Umanità Nova, numero 34 del 31 ottobre 2004, Anno 84
Il 9 di ottobre si sono svolte le elezioni presidenziali in Afganistan
il cui risultato verrà reso noto solamente tra quindici giorni
ma sul quale non vi sono dubbi: vincerà l'attuale Presidente
Ahmid Karzai uomo degli americani, pashtun ed esponente storico
dell'élite afgana rifugiatasi nel corso dell'esperienza
progressista dei primi anni Settanta negli USA e in Germania.
Naturalmente le condizioni del voto non sono state tra le più
regolari: nelle varie province i signori della guerra hanno permesso lo
svolgimento delle operazioni solo dopo essersi garantiti il risultato
locale al termine di lunghi mercanteggiamenti con Karzai e con
l'ambasciata americana, nelle province attorno a Kandahar dove i
talebani mantengono tuttora il potere e resistono da ormai tre anni
all'offensiva delle forze della NATO e, sull'altro lato di quelle
pakistane, non si è assolutamente votato, mentre un po' dovunque
il metodo di controllo utilizzato per evitare che un elettore votasse
due volte (segnarne le dita con inchiostro indelebile dopo il voto)
è stato pesantemente criticato da molti candidati d'opposizione
perché non pochi funzionari inviati da Kabul nelle province
hanno "dimenticato" in alcuni casi di usare un inchiostro indelebile.
Naturalmente il minacciato boicottaggio da parte dell'opposizione
è rientrato nella settimana successiva dopo che i vari esponenti
di quest'ultima avevano ottenuto dal governo contropartite presenti e
future nei termini di finanziamenti per i loro territori di
appartenenza.
Quest'ultima affermazione va spiegata: il voto afgano è stato un voto in cui si sono incrociate due dimensioni fondamentali del paese, quella etnica e quella (spesso confusa con la prima) del ferreo controllo locale da parte di famiglie di signori della guerra che basano il loro potere sul possesso delle armi e conseguentemente sul controllo delle vie di trasporto battute dalla mafia pakistana dei camionisti e da quella internazionale dell'oppio da eroina.
Il governo dei signori della guerra locali è totale sui loro territori: essi impongono tasse e imposte, applicano loro personali direttive e hanno diretto l'economia locale verso lo sviluppo della coltivazione del papavero da oppio e sull'imposizione di tasse ai camionisti che trasportano merci tra Pakistan, Iran, Asia Centrale e Cina. In territori come quello abitato dall'etnia Hazara o nella zona governata dal voltagabbana Dostum abitato da popolazioni uzbeke, questa dimensione si apparenta con quella dell'appartenenza etnica, nelle zone abitate dalle etnie maggioritarie, i tagiki e i pashtun, le divisioni passano per appartennze claniche e familiari, mentre quelle politiche si limitano alla contrapposizione tra i talebani e tutti gli altri.
A Kabul, invece, governa Garzai in coabitazione con l'ambasciatore americano Zalmay Khalizad, basandosi sui 6.000 uomini delle truppe NATO la cui presenza non ha comunque impedito che nella capitale negli ultimi tre anni si siano verificati centinaia di attentati e fatti d'armi più o meno piccoli. La città distrutta da venticinque anni di guerra è severamente divisa in due tra la zona residenziale dove vi sono le ambasciate, il palazzo presidenziale e le sedi delle corporation occidentali arrivate nel 2002 nel paese, ridotta ad un bunker e dove il prezzo delle case è salito in modo esponenziale, e il resto della città abitata dalla popolazione locale dove le condizioni di vita restano pesantemente precarie. La città in questi tre anni ha visto una doppia emigrazione di rientro. La prima proviene dalla diaspora dell'élite afgana i cui ricchi figli sono tornati dall'America e da Amburgo per riprendere possesso delle proprietà espropriate prima ancora che dal governo filosovietico di Amin, da quello democratico-progressista di Daud dopo il 1973; questa diaspora è la responsabile dell'innalzamento generalizzato dei prezzi, del prevalere sui mercati ricchi del paese di merci di importazione e della folle bolla speculativa sul mattone della capitale (una villa nei dintorni di Kabul sotto i talebani costava diecimila dollari, oggi non meno di cinquantamila). La seconda è composta da muratori, elettricisti, piccoli commercianti o minuscoli imprenditori, rientrati dai campi profughi dell'Iran o del Pakistan, dopo aver fatto un po' di soldi con i mille mestieri dell'emigrazione.
