Umanità Nova, numero 31 del 10 ottobre 2004, Anno 84
Lo spettacolo conturbante di pericoli
e dolori di ogni genere fa sì che facilmente il sentimento abbia
il sopravvento sulle convinzioni razionali.
(Karl von Clausewitz)
Non ci sono guerre trasparenti, così come non esistono guerre
incruente. Da sempre la guerra comprende aspetti segreti e non
ortodossi, al punto che talvolta la guerra è, oltre che non
dichiarata, completamente combattuta in modo occulto.
L'aggressione imperialista in atto in Iraq non fa certo eccezione ed anzi appare un ulteriore passo verso una politica di guerra sempre più torbida e incontrollabile, in cui risultano falsi i presupposti e le motivazioni, coperte da censura militare le perdite umane e le operazioni belliche, mistificatoria la propaganda e indeterminati persino i nemici.
Tale accentuazione vede sicuramente molte cause, ma soprattutto va sottolineata la connotazione ideologica che il governo Usa e l'amministrazione "neocons" capeggiata da Bush jr hanno imposto alle proprie scelte; una connotazione, intrinsecamente razzista e fondamentalista, tesa ad affermare la presunta superiore civiltà in antitesi ad un terrorismo che avrebbe come obiettivo la distruzione dell'Occidente cristiano, democratico e liberale.
Altro elemento fondamentale è inoltre la creazione spettacolare di un conflitto sul campo assolutamente impari e scontato negli esiti che ha visto la sopraffazione da parte delle forze Usa e britanniche di un apparato militare come quello iracheno che, quando era all'apice della sua potenza, non era riuscito a vincere neppure l'esercito iraniano.
Detto questo, anche le vicende riguardanti la cattura e l'uccisione di ostaggi civili da parte di non meglio identificate sigle irachene o islamiche, non possono non essere inserite in tale contesto.
In particolare va evidenziato che, così come l'orrore e l'indignazione per le migliaia di vittime dei bombardamenti Usa siano stati soppiantati dal terrore indotto dalle indiscriminate stragi prodotte dalle auto-bomba, le torture compiute dai "liberatori" nelle carceri in Iraq e Afganistan così come le detenzioni illegali nel campo di Guantanamo sono state adombrate dai video degli sgozzamenti degli ostaggi.
E poiché i bombardamenti e i rastrellamenti Usa non fanno distinzioni tra civili e presunti guerriglieri, puntualmente gli attentati, i sequestri e le esecuzioni sommarie hanno colpito non solo militari occupanti, mercenari e collaborazionisti; ma pure lavoratori, giornalisti e persino persone contrarie alla guerra, come i pacifisti giapponesi, il reporter italiano Baldoni e le due volontarie di un "Ponte per…".
Si può anche ipotizzare che, tra i nemici dell'occupazione straniera dell'Iraq, qualcuno stia applicando la "legge del taglione", ma certo appare del tutto sospetta la funzionalità oggettiva di tali atti nel fornire alibi e coperture proprio ai governi e ai comandi militari delle nazioni occupanti. Inoltre in conseguenza di tanta insensata barbarie - guarda caso - la resistenza popolare irachena rischia l'isolamento dal movimento internazionale contro la guerra, trovando come uniche sponde quelle dell'estremismo nazionalista e religioso.
Infine, a complicare ulteriormente la lettura e la comprensione di quanto sta avvenendo, vi è una guerra nella guerra, in cui va inserito il ruolo giocato dai soldati, senza volto e senza uniforme, sia degli Stati facenti parte della coalizione che di quelli non aventi proprie truppe sul territorio iracheno, come dimostra l'accertata presenza di agenti appartenenti ai servizi segreti iraniani e israeliani.
L'intervento italiano in Iraq non si sottrae certo a tali manovre e a tali dinamiche. Innanzitutto va ricordato che, in aprile, prima di Pasqua trapelò la notizia, grazie alla testimonianza di un giornalista della Reuters, della cattura di quattro italiani armati, sicuramente facenti parte - per stessa ammissione del ministro della Difesa Martino - all'intelligence italiana. Seppure le reticenti e tardive dichiarazioni del ministro riferiscano di due, e non quattro, agenti rapiti da un gruppo di guerriglieri, rimane a tutt'oggi in ombra ogni informazione a riguardo e sulla loro probabile rapida liberazione.
