Umanità Nova, numero 32 del 17 ottobre 2004, Anno 84
Nella stesura della finanziaria 2005, il governo bollito di Berlusconi
ha avuto tre indubbi vantaggi:
- lo stemperarsi delle tensioni interne alla maggioranza, dopo la
cacciata di Tremonti e la riconduzione a coerenza dei riottosi alleati
di An e Udc;
- il calo dei tassi d'interesse a lungo termine a livello
internazionale, che ha fornito una boccata d'ossigeno ai titoli di
stato, dopo la bocciatura pre-vancanziera dei conti pubblici italiani
da parte di Standard & Poor's ed il conseguente declassamento del
rating;
- il nuovo clima concertativo post-nomina di Montezemolo a qualche
dozzina di presidenze importanti, che ha calmato i sindacati di regime
e li ha convinti a lavorare per il futuro, come se il governo fosse
già cambiato.
Cominciando dall'inizio, la nomina di Siniscalco (uno dei Reviglio Boys), che viene da Torino (come Fassino) e che parla in maniera meno irritante del suo predecessore, ha sicuramente ammorbidito l'opposizione politica, sebbene il contenuto delle prime misure serie prese da questo economista rampante non abbiano per niente abbassato il grado di creatività di finanza pubblica tipico di questo governo, cui peraltro aveva abbondantemente contribuito nella precedente carica di Direttore Generale del Tesoro.
Per andare al secondo punto, va detto che la Federal Reserve ha iniziato una politica di rialzo dei tassi molto graduale, che in tre tappe ha portato dall'1 al 1,75% i tassi sui Fed Funds americani, ma ha anche fatto capire che l'economia cresce piano, non ci sono tensioni inflazionistiche e il rialzo sarà lento e controllato per tutto il 2005. L'economia europea è molto più inchiodata e quindi la necessità di un rialzo dei tassi nell'area euro è ancora più distante e incerta. La conseguenza è che nella finanziaria 2005 il governo può stimare circa 1,5 miliardi di euro di risparmi in conto interessi, rispetto a precedenti previsioni.
Per quanto riguarda il terzo punto, tutti dovrebbero aver notato una grande determinazione nelle dichiarazioni ufficiali dei vertici sindacali rispetto alla politica del governo, seguite però dalla più totale latitanza nell'intraprendere iniziative concrete per mobilitare la propria base e fare opposizione vera. La seduzione confindustriale blocca i sindacati in una posizione di attesa, che li paralizza e li costringe a giocare l'ennesima partita dentro la cornice della concertazione e del salvataggio dell'economia nazionale, questa volta non tanto e non solo per calmierare salario e costo del lavoro, ma usando l'argomento del declino industriale e la necessità di ridare sprint all'export italiano nel mondo.
Viene quindi fuori, come risultante, una finanziaria che cammina sulla corda e cerca, maldestramente, di soddisfare esigenze opposte, contraddittorie, incompatibili. Una finanziaria che alza le tasse, mentre dice di volerle abbassare. Che taglia i trasferimenti agli enti locali, mentre dice di voler attuare la devolution ed il federalismo. Che alza il livello di indebitamento dello stato, mentre dice di volerlo ridurre. Com'è possibile un tale paradosso?
Cominciamo dall'ordine di grandezza: 24 miliardi di euro, una cifra
che va sommata all'effetto della "manovrina" attuata a fine luglio, e
che avvicina la manovra complessiva alle finanziarie tristemente famose
di Amato (1992) e di Prodi (1997). Qui si tratta però di agire
su variabili diverse, visto che pensioni, salari e tagli di spesa sono
già stati spremuti troppe volte in via diretta, per potere avere
ancora del potenziale di risparmio. Si tratta quindi di mettere mano a
ulteriori fette del patrimonio pubblico, di scaricare sugli enti locali
l'onere di sacrificare le proprie prestazioni, di alzare ancora il
livello dei tributi locali, di creare i presupposti per tagli di spesa
che verranno demandati ad organismi elettivi spesso in mano
all'opposizione.