Queste due diaspore hanno in comune il cosmopolitismo ma
differiscono profondamente nei rapporti con la popolazione e il
territorio locale. I ricchi afgano-americani o afgano-tedeschi (esiste
fin da fine Ottocento un forte rapporto tra l'Afganistan e la Germania)
non cercano di integrarsi, vivono esclusivamente a ridosso delle truppe
di occupazione e fanno affari grazie al moltiplicarsi di cariche e
posti di responsabilità voluti dal governo Karzai e
dall'amministrazione USA e grazie all'economia della ricostruzione
diretta dalle ONG e volta a favorire questa élite e le
corporation occidentali. L'emigrazione di rientro del ceto medio,
invece, si è integrata positivamente e viene vista come non
molto differente dalla popolazione rimasta nel paese peraltro ridotta
in miseria nella sua massima parte e oggettivamente favorita dalla
minima circolazione di valuta portata dal rientro di questi ex
profughi. Questi ultimi, infatti, comprano sui mercati locali,
impiegano mano d'opera afgana e abitano negli stessi quartieri della
popolazione locali, l'élite invece acquista i beni che arrivano
nel paese dagli USA e dall'Europa a prezzi globalizzati che influenzano
negativamente l'inflazione del paese e assumono soltanto afgani
d'America e d'Europa e infine abitano nella zona dell'élite
chiusa ai comuni mortali e protetta dalle truppe NATO.
Le ONG sono parte integrante di questo meccanismo che impoverisce il
paese e rischia di vanificare gli sforzi del ceto medio rientrato dai
campi profughi. Le ONG sono circa duemila, costruiscono a Kabul a ritmi
serrati e stanno trasformando la città in un immenso cantiere
umanitario dove i compiti migliori spettano alla diaspora
d'élite afgana, le commesse alle corporation occidentali e i
"lavori di merda" alla popolazione locale. Quest'ultima lotta contro
l'immiserimento e l'inflazione senza riuscirci e tra i ceti urbani
della capitale si sta diffondendo frustrazione ed odio per gli
stranieri e per l'élite rientrata nel paese visti come i
responsabili del peggioramento delle condizioni di vita, e sembra
sempre più disposta a dare credito alle formazioni islamiche
fondamentaliste che uniscono nella loro propaganda lotta allo
straniero, restaurazione islamica e redistribuzione egualitaria della
ricchezza del paese tra la popolazione locale.
Nelle province il sistema dei signori della guerra ha fatto sì che l'Afganistan sia rientrato nel commercio legale ed illegale internazionale. Il commercio dell'oppio, il trasporto delle merci indo-pakistane verso l'Asia Centrale e verso l'Iran e quello delle armi in tutte le direzioni hanno ripreso a passare per l'Afganistan e ad arricchire i clan organizzati che controllano il territorio. I clan pashtun del sud e dell'ovest del paese, quelli hazara del centro, quelli tagiki, uzbeki e turkmeni del nord sono forti di milizie che variano tra i 10.000 e i 25.000 uomini armati, concorrono tra loro per ampliare la produzione di oppio e collaborano nel mantenere sgombre e sicure le strade per i traffici dietro pagamento di tasse e imposte più o meno formalizzate.
Karzai e gli americani si rapportano con questa realtà cercando di integrarla all'interno del loro sistema di potere scambiando il loro appoggio alla traballante creatura di Washington con l'accettazione di fatto del loro potere locale. La forma statale afgana è, nei fatti, ridotta ad un modello feudale: esiste un monarca-presidente il cui potere si basa sulle truppe NATO e sui finanziamenti internazionali alla "ricostruzione" ed esistono feudatari di grado diverso che mantengono una fedeltà al monarca sulle questioni internazionali ma governano da signori assoluti sui territori dove sono stanziati. A complicare il quadro ci sono le fedeltà claniche che sono superiori a quelle politiche e religiose e alle stesse appartenenze etniche.
La cosiddetta democrazia importata dagli USA nella realtà afgana si dimostra al di là del moltiplicarsi delle scadenze elettorali per quello che è: un misto di regime aristocratico al centro e di "fucilocrazia clanica" nelle province, un regime che gli americani oggi controllano grazie più al flusso di capitali che dirigono verso il paese che non alle capacità militari, ma che nei prossimi anni potrebbe vedere la diffusione di forme sempre più radicate di opposizione locale al regime di Karzai e alla politica di occupazione di Washington.
Giacomo Catrame