo allora perché non si possa avere gli stessi diritti del denaro: altro che diritti umani. Si dovrebbe chiedere di essere trattati come il capitale, di essere considerati come il denaro che viaggia là dove è più remunerato. Senza barriere. Evidentemente il capitale astratto riesce ad imporsi sul lavoro vivo e ad essere più libero. Se il capitale può fare ciò che l'uomo non può, è perché è più forte. Ma giacché il capitale non ha vita propria, pare che chi lo detiene sia più forte di chi ha solo il proprio lavoro vivo da far fruttare. Così si torna all'ininterrotto conflitto tra capitale e lavoro e senza mettere i piedi nel piatto di tale questione poco diciamo di immigrazione. Giacché i migranti sono lavoro vivo cui i diritti vanno negati per mantenerne il più possibile lo stato di soggezione, la ricattabilità e quindi lo sfruttamento. Per il lavoratore salariato, quali sono la stragrande maggioranza dei migranti, la precarietà si sposa sempre con aumentato sfruttamento, con un tasso maggiore del plusvalore estratto.
Non è chi non veda (o dovrebbe vedere) come la stabilizzazione del rapporto di lavoro e l'acquisizione di diritti legati alla propria prestazione lavorativa sia stato il filo rosso delle lotte del lavoro vivo contro il capitale da quando il capitalismo e l'economia di mercato sono nati. Ultimi episodi nostrani di questa lotta che vede invece il capitale decisamente all'attacco sono la legge 30/03 (legge Biagi) e la legge Bossi-Fini. Libero come l'aria il capitale va dove gli pare e pretende che il lavoratore subordinato si adegui alle sue mutevoli esigenze: ed ecco le molteplici forme di lavoro precario della legge 30 (in affitto a tempo indeterminato, a chiamata, ripartito, a progetto, ecc.). Libero come l'aria il denaro vola di borsa in borsa, ma inchioda il migrante irregolare (mica semplice entrare con tutti i crismi di legge nello stivale…) al lavoro nero o costringe lo straniero a posto nella gabbia del suo rapporto di lavoro (no contratto, no permesso di soggiorno).
Insomma, come sempre, c'è chi si fa un sacco di soldi sul bisogno altrui. E chi sta nel bisogno non ha, paradossalmente, come miglior alleato, se non chi, come lui, si guadagna il pane vendendo ogni giorno la sua forza lavoro a chi detiene i mezzi di produzione. Storia vecchia, ma, scusate, attuale.
Gira e rigira la minestra, gli attori son sempre gli stessi, lavoro e capitale: e nel loro insanabile conflitto sta la morale della storia. E, mi pare, il sale dell'essere anarchici.
Simone Bisacca