"Una manovra semplice, ma solida", l'ha definita Siniscalco, mentre
l'Unto del Signore ha parlato di "Clima buono, né tagli,
né stangate: ora il taglio delle tasse entro l'anno". Nella sue
grandezze principali, la finanziaria 2005 prevede 9,5 miliardi di tagli
di spesa, 7,5 miliardi di nuove entrate fiscali e 7 miliardi di
introiti da vendite immobiliari. Il taglio di spesa si basa
prevalentemente sul criterio della golden rule al 2%, ovvero un tetto
massimo all'incremento di spesa rispetto all'anno precedente. A dire il
vero il criterio del 2% riguarda solo le amministrazioni statali,
mentre per le regioni e le amministrazioni periferiche è stato
adottato il principio di consentire un aumento del 4,8% rispetto al
valore del 2003, includendo quindi anche l'effetto restrittivo che
già si è prodotto con la manovrina del luglio scorso.
Questa parte del provvedimento è forse quella che sta accendendo
le discussioni più forti, all'interno della stessa maggioranza
di governo. Lo stesso Casini ha dovuto chiedere un'interpretazione
autentica al Ministro, perché la fissazione di un tetto
così rigido impedirebbe di fatto il funzionamento effettivo di
importanti strutture dello stato e degli enti locali. In realtà
la fissazione di questo tetto massimo è l'elemento costitutivo
della politica siniscalchiana, la carta da giocare per ottenere fiducia
dai mercati: riguarda il piano finanziario 2005/2007, quindi si
proietta persino al di là di quella che è la fine
naturale della legislatura e verrà difesa ad oltranza come una
linea del Piave. Gli enti locali che intendono "sforare", devono alzare
i propri tributi e finanziare le proprie iniziative, che vengono
consentite solo se classificate come investimenti. Un severo sistema di
monitoraggio, con relazioni trimestrali, assicurerà il rispetto
della norma e i comportamenti poco virtuosi saranno colpiti con
provvedimenti sanzionatori draconiani, che potranno arrivare al
commissariamento.
Per quanto riguarda i 7 miliardi di nuove entrate, bisogna ammettere che la fantasia del governo si è veramente sbizzarrita. Il cuore del ragionamento consiste nella "pianificazione fiscale" e nell'utilizzo sempre più esteso degli studi di settore, opportunamente revisionati in quella che è stata definita "manutenzione della base imponibile". Esaurita la batteria dei condoni tremontiani, si passa ad una sorta di "patto fiscale" preventivo tra le categorie storiche dell'evasione e il Fisco stesso. Artigiani e commercianti, ma anche liberi professionisti e piccole-medie imprese, potranno impegnarsi a pagare per tre anni un livello di prelievo fiscale concordato in base agli studi di settore: in questo modo otterrebbero uno sconto del 4% sulle tasse dovute e soprattutto la sicurezza di non dover subire ulteriori controlli.
Un altro settore che potrebbe essere chiamato a contribuire in modo significativo è quello della casa, dopo il totale fallimento del condono edilizio. La finanziaria consente agli enti locali di chiedere una revisione degli estimi catastali e la possibilità quindi di sbloccare il valore della rendita catastale degli alloggi, permettendo addirittura la riclassificazione verso l'alto delle categorie residenziali: salirebbe la base imponibile sia per i tributi locali (come l'Ici), sia per le entrate statali (come l'Irpef). Una prima quantificazione giunge a calcolare in un miliardo di euro la potenzialità per il fisco di questa revisione cartacea. Inoltre la finanziaria consente di sbloccare l'addizionale Irpef destinata agli enti locali, che era stata bloccata nel 2003/2004; le regioni potranno anche cominciare ad avere una compartecipazione all'Iva.
