Umanità Nova, numero 33 del 24 ottobre 2004, Anno 84
"Se avessi un'opinione, non farei parte dell'esercito"
(Intervista televisiva ad un marine Usa, di guardia al carcere di Abu Ghraib; France 2, 25 maggio 2004)
Per ogni persona di convinzioni e sensibilità antiautoritarie,
la tortura è un fenomeno intrinsecamente connesso
all'istituzione carceraria e quindi alla stessa natura coercitiva dello
Stato, come peraltro attestano le ricorrenti seppur frammentate notizie
di torture praticate sotto i più vari regimi politici e in aree
geografiche diverse: dalla Cina alla Colombia, da Israele alla Cecenia,
dalla Turchia ad Haiti.
Eppure, negli attuali tempi di guerra, quello che colpisce è
l'ormai sempre più paradossale parallelismo tra democrazia e
tortura.
Appena un anno fa Alan M. Dershowitz, esimio professore di diritto alla
Harvard Law School, ha pubblicato un libro in cui è stata
teorizzata la legalizzazione della tortura: una tortura non mortale,
beninteso, ma efficace, in grado di far confessare il possibile
terrorista. Secondo Dershowitz, noto come avvocato progressista, una
volta trasportata nell'ambito legale, la tortura diventerebbe
democratica e conforme ai diritti umani.
Senza attendere tale democratizzazione formale, di fatto questa
è affermata da quanto possiamo constatare in occasione delle
scadenze elettorali in Afganistan, Iraq e Stati Uniti, dove il diritto
di voto viene esercitato ed enfatizzato come momento fondamentale e
fondante della società democratica, mentre nelle carceri e nei
campi di detenzione nei rispettivi paesi viene sistematicamente
annullato ogni elementare diritto umano, col pretesto della lotta al
terrorismo. E che sia un pretesto è del tutto evidente, sia
perché esistono metodi sicuramente più efficaci per
raccogliere informazioni, sia perché da sempre la tortura e la
sua rappresentazione hanno principalmente lo scopo di seminare terrore
attraverso la distruzione dell'essere umano.
La tortura infatti non è mai segreta, ma sempre collegata a
rivelazioni, voci, sussurri, pentimenti, fughe di notizie, tutte
sapientemente programmate e previste.
L'obiettivo rimane la rappresentazione dell'orrore, amplificato dal
non detto e dal non visto. Rappresentazione narrata, ma soprattutto
mediante immagini per lo più allusive e simboliche. E se, nel
falso scandalo di Abu Ghraib, si sono viste tante scene a sfondo
morbosamente sessuale, degne di un film spazzatura, non è certo
un caso.
GUANTANAMO
Il quotidiano Washington Post, certo non sospettabile di inclinazioni
sovversive, ha denunciato che il governo Usa non solo era al corrente
ma autorizzò l'applicazione di forme di tortura per interrogare
i prigionieri di Guantanamo Bay. Le tecniche autorizzate consistevano,
secondo il quotidiano, nell'alterazione del sonno dei detenuti e
nell'esporli al caldo, al freddo, alla musica violenta e a luci
accecanti. Il Washington Post ha affermato di non poter dire se tali
tecniche siano state applicate anche nel carcere iracheno di Abu Ghraib
ma specifica che una lista segreta di venti tecniche di interrogatorio
era stata autorizzata al più alto livello dal Pentagono e dal
Dipartimento della Giustizia nel carcere della base Usa a Cuba, dove
sono detenute 600 persone di circa quaranta nazionalità, quasi
tutte catturate durante la guerra in Afganistan nel 2001. Gli
inquirenti-inquisitori erano stati autorizzati a utilizzare metodi di
pressione psicofisica sui detenuti interrogati e ciascuna voce della
lista segreta per essere applicata doveva essere autorizzata da
responsabili del Pentagono o del ministero della Giustizia. A
Guantanamo si può tenere un prigioniero in piedi per quattro ore
consecutive ed è autorizzato l'interrogatorio di un detenuto
"senza vestiti". Il quotidiano ha reso noto anche che, secondo
responsabili della difesa e dei servizi, sono state approvate
istruzioni analoghe per essere impiegate su "detenuti importanti" anche
in Iraq.
