Umanità Nova, numero 33 del 24 ottobre 2004, Anno 84
Nella sede dell'Ateneo Libertario di Milano incontriamo Yossi
Bartel, un anarchico israeliano, obiettore al servizio militare, di
"Anarchici contro il Muro" e di "Lavanderia nera".
Il primo gruppo, che ormai i lettori di UN hanno imparato a conoscere,
dopo il giro di conferenze della compagna Liad, è soprattutto
impegnato nell'azione diretta, il secondo è invece un collettivo
di riflessione e intervento sulle tematiche gay, lesbiche, transessuali
e, in genere, sui diritti umani. Il suo scopo e tentare di collegare le
varie lotte contro l'oppressione mettendo insieme la resistenza contro
l'occupazione, l'omofobia, lo sciovinismo, il capitalismo, lo specismo,
il razzismo.
Il nome del gruppo "Lavanderia nera" in ebraico rimanda ad un gioco di
parole intraducibile, poiché "Lavanderia Nera" e "Pecora Nera"
si pronunciano alla stesso modo. L'allusione è a ciò che
viene tenuto nascosto perché vergognoso, i cosiddetti "panni
sporchi", che il gruppo vuole invece mostrare con orgoglio a tutti.
Qual è l'attività di "Lavanderia Nera"?
Facciamo manifestazioni, performance, controinformazione. Un esempio
recente è l'iniziativa che abbiamo organizzato in occasione
della visita in Israele di Arnold Schwarzenegger: abbiamo manifestato
sia contro la sua omofobia sia contro l'appoggio all'occupazione della
West Bank e di Gaza.
Ogni anno la più importante manifestazione che facciamo è
all'interno del Gay Pride, che si tiene sia a Tel Aviv che a
Gerusalemme. La nostra è di fatto una contromanifestazione: noi
non siamo invitati, ci intrufoliamo, gridiamo slogan contro l'esercito,
l'occupazione e contro la cosiddetta "famiglia gay", perché noi
sosteniamo che in Israele, dove la famiglia è militarista,
quello che serve è una famiglia alternativa, non una gay sul
modello di quella eterosessuale. Utilizziamo a scopo provocatorio anche
dei pupazzi: una volta abbiamo sfilato con dei neonati in uniforme.
Ci hai detto che nel vostro gruppo ci sono anche palestinesi di
nazionalità israeliana, quali sono invece i vostri rapporti con
i gay che abitano in Cisgiordania?
Abbiamo rapporti personali non organizzativi, poiché non vi
sono organizzazioni gay in Palestina, dove c'è un clima di
pesante repressione contro i gay. Nei paesi arabi chi reca vergogna
alla famiglia spesso viene ucciso dai parenti. Quando lo Shin bet, il
servizio segreto interno dello stato di Israele, scopre un gay
palestinese cerca di arruolarlo come spia, minacciandolo di rivelare
alla famiglia la sua tendenza sessuale. Spesso i ragazzi sono obbligati
a scegliere tra essere uccisi dai parenti e diventare informatori dei
servizi. Accade anche che, quando in Palestina un gay viene "scoperto",
sia ucciso perché sospettato di essere al servizio dello Shin
bet.
I gay palestinesi che scappano in Israele sono immigrati clandestini,
spesso obbligati alla prostituzione. Quando capitano nelle mani della
polizia israeliana vengono consegnati all'autorità palestinese
con il marchio di gay e prostituti, ben sapendo che vanno incontro a
torture, umiliazioni ed alla morte. La costruzione del Muro peggiora la
loro situazione perché passare il confine è diventato
ancora più difficile.
Parliamo quindi del Muro. Ci racconti della vostra attività?
Quando abbiamo iniziato, ci siamo concentrati sulle azioni dirette
contro la recinzione, tentando di tagliare le reti. Durante una di
queste azioni nel dicembre 2003 è stato colpito alle gambe il
compagno Gil Naa'mati. Noi abbiamo fatto queste azioni, in se
simboliche, perché speravamo potessero essere il detonatore che
inducesse anche le comunità dei villaggi coinvolti nella
costruzione del Muro a praticare l'azione diretta. L'intento è
stato raggiunto e nei primi mesi dell'anno si sono svolte
manifestazioni pressoché quotidiane contro il Muro. In ogni
occasione oltre al nostro gruppo e agli internazionali ci sono sempre
stati gli abitanti dei villaggi palestinesi. Le iniziative hanno avuto
carattere non-violento sul lato palestinese mentre da parte
dell'esercito israeliano sono sempre state molto violente, con utilizzo
di gas lacrimogeni, pallottole di gomma, e armi "vere" utilizzate (se
si eccettua il caso di Gil) contro i palestinesi, quando noi siano
stati assenti. In tre diverse occasioni l'esercito ha aperto il fuoco
ed ha ucciso 6 palestinesi.
É quindi evidente anche la funzione di "protezione" che la vostra stessa presenza esercita.