Per quanto riguarda le alienazioni del patrimonio pubblico, ed il relativo ricavato di 7 miliardi di euro, occorre fare una precisazione importante. Questi introiti non sono quelli derivanti dal collocamento in borsa di aziende pubbliche, come ad esempio l'Enel, di cui sta per andare sul mercato una bella fetta del 20%, per un introito previsto di 8 miliardi di euro. Queste cifre non entrano in finanziaria, ma vanno direttamente ad abbassare il volume del debito pubblico. Nella voce in oggetto troviamo invece la vendita degli immobili pubblici, in particolare quelli della Difesa, che dovrebbe spossessarsi di qualcosa come 18.000 alloggi nel solo 2005. Cartolarizzazione e lease-back qui la fanno da padrone: lo Stato vende tutto e poi riprende in affitto quegli immobili che sono strumentali per l'attività dei propri uffici. L'introito immediato lascia così dietro di sé un impegno finanziario per tutti gli esercizi futuri, aumentando in prospettiva le spese correnti.
La misura che comunque ha fatto più discutere è stata quello del pedaggio sulle strade statali. Qui veramente sfioriamo livelli di perversione al limite del grottesco. Lo Stato si impegna a cedere 1500 chilometri di tratte stradali (tangenziali, super-strade e statali) alla Infrastrutture Spa, che le prende in carico attraverso debiti a lungo termine (esclusi dal perimetro del debito pubblico), ma che non ha i mezzi per curarne la manutenzione. O lo Stato si impegna a provvedere alla manutenzione di un bene non più suo, oppure la Infrastrutture Spa sarà costretta ad imporre dei pedaggi agli automobilisti che utilizzeranno la rete. In barba a tutti i discorsi sulla carenza di rete infrastrutturale che riguarda il Paese e soprattutto il Sud, avremo probabilmente una rete viaria abbandonata a se stessa, con un costo di utilizzo in crescita esponenziale!
Altre perle riguardano i 1500 miliardi risparmiati in interessi, che andranno a rimpinguare il capitolo di spesa dedicato alla sicurezza ed alla lotta contro il terrorismo, e l'aumento della dotazione di spesa dedicata al rinnovo dei contratti pubblici, pari all'incredibile cifra dello 0,1% del Pil.
Man mano che la finanziaria viene "spiegata" nei suoi passaggi istituzionali, cresce l'opposizione delle categorie in qualche modo chiamate a contribuire. Il popolo delle partite Iva utilizza la Lega per fare stralciare dal provvedimento tutti gli argomenti sgraditi, a partire dalla "pianificazione fiscale". La Confedilizia grida alla scandalo per l'ennesimo ricarico fiscale sulla casa. Il settore pubblico teme i tagli di spesa e preme su AN per ammorbidire la golden rule. La Confindustria per ora approva, in attesa di incassare la cambiale relativa al pacchetto di stimolo all'innovazione, alla riduzione dell'Irap, al nuovo sistema dei finanziamenti agevolati che dovrebbe sostituire i trasferimenti a fondo perduto. Il Governo si è riservato di presentare entro novembre le appendici alla finanziaria, con incluso il progetto di revisione delle aliquote e il primo modulo di taglio alle tasse dei ricchi per 6 miliardi di euro.
Cresce la tensione su una legge finanziaria che sposta rilevanti risorse, in senso redistributivo, ma anti-egualitario. La parte più odiosa del lavoro, i tagli ai servizi sociali, sarà visibile soltanto alla fine del processo, quando gli enti locali, a corto di risorse, dovranno scaricare sulla collettività gli effetti ultimi delle scelte governative. Si tratta di lavorare sin da subito per chiarire le dimensioni del problema e fare emergere in forma organizzata la forza contrattuale di tutte le componenti della società colpite dal provvedimento, a partire naturalmente da ciò che più ci sta a cuore: il lavoro dipendente e subordinato.
Renato Strumia