Umanità Nova, numero 30 del 3 ottobre 2004, Anno 84
Dopo mesi di difficile confronto a Bruxelles, alla fine il quartier
generale della Nato ha deciso di inviare una missione militare in Iraq
per l'addestramento delle forze governative di sicurezza, superando le
contrarietà di Francia, Germania, Spagna e Belgio.
Vediamo comunque la cronistoria di tale sofferta decisione, emblematica
per fotografare i "conflitti d'interesse" che dilaniano l'Alleanza
Atlantica.
In un'intervista pubblicata il 1 aprile 2004, l'ambasciatore italiano Rizzo, vice-segretario della Nato, affermava che era ipotizzabile un intervento militare dell'Alleanza solo in presenza di una specifica risoluzione dell'Onu e di una richiesta del governo transitorio iracheno che lo legittimasse, sul modello della missione in Afghanistan, onde evitare di aggravare le divisioni interne causate dalla guerra unilaterale degli Usa contro l'Iraq e di nuovo riaffiorate in occasione del vertice G8 quando Francia e Germania avevano risposto picche alla richiesta Usa di un consistente invio di truppe Nato. Tra le righe dell'intervista, comunque, emergeva comunque in modo alquanto chiaro il fatto che l'indirizzo della Nato privilegiasse il cosiddetto "Dialogo mediterraneo" portato avanti con i paesi arabi.
Il 23 giugno, lo zelante capo del governo provvisorio iracheno
Allawi chiedeva formalmente alla Nato assistenza tecnica e aiuto per
l'addestramento delle forze nazionali; tale richiesta appariva come un
evidente escamotage per non chiedere un invio di truppe incorrendo
nell'opposizione dei governi francese e tedesco. Durante la visita in
Francia per celebrare l'anniversario dello sbarco in Normandia, Bush
aveva infatti prospettato l'ipotesi di una missione Nato in Iraq ma era
stato subito smentito dal presidente francese Chirac, ma dopo
l'accettazione dell'ultima risoluzione Onu da parte di Francia e
Germania per i rispettivi governi risultava più difficile
sottrarsi ad ogni tipo di impegno a favore della "normalizzazione".
Al vertice della Nato tenutosi a Istanbul il 28-29 giugno, sotto le
ulteriori pressioni statunitensi, l'Alleanza decideva di svolgere un
ruolo anche in Iraq, nonostante il trovarsi già impegnata in
Afghanistan al comando del contingente Isaf.
Il 10 luglio il Senato Usa chiedeva all'unanimità al presidente Bush di coinvolgere le forze Nato nella guerra in Iraq. Il ministro italiano degli Esteri Frattini non perdeva tempo nel recitare l'antipatica quanto congeniale parte del primo della classe facendo sapere che "i componenti del governo italiano ritengono questa soluzione auspicabile".
Il 30 luglio, dopo tre giorni di trattative tra i 26 ambasciatori del Consiglio Nord Atlantico veniva raggiunto un compromesso e autorizzato l'invio di una limitata missione conoscitiva composta da 30-50 ufficiali e sottufficiali di varia nazionalità; Lo scontro principale era stato quello tra Francia e Usa sulla data d'inizio della missione (prima o dopo le elezioni di ottobre) e sul comando della missione che gli Stati Uniti rivendicavano per se, mentre la Francia e altri non erano disposti a cedere per non essere equiparati alle truppe d'occupazione. Il compromesso era ben sintetizzato dal segretario generale dell'Alleanza, Jaap de Hoop Scheffer: "Non si tratta di una missione integrata nella forza multinazionale. È una missione Nato. Ci sarà una relazione per quanto riguarda il comando e il controllo perché la coalizione internazionale fornirà la protezione".
Così, ancora una volta, le rispettive politiche e mire economiche hanno bloccato la Nato che un tempo era considerata come un'affidabile estensione dell'imperialismo Usa, a dimostrazione di quanto sia complessa la partita globale giocata tra Stati europei e Stati Uniti, una partita in cui guerra e pace sono delle variabili significative soltanto per le quotazioni del petrolio sui mercati internazionali.
In tale partita è estremamente interessante la parte che sta giocando la sinistra liberal europea e statunitense - comprendente tra gli altri i Democratici di Kerry e Clinton, i Laburisti di Blair e l'Ulivo dei vari Amato, Rutelli e D'Alema - che in occasione di recente summit tenutosi a Roma in giugno, ha messo a punto la propria linea sull'Iraq incentrata proprio sul ruolo attivo della Nato, come indicato da Will Marshall, consigliere di Kerry: "Abbandonare ora l'Iraq sarebbe un'enorme crudeltà nei confronti del popolo iracheno (…) È importante che la Nato sia presente per far capire che questa non è solo un'avventura colonialista americana" (la Repubblica, 25.06.04).
D'altra parte, tale impostazione risulta perfettamente coerente con
l'appoggio dei Ds (correntone compreso) e del centro-sinistra italiano
alla presenza militare Isaf in Afghanistan e la decisione del
"pacifista" Zapatero di ritirare le truppe spagnole dall'Iraq
rafforzando il contingente spagnolo a Kabul.
Così come non va dimenticata l'aggressione Nato alla Serbia nel
'99, sostenuta dal governo D'Alema.
Per questo le annunciate mobilitazioni antimilitariste e pacifiste contro l'Assemblea parlamentare della Nato, in programma a metà novembre al Lido di Venezia, assumono una stringente attualità ma anche una indubbia radicalità.
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