Umanità Nova, numero 34 del 31 ottobre 2004, Anno 84
Nel momento in cui si scrive, nessuno è in grado di prevedere
l'esito della competizione elettorale che riguarda il futuro Presidente
degli Stati Uniti d'America. Alcuni elementi sono a disposizione per
ogni ipotesi.
Innanzitutto, a ritroso di nuove teorie politiche secondo le quali le competizioni elettorali si vincono non più approssimandosi ad un fantomatico centro dell'elettorato che rappresenterebbe la massa dei voti decisivi in ogni elezione, bensì raggiungendo e conquistando il proprio elettorato potenziale che, altrimenti, potrebbe restare apatico, indifferente, riottoso a partecipare ai riti elettorali, e che quindi amerebbe essere inseguito e corteggiato per sentirsi, almeno una volta ogni tanto, realmente decisore, vero sovrano, quest'anno i contendenti hanno speso una barca di soldi per convincere i riottosi ad iscriversi nelle liste elettorali (forse in qualche caso pagandone i relativi costi economici), nell'estremo tentativo di recuperare segmenti di popolazione solitamente estranei e esterni all'arco elettorale rappresentato al Congresso - in genere, segmenti di popolazione minoritaria in alcune aree dell'immenso continente nordamericano, o addirittura impoverite, non istruite a sufficienza, toccate da drammatici problemi di vita quotidiana la cui percezione è e resta impermeabile alle sirene degli onorevoli ultraprivilegiati deputati e senatori, rinchiusi nelle loro case dorate e nei loro uffici insonorizzati rispetto al lunario da sbarcare giorno dopo giorno.
Altro elemento è l'altalenarsi dei sondaggi più o meno indipendenti, che danno sostanzialmente quasi alla pari i due principali rivali aspiranti alla carica, segno di una incertezza consistente derivata con molta probabilità dall'evidente sintonia di contenuto delle posizioni di Bush e di Kerry, a parte le sfumature di sensibilità che, evidentemente, non sono sufficienti, a tutt'oggi, a determinare prese di posizioni nette (qualcuno deciderà all'ultimo minuto, e se questo qualcuno costituisce almeno un buon 5% del corpo elettorale iscritto, la razionalità matura del comportamento elettorale del sovrano decisore con cognizione di causa, con calcolo ponderato e argomentato dell'offerta politica, secondo i canoni della scienza politica dei regimi democratici, va in fumo).
La raccolta dei fondi elettorali per la campagna ha raggiunto quote sbalorditive, superando i 300 mln di $ sia per Bush che per Kerry (quattro anni addietro Bush aveva raggiunto i 100 mln di $ che già costituiva un record, mentre 75 ne aveva raggiunto l'anno successivo tale senatore Liebermann, dei Democratici, per valutare se concorrere alle successive primarie, per poi non presentarsi nemmeno: come sprecare denaro a vuoto!). Il dato interessante è che non è stato speso tutto, infatti ognuno si sta tenendo da parte oltre 100 mln di $ a testa per affrontare quelle che vengono definite gli inevitabili ricorsi e conflitti in tribunale se l'esito delle votazioni dovesse terminare, come quattro anni fa, sul filo di lana, e si sa quanto costano staff di avvocati e bustarelle per i giudici e loro familiari!…
Il voto negli Usa non è uniforme sotto tutti i punti di vista. Da contea a contea variano le modalità di voto e le attrezzature di voto, inoltre in alcuni stati si vota anche per elezioni suppletive locali (inclusi cariche circoscrizionali tipo lo sceriffo e il consiglio di quartiere), sino ad arrivare a complesse operazioni di voto reiterate per ben 29 volte in Florida, sede dei brogli del round precedente, che vide protagonista il governatore fratello di Bush. Confusione, errori, inceppamenti della macchina elettorale sono statisticamente alle porte.
La campagna elettorale si è infiammata sulla guerra in Iraq, sebbene storicamente nessun presidente abbia vinto le elezioni esclusivamente su temi di politica estera, che in genere appassionano gli intellettuali, la stampa, il mondo intero, eccetto l'elettore medio di una provincia media del ventre molle medio degli Usa. Probabilmente qualche tema interno, relativo alle condizioni economiche del cittadino, risulterà realmente decisivo ai fini della vittoria dei repubblicani o dei democratici, in ragione di qualche percezione o di qualche illusione storica del modo in cui le strategie repubblicane e democratiche hanno affrontato in passato problemi di natura economica interna.
Infine, qualche buontempone new global ha proposto seriosamente come non sia più il caso che il futuro padrone del pianeta sia eletto non democraticamente da una sola porzione degli abitanti del pianeta; i cittadini americani hanno il diritto-dovere di eleggere il loro capo di stato e di governo, ma non di scegliere per tutta la popolazione mondiale, che sarebbe l'unica titolata a decidere in vera democrazia quale dovrebbe essere il candidato ideale a guidare le sorti della terra. Occorrerebbe quindi sdoppiare le competenze dell'inquilino della Casa bianca, con relativa distinzione del corpo elettorale individuato per deciderne l'elezione realmente rappresentativa. In tal caso la sorte sarebbe già segnata per Bush, e Kerry canterebbe facile vittoria per proseguire la guerra criminale contro tutto il mondo, magari facendo compiere al Segretario alla difesa Rumsfeld, dato in partenza dal Pentagono e quindi smanioso di smarcarsi da se stesso, l'ingrato ruolo di ultimare il lavoro lasciando la patata bollente all'Onu o alla Nato, con grande felicità bipartisan dei nostrani beneamati leader. Allora sì che la democrazia regnerebbe sulla terra e ognuno sarebbe riconciliato con se stesso, con la propria terra, con la propria vita, con quella di tutti. Amen.
Salvo Vaccaro