AFGANISTAN
Su queste pagine abbiamo già riferito delle torture più
invisibili, ossia quelle che hanno come teatro l'Afganistan "liberato".
L'Us-Navy, dopo l'agosto 2002, ha dovuto aprire diverse inchieste per
gli abusi commessi in carcere dai soldati statunitensi e, in
particolare, sulla morte di cinque detenuti; inoltre, conseguentemente
all'attenzione suscitata dal caso di Abu Ghraib, si è cercato da
parte dei comandi di governare il più possibile l'applicazione
di tali pratiche; in giugno un "contractor" della Cia è stato
arrestato per aver picchiato a morte un prigioniero e in agosto
è stato incriminato a Kabul un ex-militare statunitense che, su
appalto delle forze militari occupanti, aveva allestito un carcere
privato dove i detenuti venivano sottoposti alle peggiori sevizie. Le
più infami carceri -alcune autentici campi di concentramento -
sono perlopiù dislocate presso le basi militari Usa oppure sono
quelle del passato regime: secondo le denunce delle diverse
organizzazioni umanitarie, le più famigerate strutture detentive
sotto controllo Usa in Afganistan e Pakistan sono quelle di Bagram,
Kandahar, Grishk, Gardez, Ghazni, Shebargan, Jalalabad e Asabad, dove
"ci sono prove evidenti che mostrano che il personale statunitense ha
commesso atti contro i detenuti che equivalgono a tortura o trattamento
crudele, inumano, degradante".
IRAQ
Dopo le foto scattate nel carcere di Abu Ghraib che in maggio hanno
fatto il giro del mondo, i vertici militari e politici statunitensi
hanno dovuto formalmente aprire dei procedimenti giudiziari nei
confronti dei soldati e delle soldatesse ritenuti responsabili delle
sevizie e delle torture divenute di dominio pubblico; alcuni di questi
sono stati processati e in alcuni casi anche condannati, seppur
lievemente, mentre invece resta indeterminato e intoccato il livello di
responsabilità superiore. La Commissione Indipendente d'indagine
sugli abusi nelle carceri, pur cercando di coprire le
responsabilità del ministro della Difesa Rumsfeld, ha comunque
ammesso che "le debolezze a Abu Ghraib erano note" ai comandi e che i
cambiamenti nelle tecniche di interrogatorio che il Pentagono aveva
apportato tra il dicembre 2002 e l'aprile 2003 a Guantanamo "vennero
esportate in Afganistan e in Iraq dove non furono né limitate
né salvaguardate". La stessa Commissione -peraltro guidata da
due ex-ministri della Difesa e non certo da Chomsky - oltre a
evidenziare il ruolo di settori dei servi segreti militari nelle
torture, ha indicato in David Addington, consigliere legale di Cheney,
l'autore del memorandum dove si affermava che la Convenzione di Ginevra
non era applicabile nelle carceri speciali di guerra. Altra
imbarazzante inchiesta è quella della rivista scientifica
inglese "The Lancet" che ha documentato, in modo agghiacciante, il
ruolo dei medici militari Usa all'interno del carcere di Abu Ghraib,
sia per demolire da un punto di vista psico-fisico i prigionieri che
per coprire con false certificazioni i continui decessi in seguito alle
torture. Nonostante l'acquisita infausta notorietà, ad Abu
Ghraib le cose non devono comunque essere cambiate molto, dato che da
qualche trafiletto sui giornali del 19 agosto scorso si è
appreso che i marine hanno sparato e ucciso due detenuti. In Iraq, non
vi sono soltanto il carcere di Abu Ghraib e quello di Bassora a sud,
sotto controllo britannico ed utilizzato anche dal contingente
italiano; altri abusi sono stati segnalati nel centro di detenzione di
Mosul nel nord, gestito da militari Usa, conosciuto come "la discoteca"
per l'utilizzo della musica ad altissimo volume come tortura.
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