Fatto sta che, recentemente, il direttore del Sismi, il servizio segreto militare, Nicolò Pollari, ha dichiarato che "dalla primavera di quest'anno" in Iraq non vi è più alcun agente segreto italiano.
Pochi giorni dopo, venivano quindi rapiti i quattro vigilantes italiani, dipendenti da un'agenzia di sicurezza con tutt'altro che chiari rapporti e compiti, e uno di loro veniva ucciso. La successiva spettacolare liberazione dei tre prigionieri ad opera di una squadra Usa è apparsa in modo finanche troppo evidente come una messinscena, volta a coprire le effettive modalità della trattativa e dello scambio pattuito a suon di dollari.
Ulteriori ombre si sono registrate attorno al rapimento del giornalista Baldoni, all'immediata uccisione del suo autista ed interprete iracheno, nonché alla tragica e rapida conclusione del sequestro testimoniata solo da alcune immagini, dato che stranamente non è stato fatto trovare neppure il corpo dell'assassinato.
La vicenda delle due Simone appare ancor meno plausibile,
soprattutto attenendosi alle verità ufficiali o suggerite dai
media.
Ripercorrendo le tappe del loro rapimento, ci si accorge che troppe
cose non quadrano.
Il sequestro, con tutte le sembianze di un arresto mirato, viene attuato da almeno una dozzina di uomini con indosso l'uniforme delle squadre speciali governative, perfettamente organizzati ed equipaggiati con armi moderne, che dichiarano di stare eseguendo ordini del governo transitorio di Allawi.
La loro "fuga" con i prigionieri, dalla zona controllata dalle truppe Usa, non incontra problemi e, secondo la testimonianza di Raad, uno dei due iracheni rapiti, vengono facilmente superati i posti di blocco presidiati dalle forze governative, come se si trattasse di una normale operazione di polizia.
Seguono settimane di silenzio, durante le quali si afferma che gli unici segnali sono alcuni messaggi via Internet, peraltro ritenuti inaffidabili, firmati da sigle fantasma con connotazione islamica.
Secondo quanto dichiarato da un mediatore al commissario della Croce Rossa Scelli, i nomi delle due italiane erano inseriti in una lista di "spie" redatta dai servizi segreti Usa e finita in mano ai sequestratori.
L'accusa di essere spie è stata confermata anche dalle due volontarie, sottoposte ad un interrogatorio incentrato proprio attorno a questa ipotesi.
Tale accusa è stato peraltro ripresa anche nel primo minaccioso messaggio via Internet che, evidentemente, non era poi così avulso da tutta la vicenda; mentre in Italia ad insinuare qualcosa del genere è stato, in modo irresponsabile quanto criminale, l'onorevole Gustavo Selva di Alleanza Nazionale.
Col passare delle settimane, non solo si susseguono le prese di distanza dal rapimento da parte della società civile irachena e delle comunità musulmane, ma giungono persino le dissociazioni da parte della resistenza irachena e persino del gruppo jihadista di Al Zarqawi che si dichiara estraneo.
Per il felice epilogo con la liberazione delle due Simone viene
fornita una motivazione a due livelli: da un lato i rapitori si sono
resi conto di non avere catturato due spie, dall'altro sarebbe stato
pagato un riscatto di un milione di dollari.
La prima argomentazione solleva diversi interrogativi.
L'attività umanitaria di "Ponte per…", presente in Iraq da dopo la prima guerra del Golfo del '91, è notoria, così come sono noti e limpidi la propria opposizione alla guerra e l'impegno delle due rapite. Di certo, quindi, se qualcuno ha creduto davvero che fosse un covo di spie, devono esserci stati dei "suggerimenti" in tal senso e con ogni probabilità anche molto di più.
Salta comunque agli occhi che il sequestro resta a tutt'oggi senza paternità.
Il presunto pagamento del riscatto, con annesse polemiche, ha invece tutte le caratteristiche del depistaggio, utile per non prendere in considerazione l'ipotesi di un inammissibile accordo politico del governo oppure per nascondere un'operazione in qualche modo pilotata e concordata tra apparati statali alleati.
Inoltre l'eventuale pagamento del riscatto torna utile per rafforzare l'immagine banditesca che si vuole dare della resistenza irachena, mentre al contrario una volta di più dimostra il potere dei soldi di cui generosamente dispone il miliardario sotto la bandana.
Uncle Fester