Umanità Nova, numero 32 del 17 ottobre 2004, Anno 84
Che il FBI fosse deputato ai lavori più sporchi, lo abbiamo imparato attraverso il cinema, ma che agisse anche in nome e per conto di governi diversi da quello statunitense, lo abbiamo scoperto solo il 7 ottobre scorso quando i "federali" hanno proceduto al sequestro degli hard disk (HD), le memorie dove sono registrate le informazioni di una ventina di siti di Indymedia: Amazonia, Uruguay, Andorra, Polonia, Western Massachusetts, Nizza, Nantes, Lilla, Marsiglia, Euskal Herria (Paesi Baschi), Liegi, East e West Vlaanderen, Antwerpen, Belgrado, Portogallo, Praga, Galizia, Italia, Brasile, UK e parte della Germania, oltre al sito della Indymedia radio.
Così, da un momento all'altro, migliaia di utilizzatori di
Indymedia si sono ritrovati nella impossibilità di leggere e
trasmettere informazioni. Già solo questo rende il sequestro un
episodio di una gravità inaudita, anche perché gli HD si
trovavano fisicamente nel Regno Unito che, per quanto si sa, non
é uno stato della Federazione USA. A questo si aggiunga il fatto
che per controllare i contenuti delle memorie bastava farne una copia e
lasciarli al loro posto, mentre invece si é preferito la
sottrazione degli HD, che ha causato la drastica interruzione del
flusso continuo di informazioni che passa quotidianamente attraverso i
siti, costretti così al silenzio.
Infine, come se tutto questo già non bastasse, ancora oggi
(10/10) sono ancora ignote le "ragioni" (per usare un eufemismo) che
hanno portato al sequestro e non è noto da chi sia partita la
richiesta.
Il Provider che ospitava i siti ha laconicamente dichiarato di aver ottemperato "da bravo cittadino" (sic!) ad una procedura prevista dal MLAT, un trattato di mutua assistenza legale, che permette ad uno stato di chiedere aiuto ad un altro nel caso di investigazioni collegate al "terrorismo internazionale, ai sequestri di persona ed al riciclaggio di danaro".
Secondo l'Agenzia France Presse un agente del FBI avrebbe dichiarato
che si è trattato di una operazione svolta su richiesta dei
governi svizzero ed italiano e che quello USA non c'entra.
La sostanziale mancanza di motivazioni "ufficiali" ha fatto scatenare
una ridda di ipotesi: qualcuno è convinto che il mandante siano
state le autorità elvetiche “disturbate” dalla pubblicazione
delle foto di due poliziotti infiltrati in una manifestazione. Altri
hanno tirato di nuovo in ballo una vecchia storia (vedi UN n.40 del 7
dicembre 2003) collegata alla pubblicazione di documenti riservati
della Diebold, l'azienda che gestisce le procedure di voto
statunitensi. Altri ancora ipotizzano che l'ordine sia partito dal
Governo italiano a causa di alcuni scritti "offensivi" pubblicati sul
sito o per il lavoro di ricerca ed informazione svolto riguardo al G8
di Genova.
In ogni caso resta evidente il fatto che siamo davanti ad una censura inaccettabile di una libertà fondamentale: quella di comunicare, senza contare poi il fatto che insieme ai siti bersaglio di questo sequestro ne sono stati colpiti anche altri che erano "innocenti".
Indymedia Italia ha perso, per il momento, due mesi di archivio ed è tornata on-line in “versione ridotta” dopo 24 ore, poco alla volta sta accadendo lo stesso per gli altri siti.
Immediata é stata la solidarietà, espressa da parte di singoli e gruppi di tutto l'arcipelago della sinistra e non solo. Numerosi gli articoli ed i servizi radiotelevisivi sull'avvenimento che ha addirittura fatto scomodare la "Federazione giornalistica internazionale" (Ifj, organizzazione che rappresenta più di 500 mila giornalisti in oltre cento Paesi) secondo cui siamo di fronte a "un'intollerabile e invasiva operazione internazionale di polizia contro una rete specializzata nel giornalismo indipendente".
Da parte sua Indymedia Italia ha chiesto a tutti di impegnarsi, ognuno con le proprie modalità, per protestare contro un grave atto di censura che non colpisce solo persone impegnate nel campo dei media indipendenti ma, in primo luogo, tutti coloro che usano il sito per fare e ricevere informazione.
Questo attacco a Indymedia ed alla libertà di comunicazione non è il primo, ma per la prima volta assume una così grande portata e ci fa toccare con mano l'effetto della globalizzazione della repressione. Un tentativo maldestro di intimidire, usando i classici strumenti emergenziali, una rete internazionale diventata nei suoi cinque anni di vita uno strumento importante nel panorama della comunicazione sovversiva. Un tentativo destinato al solito fallimento.
Pepsy