Umanità Nova, numero 35 del 7 novembre 2004, Anno 84
La sottoscrizione del nuovo Trattato tra i paesi facenti parte della
Unione europea, avvenuta a Roma il 29 ottobre 2004, consente alcune
riflessioni.
In primo luogo, colpisce che il nuovo Trattato sia chiamato "Costituzione europea", mentre poco ha delle costituzioni in circolazione. Infatti, la neonata costituzione è frutto delle mediazioni tra i governi dei paesi dell'Unione e non è certo il prodotto storico di rivolgimenti o di modifiche nei rapporti di forza nella società. Il percorso costituente si è svolto tutto all'interno delle élite politiche e non ha coinvolto in nulla i cittadini dell'Unione.
Il tessuto di cui è poi fatta l'Unione è quello
classico: mercato più diritti politici più qualche
diritto sociale. Il mercato è al centro della costruzione
europea: si pensi solo al Mercato europeo comune (MEC) o alla
Comunità economica europea (CEE), basi di quella che è
diventata la Unione europea. Si pensi all'unione monetaria con l'euro
che ha anticipato di gran lunga l'unione politica, ancor da venire,
nonostante la solennità e la propaganda della firma del nuovo
trattato.
Il mondo del lavoro ha trovato nell'Unione una tutela, quando si parla
di salute (tutta la normativa sulla sicurezza sul posto di lavoro) o di
minimo sostegno al reddito (la normativa a tutela del TFR o del
pagamento delle retribuzioni); ma per il resto, gran parte della
normativa comunitaria è peggiorativa rispetto alle singole
normative nazionali, specie a quelle di paesi in cui un forte movimento
dei lavoratori negli anni si era conquistato tutele molto avanzate.
L'Europa che (ri)nasce a Roma (era nata nel 1957 sempre a Roma, con
la stipula dell'omonimo trattato), ricordiamolo, lascia fuori dal
diritto alla libertà di movimento ancora per un po' di anni i
cittadini dell'est, temendo "invasioni barbariche". Ciò che
invece da subito viaggia tranquillamente dalla Polonia al Portogallo
sono le merci. E del resto, rispetto ai migranti dall'Africa dall'Asia
dal Sud America l'Europa ha una politica comune di "inaccoglienza".
In realtà, le élite politiche e imprenditoriali europee
hanno bisogno di una massa critica di popolazione per rendere possibile
la competizione dell'Europa stessa rispetto già solo agli Stati
Uniti (per tacere della Cina). Sono certi volumi di produzione, ma
anche di consumi, che fan girare la baracca. Giacché tale
obiettivo non necessita della condivisione "popolare", il lavoro
preparatorio della nuova "Costituzione europea" si è ridotto ad
uno scontro e ad una mediazione tra i governati dei vari paesi. La
Costituzione dovrà essere approvata in ogni paese dell'Unione o
dai singoli parlamenti o da un referendum, entro due anni.
Nasce quindi un aggregato politico ed economico con modalità
davvero estranee alla normale genesi di una costituzione, ma quasi con
quelle di un atto costitutivo di una s.p.a. dove gli obiettivi
economici dichiarati sono perseguiti dal consiglio di amministrazione e
ai semplici azionisti spetta solo il compito di ratificare le scelte
altrui.
Un'Europa di Stati e di governi che eredita il peggio di queste forme
istituzionali. Il suo affermarsi è anche traccia della crisi di
ogni discorso internazionalista e dell'incapacità di articolare
un disegno "altro" rispetto al liberismo dominante. Però
è solo ripartendo proprio dalla categoria politica
dell'internazionalismo e, aggiungerei, dell'antimilitarismo, che
è possibile confrontarsi con il disegno in atto: per saperlo
combattere, per non farsi sopraffare da esso.
Simone Bisacca