Umanità Nova, numero 35 del 7 novembre 2004, Anno 84
Milano: via Adda non si cancella!
Il 1 aprile di quest'anno con un grande dispiego di polizia, esercito,
vigili del fuoco, veniva sgomberato uno stabile occupato da quasi 2
anni da famiglie rumene. (cfr. UN n. 13 2004). Una parte dei migranti
venne deportata in Romania, gli altri vennero portati nella fatiscente
struttura di via Barzaghi.
In questi giorni sta circolando un appello a favore dei migranti
cacciati da via Adda. Riportiamo sotto il testo dell'appello che
è stato sottoscritto anche dalla Commissione Antirazzista della
FAI.
"Lo sgombero della palazzina occupata in via Adda, nel centro di
Milano, è stato un atto di violenza contro 300 lavoratori,
disoccupati, donne e bambini rom-rumeni, portato a termine da
un'imponente operazione militare, che ha coinvolto persino personale
ATM e vigili del fuoco, preparata da una battente e vergognosa
campagna stampa.
Il risultato è stato quello di condannare per 10 anni alla
miseria oltre150 persone deportate in Romania senza poter verificare la
propria posizione in Italia; di spezzare interi nuclei familiari non
riconoscendo validi i matrimoni rom, di rimandare altre 200 persone
nella favela di via Triboniano permanentemente a rischio di sgombero.
Per i "regolari" invece, l'alternativa all'espulsione e alla casa di
via Adda è diventato il campo di concentramento di via Barzaghi,
un luogo senza luce, con bagni chimici senz'acqua, un rubinetto per 70
persone, un muro di tre metri con filo spinato attorno, e un posto di
blocco permanente che impedisce l'accesso ai non autorizzati.
L'occupazione di via Adda ha fatto emergere, ancora una volta, il
bisogno assoluto di una casa a prezzi accessibili per chi vive solo del
proprio salario, e il problema di una legislazione razzista che
costringe le persone a dover difendere lo stesso diritto ad esistere,
contro la condizione forzata di clandestinità.
Problemi sociali profondi che non coinvolgono solo i rumeni di via
Adda, ma centinaia di migliaia di persone, in una delle città
più importanti d'Europa, e che quindi ci coinvolgono tutti.
Nessuno infatti può sentirsi sicuro se se riappaiono i fantasmi
del passato insieme ad alcuni dei suoi simboli più conosciuti:
il razzismo, i lager, le deportazione.
Milano deve cambiare.
Per questo sosteniamo:
1) I diritto al ritorno per i 155 espulsi e la concessione di un
permesso soggiorno temporaneo a parziale risarcimento del danno subito.
2) Un netto rifiuto del nuovo lager costruito in via Barzaghi e la fine immediata del suo regime carcerario.
3) La cessazione dell'utilizzo di categorie civili in operazioni militari.
4) La cessazione degli sgomberi contro chi è costretto ad
occupare abitazioni e spazi abbandonati per far fronte all'emergenza
casa."
Per inviare adesioni: viaaddanonsicancella@inventati.org
A cura di m. m.
Ferrovie 1: binari di morte
Da metà agosto, quando morì folgorato a Bologna un
operaio di un ditta d'appalto, le ferrovie sono state teatro di
continui incidenti ferroviari con morti e feriti. Una vera strage.
La semplice enumerazione dei principali incidenti fornisce un quadro agghiacciante.
18 agosto – operaio della ditta Bonciani muore folgorato al Bivio vicino alla stazione di Bologna Centrale.
13 settembre – un treno regionale di tipo TAF (treno ad alta
frequentazione) esce dai binari vicino a Cuneo, la capotreno ed una
viaggiatrice muoiono, i feriti sono 30.
22 settembre – dei carrelli per lavorare in linea della ditta Ventura
si scontrano con un treno merci di traversine ferroviarie della
medesima ditta, 2 morti e 5 feriti.
15 ottobre – per circa 3 ore un locomotore della Ditta Ventura ha corso
ad oltre 100 Km all'ora senza macchinista fra la Calabria e la Campania.
16 ottobre – un treno della linea Brescia – Parma a San Zeno ha
travolto un'auto ad un passaggio a livello, un uomo e due bambini sono
morti, il terzo è gravissimo.
18 ottobre – deraglia il treno metropolitano che da Palermo porta all'aeroporto di Punta Raisi, 20 feriti.
