Umanità Nova, numero 31 del 10 ottobre 2004, Anno 84
In procinto di lasciare la Casa Bianca, alla fine del novembre 2000
Bill Clinton si fece fare un'intervista dal mensile Rolling Stone (che
venne pubblicata solo nel febbraio dell'anno successivo quando alla
guida dell'Impero c'era già George Bush Junior), in cui faceva
un franco bilancio dei suoi otto anni di presidenza. Dopo essersi
attribuito vittorie e meriti soprattutto in politica estera
(ahimè), l'ex Governatore dell'Arkansas dedicava gran parte
delle sue risposte ad una descrizione impietosa della società
statunitense dove povertà, denutrizione, mortalità
infantile, mancanza d'igiene, abbandono scolastico colpivano le classi
meno abbienti e dove la quantità di detenuti era ormai "quasi
paragonabile a quella dell'Unione Sovietica, prima della Caduta del
Muro". Tanto per non sbagliarsi, Clinton si dichiarava favorevole a
tutta una serie di riforme "radicali", dall'istituzione di un sistema
di assistenza sanitaria pubblica alla depenalizzazione delle droghe
leggere, dal riconoscimento delle unioni omosessuali ai sussidi per i
disoccupati e all'aumento delle tassazioni per le grandi imprese e per
i redditi più alti. Alla candida domanda dell'intervistatore su
come mai nei suoi otto anni alla Casa Bianca non avesse neanche provato
a realizzare questi suoi buoni propositi, Clinton altrettanto
candidamente rispondeva che durante il suo primo mandato non poteva
perché altrimenti non sarebbe stato rieletto e durante il suo
secondo mandato non voleva danneggiare il candidato democratico che
avrebbe preso il suo posto.
Clinton, secondo Gore Vidal (che pure lo considera il presidente più colto e progressista della storia degli Stati Uniti) è l'emblema più significativo di un Partito Democratico incapace di realizzare una propria politica autonoma e di fatto ostaggio dell'aggressività della destra statunitense.
Dal 1980, da quando Ronald Reagan è diventato presidente degli Stati Uniti, l'alleanza tra destra del Partito Repubblicano, fondamentalisti cristiani e Moral Majority ha imposto un'agenda politica fatta di guerre "umanitarie" e "preventive", restrizione dei diritti civili, selvaggia deregulation neoliberista. Il risultato è che se il pianeta è percorso dalle bellicose armate statunitensi che impongono la Pax Americana a suon di bombe e torture, negli USA dai primi anni Ottanta ad ora la popolazione carceraria è quadruplicata (ed ha sorpassato da tempo i due milioni di reclusi), mentre la mortalità infantile è raddoppiata e i lavoratori americani che alla fine degli anni '70 avevano l'orario di lavoro più basso tra quelli dei paesi industrializzati, sono da tempo quelli che lavorano di più. In questa situazione, gli otto anni di presidenza democratica tra il 1992 e il 2000 non hanno certo rappresentato un momento di svolta, anzi, il Clinton che definisce nell'intervista a Rolling Stone il concetto di tolleranza zero "una barbarie giuridica" e che dice che il primo problema da risolvere dovrebbe essere quello della diffusione della povertà, è il presidente che firmò la legge dei Three Strikes Out per cui viene comminato automaticamente l'ergastolo a chi commette un nuovo reato dopo esser già stato condannato tre volte al carcere per altri reati (il primo caso in cui fu applicata fu per un ex detenuto che aveva rubato UNA pizza) e che decise di sospendere i sussidi per le ragazze-madri.
Sicuramente, l'arrivo di George Bush Jr alla Casa Bianca ha rappresentato un'ulteriore accelerazione in questo processo di disfacimento della società statunitense. Presentatosi in campagna elettorale come campione di un conservatorismo compassionevole attento ai bisogni dei ceti meno abbienti, dopo la sua fortunosa vittoria elettorale legata ai brogli in Florida Bush è arrivato alla Casa Bianca circondato dai più noti falchi dell'estrema destra statunitense, dai neocon Dick Cheney e Condoleeza Rice al fondamentalista cristiano Joh Ashcroft a Donald Rumsfield che un intenditore come Henry Kissinger definisce "la persona più crudele che abbia mai conosciuto". La politica di Washington si è fatta ancora più aggressiva dopo l'11 settembre e mentre il Patriot Act faceva stralo delle libertà di espressione e di associazione, gli Stati Uniti post Twin Towers diventavano il regno della paranoia e del sospetto e il governo si lanciava nelle sanguinose avventure militari in Afganistan e in Iraq, ormai protrattesi molto oltre le ottimistiche previsioni degli inizi. Nonostante la sua politica evidentemente sciagurata, però, Bush non ha incontrato alcuna resistenza da parte del Partito Democratico i cui esponenti alla Camera e al Senato hanno quasi tutti votato a favore anche delle decisioni più dissennate dell'attuale amministrazione statunitense.
