Umanità Nova, numero 33 del 24 ottobre 2004, Anno 84
Venerdì 15 ottobre 2004 è stata approvata dalla camera la
riforma costituzionale berlusconiana. L'iter di approvazione definitiva
delle norme che manderanno in soffitta la costituzione del 1948
è ancora lungo e complesso (l'art. 138 dell'attuale costituzione
prevede che le revisioni della stessa siano sottoposte ad un doppio
voto di entrambe le camere ed eventualmente a referendum popolare).
Eppure qualche notazione la sui può fare fin da ora.
Il ministro per le riforme Calderoli, leghista, ostenta un fazzoletto verde mentre tiene il suo discorso finale venerdì 15 ottobre; è circondato dai suoi, anch'essi in fazzoletto verde. Ecco, la prima associazione mentale (o, meglio, di immagini) che mi viene, è quella con alcune foto del gruppo parlamentare nazista al Reichstag nei cupi anni trenta del secolo scorso. La divisa o un altro simbolo identitario ed escludente, marca la differenza in chi lo indossa dagli altri. I parlamentari leghisti, così come i nazisti altrove, sono entrati in parlamento con lo scopo dichiarato di scardinare il sistema basato sulla costituzione del 1948: cioè con uno scopo eversivo. Il progetto leghista affonda le radici nel ventre oscuro dell'Italia meschina e gretta di ampie aree del nord, in un ceto medio e operaio paranoico nei confronti di tutto ciò che è straniero (cioè non del paese). Ma questa paranoia ammanta di tenui veli quello che è il vero interesse del popolo leghista: i soldi, i loro soldi, che non devono essere condivisi con Roma ladrona, con il sud straccione e assistito, non parliamo poi di negri, froci, comunisti, ebrei, femministe (bagasce e puttane), preti che non si fanno i cazzi loro (cioè difendono i poveri), musulmani che prima o poi li rimandiamo a casa tutti e via snocciolando l'elenco di tutti quelli di cui bisognerebbe fare una bella ripulita nella nostra società se si volesse vivere meglio. Mantenere (in gran parte, fondamentalmente per scuola e sanità) le risorse là dove sono prodotte, come prevede la riforma costituzionale del Polo, di fatto spezza il vincolo solidale tra diverse parti del paese; ma non solo. Il progetto più ampio è quello di una società all'americana, totalmente disarticolata e disgregata, in cui la società stessa non offre una rete di protezione al consociato in difficoltà, ma tutto può essere ottenuto solo da chi, appunto, se lo può pagare. Il discorso leghista vuole (superficialmente) scindere il legame tra nord e sud d'Italia, ma ciò in realtà parla proprio del venir meno di ogni ipotesi di partecipazione sempre più vasta alla vita della Repubblica. Non è più compito della Repubblica (art. 3, c.2, Cost.) rimuovere gli ostacoli (povertà, ignoranza, malattia, disagio, ecc.) che non rendono possibile una vera partecipazione di ciascuno alla vita della società. E tra gli ostacoli, quello di ordine economico appare centrale. Ora, una bella fetta della base elettorale della maggioranza di governo ritiene che le differenze di classe vadano mantenute e rafforzate e che i ceti medio-alti devono veder diminuito il carico fiscale dovuto al desueto vincolo solidale imposto dalla Costituzione del 1948. Il truculento linguaggio leghista è solo lo specchietto per le allodole che svia dal guardare al concretizzarsi di un'idea di società antica e modernissima: appunto neo-liberista. Come tutti i progetti reazionari, quello neo-liberista usa come massa di manovra ceti medio-bassi (i leghisti, fette dell'elettorato di FI e di AN) contro altri ceti medio-bassi, per ribadire e aumentare il controllo su tutti: nonché per deviare flussi di ricchezza da un settore all'altro della società, agitando bandiere identitarie o spauracchi globali.
Non stupisce che l'altro corno della riforma polista è una vera e propria dittatura della maggioranza sulla minoranza e del primo ministro sulla sua maggioranza: lo sbocco di una società meno solidale è una società più autoritaria. Il tema del premierato, caro ad AN e a FI, trova non pochi estimatori anche a sinistra (D'Alema e compagnia). Vediamo allora che tutto quanto sta accadendo sotto i nostri occhi all'ordinamento costituzionale italiano ha, naturalmente, radici profonde. Dal decisionismo craxiano alle picconate di Cossiga alla centralità dell'impresa (anziché del lavoro) introiettata da gran parte dell'Ulivo. Persa la bussola del lavoro, non c'è che la deriva neo-liberista. Infatti, abbandonata la centralità del lavoro e dei rapporti di classe non solo nell'analisi, ma anche nella prassi politica, l'avversario si prende tutta la scena. Perché anche la socialdemocrazia partiva e si muoveva, bontà sua, sul presupposto del primato del politico e del vincolo di solidarietà tra i consociati sull'impresa. Abdicato a questo principio in nome della compatibilità e governabilità, non solo la sinistra perde la bussola, ma è alla mercé dell'avversario che invece sa benissimo cosa vuole. Senza un progetto di società alternativa al neo-liberismo, anche la cara vecchia Costituzione del 1948 può essere stravolta. E chi oggi a sinistra si straccia le vesti non può che piangere se stesso. Il fallimento di chi ha voluto negare che il cuore del problema sono i rapporti di forza tra capitale e lavoro è sotto i nostri occhi. Così come il fallimento di chi ha posto tutta la sua fiducia nel sistema rappresentativo e nel primato della maggioranza. Occupato tutto lo spazio democratico da chi è portatore di un'idea autoritaria di società, ai partiti rappresentativi manca l'aria e nella loro agonia si portano dietro una società disabituata al conflitto e a battersi direttamente per la propria libertà.
Simone Bisacca