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Umanità Nova, numero 35 del 7 novembre 2004, Anno 84

Asfissia tricolore a Trieste
Overdose nazionalmilitarista a 50 dal "ritorno" dell'Italia




L'unica cosa che non si può contestare di quel 26 ottobre 1954 a Trieste è la bora con pioggia. La gente, invero molta, si inzuppò fino al midollo. Lo posso confermare in quanto piccolo testimone di 8 anni accompagnato dai genitori anch'essi in festa per l'arrivo dell'Italia. In effetti l'ingenuità non era solo mia, anche se basteranno pochi anni per aprire gli occhi a molti triestini.

Con l'annessione all'Italia comiciò infatti una crisi economica con migliaia di disoccupati disposti ad emigrare, in Australia soprattutto. Spontaneamente venne coniato un commento amaro: arriva la Madre (intesa come Madrepatria), i figli partono. Tra le chiusure di fabbriche, la più importante fu quella dei Cantieri navali San Marco che, dopo più di un secolo di attività febbrile, chiusero i cancelli nell'ambito di una ristrutturazione sentita come umiliante da migliaia di lavoratori e di giovani. Dodici anni dopo le folle osannanti alla patria, arrivò un altro ottobre. Dopo vari scioperi generali che bloccarono l'intera città, l'8 ottobre 1966 migliaia di triestini si battono per l'intera giornata contro la polizia intervenuta pesantemente a sciogliere il corteo operaio di protesta. La partita si chiude con più di mille arresti e l'inevitabile strascico di disoccupazione, soprattutto giovanile. Per vari anni le cerimonie patriottiche furono meno affollate...

Il nazionalismo è stato, ed è, il cavallo di battaglia dei neofascisti, sia quelli del MSI (ora riciclati in AN) sia quello di gruppetti nazisti foraggiati e protetti negli anni Settanta per tenere in scacco la situazione politica locale e nazionale. Va ricordato che i servizi segreti italiani hanno giocato le loro carte, già prima del 1954, attraverso finanziamenti e fornitura di armi leggere a gruppetti di delinquenti per provocare situazioni di tensione contro il Governo Militare Alleato degli angloamericani e per le mobilitazioni nazionaliste in loco e in tutta Italia. Poi gli stessi servizi continuarono a rimestare nel torbido attraverso movimenti quali Avanguardia Nazionale e Ordine Nuovo che attaccavano fisicamente i cortei studenteschi, le sedi di sinistra (anche la nostra sede nell'agosto del 1970) e chiunque non accettasse la loro presenza provocatoria ed aggressiva, peraltro fortemente protetta da poliziotti amici e da magistrati distratti.

Alcuni esponenti di tali squadre fanno ora parte dell'establishment del potere politico locale, arroccati al vertice dell'apparato burocratico comunale e provinciale. Non poteva perciò non esserci un'intesa completa con il governo che qualche mese fa ha stanziato più di 50 milioni di euro per le celebrazioni del Cinquantenario. In pratica da aprile le piazze di Trieste si sono trasformate in una sorta di caserma all'aperto, circondata da tricolori e tricolorini in quantità spropositata (solo la bora sta provvedendo a toglierne un po'), con sfilate militari (a partire da quella finta popolaresca di centinaia di migliaia di alpini a metà maggio) e raduni in quantità di reparti in armi (in settembre quelli della Pozzuolo di ritorno dall'Iraq) e il tentativo di raggiungere dei record di idiozia come quello del "tricolore umano" più grande del mondo in Piazza Unità. Quest'ultima impresa è fallita anche per l'opposizione di molti insegnanti alla strumentalizzazione apertamente fascista che emergeva anche da un opuscolo propagandistico corredato da bandiera tricolore che è stato consegnato, gratuitamente dal Comune, in più di 20.000 esemplari nelle scuole. Invece dell'adunata oceanica di ragazzi plaudenti a riempire l'intera piazza si sono ritrovati in meno di duemila (comunque troppi) a lamentarsi sul boicottaggio dei docenti di sinistra.

