testata di Umanità Nova

Umanità Nova, numero 35 del 7 novembre 2004, Anno 84

Tutti a Mestre il 13 novembre!
Nessuno è NATO per servire
In piazza contro i signori della guerra, i padroni del mondo




Facciamo due calcoli.

I militari italiani in missione in Iraq, Afganistan e Balcani hanno una paga-base mensile di circa 4 mila e 200 Euro (per la semplice truppa), senza contare le varie indennità di servizio; un operaio ha invece un salario base mensile che generalmente non arriva ai mille Euro. Dall'inizio dell'intervento in Iraq, i militari italiani hanno avuto 19 morti; in Italia quotidianamente ci sono 4/5 caduti sul lavoro.

Praticamente, in soli quattro giorni di una settimana qualsiasi, le vittime del conflitto capitale-lavoro eguagliano il numero dei soldati italiani rimasti uccisi in un anno e mezzo di guerra in Iraq.

Mentre vengono altresì tagliate le spese per sanità, istruzione, pensioni, servizi sociali il governo inaugura la portaerei Cavour, costata già 3 miliardi di Euro mentre altrettanti saranno stanziati per renderla operativa con la dotazione degli aerei da combattimento previsti. Intanto, lo stesso governo non rinnova i contratti e intende bloccare le assunzioni nel pubblico impiego per tre anni.

Le guerre sono sempre uguali e le pagano sempre gli stessi: non è certo retorica populista.

E in questo senso, come hanno opportunamente ricordato i compagni veneti in un loro volantino, davvero "la guerra è un massacro di gente che non si conosce per il beneficio di pochi che si conoscono ma non si massacrano".

Da questa evidenza si comprende con facilità come la questione della guerra sia pienamente questione sociale e quanto l'antimilitarismo sia connesso con l'anticapitalismo.

Purtroppo, il cosiddetto movimento no-war non sempre ha avuto in questi anni la capacità di collegarsi alle lotte dei lavoratori e dei senza reddito, ossia dei soggetti per primi colpiti dall'economia di guerra e dalla politica interventista dei governi - sia di centro-destra che di centro -sinistra- che si sono succeduti in Italia.

Troppe volte infatti il movimento pacifista, pur sottolineando le pur condivisibili ragioni etiche del rifiuto delle logiche di guerra, ha finito per manifestare un'opposizione separata dall'opposizione di classe e, più in generale, senza la prospettiva di una radicale messa in discussione dei meccanismi economici e di potere statale che restano le cause principali di tutte le guerre dell'era moderna. 

Tale contraddizione di fondo si è andata manifestando in particolare nelle rituali richieste, più o meno di massa, rivolte dai pacifisti nei confronti di quelli stessi governi nazionali e di quelle stesse strutture sovranazionali (Onu, Nato, Unione Europea…) che sono mandanti o complici delle guerre in atto, nonché del saccheggio ambientale e dei processi economici che producono miseria e povertà per milioni di persone.

Ormai non sono più concesse illusioni a riguardo e, come ha di recente affermato la scrittrice indiana Arundhati Roy, "oggi dobbiamo capire che cosa funziona e cosa no, perché troppo spesso veniamo trascinati dall'aspetto teatrale della resistenza, dalla sua natura simbolica, da ciò che ne scrivono i giornali. Non importa se appare sui giornali o no, ma conta se colpisce (…) Quanti di noi stanno cercando di gridare, di farsi sentire, devono trovare il modo di essere più efficaci: devono riuscire a imbrigliare questa paura e ad indirizzarla in un modo davvero rivoluzionario, radicale. Altrimenti si trasforma in una pura forma di reazione".

emmerre

























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