Umanità Nova, numero 29 del 26 settembre 2004, Anno 84
15 agosto 2004. Neka (Iran del nord). Giustizia è fatta!
Ateqeh Sahaleh, 16 anni, é impiccata sulla pubblica via. Dopo
avere subito uno stupro e quindi essere stata accusata prostituzione,
le viene impedito di avvalersi di un avvocato. Al processo si difende
da sola e ricorda ai giudici, laici e religiosi, che meglio farebbero a
colpire i diffusori della corruzione morale, e non le loro vittime.
Questo imperdonabile delitto di lesa maestà, l'aver fatto
presente ai giudici che non sempre la giustizia è quella che si
esprime attraverso i codici, le costa la condanna a morte. Infatti il
giudice religioso Rezai, d'accordo con la Corte Suprema, ha dichiarato
che l'impiccagione non è stata decretata per i reati commessi ma
perché l'imputata aveva la "lingua troppo affilata".
15 settembre 2004. Palermo (Sicilia). Giustizia è fatta!
Giovanni, fratello di Peppino Impastato, viene condannato al pagamento
di una multa di 5.000 euro (pena il pignoramento della pizzeria di
famiglia) per avere definito l'avv. Paolo Gullo, legale del Tano
Badalamenti mafioso e mandante dell'uccisione del fratello, un
"imbecille". Gullo si era preso quel meritatissimo epiteto per avere
sostenuto, durante una trasmissione televisiva, che Peppino non era
stato ucciso dalla mafia. Il giudice Gaetano Scaduti, sicuramente di
ineccepibile cultura giuridica, sancisce la colpevolezza di Giovanni
perché "l'avvocato Gullo può essere criticato ma non
offeso".
17 settembre 2004. Barcellona (Catalogna). Giustizia è fatta!
Germano Fontana, 51 anni, grafico, una moglie e un figlio di 8, ex
militante dei Proletari armati per il comunismo, oggi distante anni
luce dalla lotta armata e dalle sue chimere, viene arrestato nelle
ramblas, dovendo ancora scontare 8 anni e due mesi per associazione
sovversiva, banda armata e reati minori. Fra un anno la pena sarebbe
stata prescritta, ma i brillanti uomini dell'Ucigos, guidati dal
procuratore di Milano Armando Spataro sono riusciti a impedire
l'esecranda eventualità che il pericolosissimo Fontana Germano
la facesse franca. Del resto il procuratore era stato chiaro: il tempo
che passa non basta a fare cadere nel nulla le conseguenze di reati
così gravi. Bravo Spataro! Bella operazione!
Bene, a questo punto tutto si può fare, fuorché
sorprendersi. A meno che non ci si voglia meravigliare perché
simili storie di banale follia possono accadere nel terzo millennio
della nostra civiltà. O perché la vendetta del potere
può esprimersi con tanta impudica protervia. O perché lo
spirito della legge trova interpreti così diligenti. Ma non
è certo il caso. Fatte le debite proporzioni rispetto alla
gravità delle conseguenze di tali sentenze (una multa indecente,
una vita spezzata, un'altra troncata) e alla diversità delle
condizioni in cui sono maturate, le motivazioni (dovrei dire le
"ragioni" ma mi sembra fuori luogo scomodare la ragione) in buona
sostanza, sono le stesse: dura lex, sed lex; da un punto di vista
puramente formale i tre involontari protagonisti sono senza dubbio
"colpevoli" e quindi... chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto.
Penso che, se si dovesse illustrare il livello di ottusa mostruosità a cui può arrivare la giustizia, "correttamente" esercitata da giudici "corretti" e imparziali, basterebbe anche uno solo dei casi illustrati. Ma per capire appieno la vera ragion d'essere del potere giudiziario, la sua funzione quale insostituibile puntello del potere, indipendentemente dal regime che tale potere gestisce, la sua finalità quale strumento repressivo di ogni forma di devianza, non si troverebbe nulla di più esemplare di questi tre fatti. La legge come legittimazione e continuazione del più sordido arbitrio, tanto più se esercitato su una femmina minorenne; la legge come ossequio ai potenti, anche se colpevoli, e sberleffo ai deboli, anche se innocenti; la legge come meschina rivalsa, tanto più appetitosa se servita su un piatto freddo. La legge, insomma, che già Pietro Kropotkin liquidava, nel titolare uno dei suoi pamphlets più riusciti, come "L'organizzazione della vendetta chiamata Giustizia".
Perché quello che deve essere chiaro è che provvedimenti giudiziari come quelli di cui stiamo parlando nello specifico, non sono affatto degli incresciosi incidenti di percorso dovuti al particolare zelo di giudici ottusamente scrupolosi o alla disonestà intellettuale e morale di altri giudici indegni del loro ruolo, ma le coerenti applicazioni di quelle leggi e di quei regolamenti su cui si è formata la cultura giuridica dell'intera magistratura. E che poi queste "applicazioni" coercitive e repressive collidano con quel minimale buonsenso che dovrebbe albergare anche nelle menti più refrattarie, non deve avere (e infatti non ha) alcuna importanza, perché di fronte alla pretesa Sacralità della Legge tutto deve cedere il passo. Con buona pace, sia detto per inciso, di quella massa di giustizialisti più o meno ingenui, fiduciosi in una magistratura "buona" in lotta contro un potere "cattivo". E con buona pace, specularmente, di chi, arrivato "democraticamente" al potere, vuol far credere alla minaccia di un golpe giudiziario. Non si illudano gli uni, e non temano gli altri. Non verrà dall'aula di un tribunale un atto di giustizia sociale o un attacco al potere costituito.
Massimo Ortalli