Siamo nei fatti degli scudi umani. La nostra presenza diminuisce il
livello di violenza. Abbiamo anche fatto azioni per smantellare i "war
block", le strutture messe di traverso lungo le strade per rendere
più difficile e umiliante il passaggio della gente. Inoltre
facciamo manifestazioni all'interno di Israele, di solito assieme ad
altri gruppi della sinistra radicale israeliana.
In questi giorni ci sono continue manifestazioni contro il muro della
vergogna. Ogni giorno resistiamo contro il muro assieme ai palestinesi
tentando di bloccare i bulldozer.
Sappiamo che il ferimento di Gil ha avuto un forte impatto sulla società israeliana: puoi parlarcene?
Certo lo shock è stato molto forte, perché per la
prima volta veniva colpito un israeliano ebreo (se fosse stato un
palestinese di nazionalità israeliana l'impatto sarebbe stato di
gran lunga minore: dall'inizio della seconda Intifada l'esercito ha
ucciso 13 palestinesi di nazionalità israeliana). Questo come se
la guerra non mietesse ogni giorno vittime tra i palestinesi. Per noi
era una sorta di paradosso, simile a quello che avrete notato voi dopo
l'uccisione di Carlo Giuliani. La globalizzazione uccide migliaia di
persone ma lo scandalo scoppia quando cade la prima vittima europea
no-global. Il ferimento di Gil ha avuto una funzione analoga: ogni
giorno l'esercito spara ed uccide civili palestinesi, ma lo scandalo
scoppia solo perché il piombo colpisce alle gambe un ebreo.
Tu sei un refusnik?
Sì.
Puoi parlarcene?
Il servizio militare è obbligatorio per tutti gli uomini e le
donne ebrei al compimento dei 18 anni e dura tre anni per gli uomini e
due per le donne. Gli uomini sono inoltre obbligati a prestare un mese
di servizio all'anno sino circa 50 anni. Ci sono due possibilità
di evitare il servizio militare. La prima consiste nella pubblica
dichiarazione di nonsottomissione che comporta una condanna ad una pena
detentiva che varia dai 4 mesi ai due anni. La seconda opzione consiste
nel fingersi matti.
Quanti refusnik sono in prigione?
Dall'inizio della seconda Intifada sono stati incarcerati circa 300
obiettori. Parte di loro fanno parte della riserva. Oggi in Israele il
10% dei ragazzi in età di leva e dei riservisti si dichiarano
matti per evitare il militare. Tutti gli anarchici rifiutano l'esercito.
Puoi parlarci del movimento anarchico israeliano?
Negli anni '50 c'era un piccolo gruppo, il cui esponente principale
era Toma Shik, che è stato attivo in Israele sino agli anni '90.
Negli anni '60, da una scissione del PC si è formato un gruppo
antisionista denominato Matzpen, al cui interno vi era una forte
presenza anarchica. Quest'organizzazione è stata molto influente
nel paese sino alla metà degli anni '70, anche se al suo interno
convivevano le più diverse componenti: dai maoisti agli
anarcosindacalisti. Dopo una quindicina d'anni ciascuno è andato
per la propria strada.
Tra la fine degli anni '80 e l'inizio dei '90 c'è stata
un'ondata caratterizzata soprattutto da punk e animalisti. Nel corso
degli anni '90 sono sorte decine di piccoli gruppi che si occupavano di
animalismo e di lotte antiglobalizzazione. Il tema dell'occupazione
della Cisgiordania e di Gaza aveva un rilievo minore di oggi
perché eravamo nel periodo del cosiddetto "processo di pace".
C'è stato un fiorire di pubblicazioni anarchiche: libri,
riviste, opuscoli, fumetti.
La seconda Intifada ha rappresentato uno spartiacque. Nel 2001 si
è costituito il gruppo "One struggle" che mette insieme la
questione dei diritti umani e di quelli animali. Questo è un
gruppo che si occupa soprattutto di propaganda.
Noi, come "Anarchici Contro il muro", siamo diventati realmente un
gruppo durante il campo di Mash'a. A Mash'a c'erano anarchici,
palestinesi, internazionali. Per la prima volta israeliani e
palestinesi si univano per costruire relazioni, conoscenze e per
elaborare progetti: siamo riusciti a costruire un rapporto
continuativo. Per noi anarchici il Muro è stato l'elemento
catalizzatore della nostra stessa coscienza: noi siamo contro tutti i
muri, contro tutti i confini e gli stati. Molti che non si
consideravamo anarchici hanno capito che questo muro andava abbattuto.
Noi, diceva il compagno Levinsky, veniamo qui uniti per combattere qualcosa che viene costruito per dividere.
Vuoi aggiungere qualcosa?
Per noi è molto importante ricevere solidarietà, per aiutarci nella lotta contro il governo israeliano (beh siamo ovviamente contro tutti i governi) e per far sapere in giro che cosa succede qui dove c'è gente che resiste alla barbarie degli stati.
Intervista a cura della redazione di UN