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Umanità Nova, numero 33 del 24 ottobre 2004, Anno 84

Ribellarsi è giusto
Israele: processo agli anarchici 



Il 18 ottobre, di fronte alla Corte di giustizia di tal Aviv si è svolta la prima udienza di un processo contro undici compagni di "Anarchici contro il Muro". Dovevano rispondere di "manifestazione non autorizzata", "assalto alla polizia" e "danneggiamento della proprietà privata" (ossia aver fatto scritte sui muri).

Tutte le accuse si riferivano ad un singolo episodio dello scorso 25 febbraio: in tutto non più di dieci minuti di azione.
Quel giorno all'Aja la Corte Internazionale dava inizio al procedimento relativo al Muro che il governo di Sharon sta costruendo attraverso le città ed i villaggi palestinesi.

Gli anarchici avevano deciso fare una manifestazione congiunta con gli abitanti di un villaggio che aveva perso gran parte della propria terra a causa del Muro. Ma la polizia e l'esercito mandarono a monte i piani dei compagni, intercettandoli al confine con la Cisgiordania e obbligandoli a tornare indietro. Il gruppo di diresse subito al Ministero dell'Interno a Tel Aviv, si sedette sulla strada di fronte ai cancelli di ingresso e venne immediatamente attaccato dalla polizia. Un compagno venne picchiato al punto da perdere conoscenza, un altro dovette ricorrere a cure ospedaliere e 13 trascorsero la notte in guardina. La mattina successiva la polizia chiese al giudice incaricato del caso di trattenerli in arresto finché la corte dell'Aja avesse terminato i propri lavori, ma il giudice respinse la richiesta e li mise in libertà. A quel punto la polizia decise di accusarli dei reati per i quali sono stati processati il 18 ottobre.
I compagni si sono presentati con magliette con la scritta "non ci farete stare zitti" e con la bocca coperta da un bavaglio. Le guardie della corte li hanno obbligati a togliersi le maglie perché "le manifestazioni non erano ammesse di fronte alla corte".

L'avvocato difensore ha iniziato il proprio intervento richiamandosi al "diritto naturale" per il quale le azioni degli imputati si spiegano con l'indignazione per quello che il Muro rappresenta. Altri giudici avrebbero rigettato come irrilevanti le descrizioni della distruzione della vita quotidiana dei palestinesi operata dal muro, ma il giudice Landman non l'ha fatto, e l'avvocata Gabi Lasky ha potuto portare a termine la propria esposizione. Lasky ha soprattutto insistito sul fatto che la cosiddetta "Seam Area" dove i compagni volevano fare la propria manifestazione prima di essere bloccati dalla polizia, è considerata "zona militare" ed è vietata anche a chi c'è nato e vi ha trascorso la vita. A questa gente serve un permesso speciale per andare a casa e per lavorare i propri campi. Invece ad un israeliano è permesso entrarci senza alcuna formalità. Ma non solo. Persino un ebreo proveniente da Brooklyn o da Timbuktu può scendere all'aeroporto Ben Gurion e recarsi nella Seam Area senza chiedere alcun permesso. Ma un palestinese che c'è nato ha bisogno del permesso dell'esercito per vivere nella propria casa! Gli anarchici volevano protestare contro questa terribile ingiustizia quel 25 febbraio, quando tentarono di recarsi nella Seam Area. Citando Kant, Lasky ha sostenuto che i compagni hanno obbedito ad un imperativo morale e che quindi andavano prosciolti.

Il giudice si è riservato di rispondere all'avvocato difensore in un secondo tempo e si è concentrato sulle evidenti contraddizioni dell'impianto accusatorio, e rivolgendosi al Pubblico Ministero ha chiesto chiarimenti sui fatti concreti imputati ad ogni singolo compagno. Ha inoltre messo in dubbio che il sedersi a terra per tre minuti rifiutando di obbedire all'ordine di alzarsi implicasse il reato di intralcio alla polizia. Ha infine invitato l'accusa a riflettere sull'opportunità di proseguire nella causa e in attesa di pronunciarsi sulle istanze della difesa in merito alla legge naturale ha messo in libertà tutti.

Liberamente tratto dalla Newsletter di Gush Shalom del 19 ottobre, trad. di Amria























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