Ormai siamo al gran finale con Ciampi a benedire la "città italianissima" il 4 novembre e ministri più o meno ex picchiatori a inaugurare nuovi francobolli o altre iniziative a metà fra il ridicolo e il patetico. La cultura della destra non può sfuggire alla retorica patriottarda e nostalgica e non va al di là dell'imposizione della propria ottusità e miseria intellettuale.

D'altra parte si sta assistendo ad una rincorsa della sinistra sullo stesso terreno degradato dal nazionalismo travestito da patriottismo risorgimentale. Negli ultimi tempi esponenti dei DS si sono prodigati in omaggi ai caduti delle foibe, dimenticando che fra essi vi erano non pochi criminali di guerra distintisi nella represione antipartigiana bruciando villaggi sloveni, uccidendo migliaia di civili e torturando centinaia di sospetti nelle carceri segrete. Per dimostrare di essere degli ex comunisti e per sottrarsi all'accusa rivolta ai comunisti di aver voluto nel 1945-46 "cedere la città a Tito" si presentano come i primi nella revisione del passato riscrivendolo con gli occhi dell'opportunismo e del nazionalismo appena coperto da una patina democratica. In questo ambito stanno gonfiando l'importanza del CLN di Trieste (a cui non aderivano i comunisti locali) che, alla fine aprile del 1945, diede l'ordine di insorgere contro i tedeschi in ritirata e di occupare i punti nevralgici della città. L'operazione riuscì parzialmente dati i limiti numerici di questi partigiani filoitaliani e all'arrivo dei partigiani jugoslavi, più potenti e più aggressivi, questa resistenza del CLN filoitaliano fu dissolta in poche ore. Tanto è bastato agli attuali revisori della storia locale per far passare il locale CLN (che pure ha lottato e ha avuto i suoi morti nel lager della Risiera) come il vero protagonista della liberazione di Trieste. Questo CLN sarebbe stato quindi vittima del IX Corpus dell'esercito jugoslavo dedito ad imporre il proprio dominio con tutti i mezzi. 

Di sicuro le truppe di Tito non andarono per il sottile e compirono eliminazioni di individui denunciati per motivi personali, come accade sempre in circostanze analoghe. Esse inoltre rappresentavano un programma di espansione a sua volta intriso di nazionalsmo camuffato da internazionalismo. Va però ricordato il contesto drammatico della precedente lotta di liberazione antinazista e antifascista nella Jugoslavia con un totale di quasi un milione di morti e la distruzione di intere zone ad opera degli occupanti nazifascisti e dei collaborazionisti, soprattutto ustascia croati. 

È singolare il fatto che gente abituata a contestualizzare ogni evento, come gli storici che collaborano all'esaltazione della resistenza italiana, si dedichi ora a un lavoro di puro fiancheggiamento di un'operazione politica dove il vero giudizio storico c'entra poco o niente. In fin dei conti, anche la "sinistra patriottica" conduce un gioco - quello del vittimismo nazionale - che ha già dato i suoi terribili frutti in tante occasioni. Basti pensare alle recenti vicende della guerra nell'ex Jugoslavia.

Il vittimismo nazionale fu alla base del revanscismo italiano nel secondo dopoguerra, di cui l'arrivo a Trieste nel 1954 rappresenta una tappa importante. Attorno ai lamenti per le cessioni territoriali del Trattato di Pace nei territori istriani e dalmati, in Italia e in particolare negli ambienti ex fascisti, si soffiò sul fuoco della vendetta per saldare il conto di due eventi drammatici quali le uccisioni nelle foibe e l'esodo dall'Istria. 