Per questo non si capisce perché tanto entusiasmo da parte della sinistra nostrana per la campagna elettorale in corso negli Stati Uniti. John Kerry è soprattutto un candidato d'immagine. Se Bush è il classico rampollo disgraziato di buona, ex studente ultimo della classe, imboscato ai tempi della Guerra del Vietnam, ex alcolizzato ed ex cocainomane, con una Happy Family formata da due figlie che hanno iniziato da minorenni a frequentare le cliniche per alcolizzati e tossicodipendenti e una moglie che va in televisione a dire che il Prozac le ha salvato la vita, Kerry è il suo contraltare rispettabile, ex studente modello, ex eroe di guerra in Vietnam, ex attivista pacifista una volta congedatosi, con una lunga storia di impegno politico e sociale alle spalle. È molto più problematico però capire quali siano le differenze tra i loro programmi politici. Durante il confronto televisivo che ha aperto la stagione dei dibattiti elettorale, il candidato democratico ha fulminato l'avversario con l'azzeccata battuta per cui "invadere l'Iraq come risposta agli attacchi terroristici dell'11 settembre 2001 è stato come se Roosevelt avesse invaso il Messico dopo l'attacco giapponese a Pearl Harbour", ma ha dichiarato al tempo stesso che le truppe non si possono ritirare dal paese mediorientale e ha mostrato di accettare la stessa impostazione aggressiva di Bush verso Iran e Corea del nord. Quando si è trattato di parlare della guerra al terrorismo, ha usato lo stesso linguaggio da cowboy di Bush, dichiarando "Io credo che si debba essere forti, risoluti e determinati. Io darò la caccia e ucciderò i terroristi, ovunque si trovino" e si è mosso agilmente sul terreno della paranoia diffusa parlando della proliferazione nucleare come della minaccia più grave per la sicurezza nazionale e descrivendo uno scenario fosco in cui "nell'ex Unione Sovietica e in Russia ci sono più di 600 tonnellate di materiale nucleare non sorvegliato (..) Ora, oggi, ci sono terroristi che stanno cercando di mettere le mani su cose di questo tipo".
Bush e Kerry, d'altronde, non sono neanche troppo diversi tra di loro a livello biografico. Entrambi vengono dalla cosiddetta aristocrazia del New England, formati dai discendenti dei primi coloni inglesi del XVII e XVIII secolo e che da sempre rappresenta l'elite politica ed economica degli Stati Uniti. Le loro stesse vicende personali si sono incrociate più di una volta. Entrambi ex studenti di Yale, George W. Bush e John F. Kerry sono tutti e due membri attivi della più potente ed elitaria setta segreta d'America, la "Skull and Bones" ("Teschio e Ossa", o "Teschio e Tibie") con sede proprio all'università di Yale. Fondata 172 anni fa sul modello di analoghe associazioni segrete tedesche e con sede in un edificio di Yale denominato "The tomb" (la Tomba), la setta è fra le più esclusive, potenti e meno conosciute degli interi Stati Uniti. Per decenni ha ammesso solo i figli dell'aristocrazia "wasp" (bianca anglosassone e protestante), fino a diventare un'anticamera del potere americano: non solo vi sono passati Bush padre e figlio, ma anche l'altro ex presidente William Howard Taft, l'ex ambasciatore americano nella Mosca di Stalin, Averell Harriman, il fondatore del settimanale "Time" Henry Luce, l'ex capo della Cia James Woolsey, il sottosegretario agli armamenti John Bolton, il braccio destro di Cheney, Lewis Libby, Paul Bremer III, ex capo dell'amministrazione alleata in Iraq, e appunto il democratico John Kerry. Tra l'altro, essendo Kerry entrato a Yale nel 1966 e Bush nel 1968, non si può neanche escludere che i due si siano incrociati durante i rituali nella "Tomba". Anche particolari di questo tipo dimostrano quanto la politica istituzionale statunitense sia dominata dal puro e semplice spettacolo che nasconde la dura realtà di un Partito Unico ancora formalmente diviso in due correnti che affidano le proprie differenze allo stile piuttosto che ai contenuti.
Gli scommettitori di Londra, che di queste cose se ne intendono, hanno intanto deciso per la maggior parte di non accettare più scommesse sulle elezioni presidenziali USA fino a quando non verranno pubblicati i sondaggi elettorali dopo la cattura di Bin Laden (data per certa entro il 2 novembre). I cittadini americani, da parte loro, sono tutt'altro che interessati alla scelta del loro prossimo imperatore. Alle elezioni del 2000 ha votato solo il 27% degli aventi diritto al voto e nulla fa pensare che questa volta saranno di più a farsi prendere all'amo del Kerry o del Bush di turno.
robertino