Sia ben chiaro quanto sia lontana da un discorso libertario l'esaltazione dei massacri e delle espulsioni dei civili, in particolare quando ciò risponde ad un disegno dittatoriale come fu quello di Tito che poco aveva da invidiare a Stalin. Già nel 1945 gli anarchici triestini rifiutarono i due nazionalismi in nome della giustizia sociale e della solidarietà proletaria al di là e contro l'appartenenza statale. E di ciò vi è testimonianza nei numeri del Germinal e negli articoli pubblicati su Umanità Nova e su Volontà fino alla metà degli anni Cinquanta. Per il loro autentico internazionalismo essi furono accusati di essere dei "provocatori" dai dirigenti di partito e di sindacato schierati con la soluzione jugoslava e come tali messi a tacere in varie occasioni. Un paio di anni dopo, ai tempi della rottura tra Tito e Stalin che portò a Trieste un ineffabile personaggio come Vittorio Vidali per epurare il partito dai "titini", molti comunisti riconobbero l'errore di aver ceduto alle sirene filojugoslave e di essersi sbagliati...

In ogni caso non è possibile dimenticare che le cavità carsiche (appunto foibe) servirono quale fosse comuni per molti morti senza nome deceduti nelle battaglie per la conquista di Trieste e che solo più tardi funsero da tombe per le vittime della repressione dei 40 giorni in cui la città, fino al 10 giugno 1945, fu in mano alle truppe jugoslave e ai partigiani, anche di lingua italiana e di fede comunista. Si sono fatte varie valutazioni quantitative sugli "infoibati" con cifre (quelle credibili) che oscillano dalle poche centinaia ai duemila, ma questo fatto, comunque da non ignorare, va collocato tra le conseguenze della guerra provocata dal nazifascismo che portò a circa 50 milioni di morti. Anche il trasferimento forzato di popolazione istriana di lingua italiana ha avuto stime diverse che, nei casi più ampi, raggiungono le 200.000 persone. Di sicuro interi villaggi furono svuotati e ciò avvenne con metodi che poco avevano a che fare con la "libera scelta" proclamata dagli esponenti del nuovo potere politico agli ordini di Tito. Ancora una volta tale fenomeno va comparato con le enormi migrazioni post 1945: ad esempio l'intera Prussia orientale fu abbandonata da 4-5 milioni di tedeschi e ceduta alla Polonia.

Tutti questi dati sono ormai conosciuti e vi sono libri, anche recenti, che permettono di farsi un'idea ragionata su queste appendici, comunque dolorose, della Seconda Guerra mondiale. Ugualmente la destra al governo strilla su una presunta "storia nascosta" delle foibe e dell'esodo, gonfiandone i contenuti a dismisura e sopratutto operando una interpretazione falsa e indimostrabile: tutte le vittime furono tali in quanto persone di lingua e cultura italiane. Ancora una volta si agita un nazionalismo becero per animare uno spirito pubblico di vendetta e per giustificare l'aumento delle imprese militari del democratico stato italiano.

La vera natura plurinazionale della città di Trieste, cresciuta sotto l'Austria come porto di un grande impero multinazionale e dove le lingue ufficiali erano tre (tedesco, italiano, sloveno), viene in questi frangenti dimenticata e occultata da un muro di ipocrisia e di appiattimento propagandistico. Non a caso si nasconde l'esistenza di una salutare mescolanza di culture e di etnie storicamente presenti in questo punto d'incontro fra Oriente e Occidente. Non a caso si nega l'esistenza di un notevole gruppo etnico sloveno (circa il 15% della popolazione della provincia), di una sostanziosa comunità serba (attorno alle 10.000 unità), oltre ad altre etnie tradizionalmente presenti attorno ai traffici portuali (dai greci agli ebrei, dai croati agli albanesi). Eppoi, negli ultimi decenni circola in città gente che lavora nei centri internazionali di ricerca scientifica, oppure che fa parte di immigrazioni recenti come africani, romeni, latinoamericani, ecc.
Per i nazionalisti questa città multicolore, aperta, diversificata e meticcia, deve sparire sotto il manto soffocante del tricolore e delle sfilate militari!

Claudio Venza

























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