Il sistema ferroviario è ormai al collasso. È la
conseguenza delle politiche dei vari consigli di amministrazione negli
ultimi quindici anni, politiche volte alla massimizzazione dei profitti
a danno sia dei lavoratori che dei viaggiatori: riduzione del
personale, dei salari, aumento dei carichi di lavoro, introduzione del
precariato sono dietro gli incidenti che funestano le cronache degli
ultimi mesi. Il sistema ferroviario è delicato e complesso: la
sua sicurezza è dipesa per anni dall'applicazione di regole e
procedure che oggi sono poco a poco state disattese. È
significativo che un numero crescente di in incidenti mortali avvenga
tra i lavoratori delle ditte in appalto. Queste ditte, pressate dalla
necessità di ridurre i costi che viene scaricata su lavoratori
precari e ricattabili, finiscono con il far saltare ogni regola di
sicurezza, senza peraltro essere oggetto di alcun controllo.
In ferrovia le ragioni del profitto hanno preso il sopravvento. Spetta
a lavoratori e viaggiatori imporre quelle della sicurezza, della
dignità del lavoro, della qualità del servizio.
Ma. Ma. (fonte: comunicato della Cub trasporti)
Ferrovie 2: chi protesta viene punito
Trenitalia nell'agosto del 2003 inflisse dieci giorni di sospensione ad
un lavoratore di Genova, reo di aver espresso la propria opinione in
una lettera pubblicata sul quotidiano "Il Secolo XIX". Nella missiva il
capotreno Fabrizio Acanfora da un lato solidarizzava con gli utenti
costretti a sopportare ritardi cronici e gravi disservizi; dall'altro
difendeva propri colleghi del personale viaggiante, vittime da mesi di
una campagna denigratoria sulla stampa e quotidianamente valvola di
sfogo dei viaggiatori esasperati dal peggioramento del servizio.
Il prossimo 25 novembre inizierà preso il tribunale civile di
Roma il processo intentato da Trenitalia contro Acanfora. Si è
nel frattempo costituito un comitato di solidarietà che invita
tutti a presenziare all'udienza del 25 e a sottoscrivere un appello in
favore del lavoratore sotto accusa per aver espresso la propria
opinione.
Per maggiore informazioni e per sottoscrivere l'appello scrivere a: fabriziounodinoi@fdca.it
Ma. Ma. (fonte: comunicato del Comitato di solidarietà per Fabrizio Acanfora)
Roma: Critical wine tra derive istituzionali e autogestione
Nei giorni 22-23-24 ottobre si è tenuta a Roma, nel CSOA Forte
Prenestino, l'iniziativa "Terra e libertà/critica wine",
promossa da diversi centri sociali, da associazioni del consumo
critico, dal Foro contadino e dalle riviste Libertaria e Deriveapprodi.
Lo spazio enorme e ben gestito del Forte, l'eterogeneità dei
promotori, l'attuale fase di scarsa chiarezza sulla reale portata
dell'azione capitalista ed autoritaria nel controllo delle risorse
agroalimentari e sulle possibilità e sui limiti dell'intervento
nel settore ha fatto sì che si svolgesse un evento interessante
e contraddittorio.
È il caso di dire che si è svolto su più piani,
spesso non comunicanti tra loro o, addirittura, in stridente contrasto.
Nei sotterranei del Forte, l'esposizione dei vini e le degustazioni
presentavano realtà produttive meramente aziendali, volte alla
promozione di buoni vini per ricchi (visti i prezzi), neanche tutti da
agricolture naturali, affiancate a produttori orientati ad un rapporto
equilibrato, sia nelle attività sulla terra che nella formazione
dei prezzi.
Nel piazzale sovrastante, vi era la presenza di associazioni e
produttori contadini, che, insieme ai prodotti, esponevano e
comunicavano i loro modi di vivere l'agricoltura ed il consumo critico.
L'insieme era condito da concerti, teatro, proiezioni video e da
diversi tipi di dibattito.
L'assemblea proposta, la domenica mattina, dal foro contadino
"Altragricoltura" è riuscita a muoversi su temi generali come la
sovranità alimentare dei popoli e degli individui, i problemi
della biodiversità, l'attuale forma di dominio
dell'agroindustria, la politica agraria europea (PAC) ed il ruolo della
ricerca scientifica e degli OGM. Ricollegandosi alle conseguenze
pratiche del degrado ambientale e del dominio, ha contestato gli
incentivi comunitari, che determinano una formazione dei prezzi che,
oltre a strangolare il sud del mondo, ha favorito la chiusura di
centinaia di migliaia di piccole aziende italiane negli ultimi anni.
È stato proposta la creazione di un soccorso legale contadino.
Si è parlato anche di un problema specifico come quello
dell'olio d'oliva. Le nuove norme sulle etichette, infatti, favoriscono
le aziende transnazionali che importano grosse quantità di altri
oli dall'estero, li raffinano e li immettono nel mercato come "olio
extravergine". Ciò produce una caduta verticale della
qualità dei benefici propri dell'olio d'oliva, e conduce
all'insostenibilità economica delle produzioni locali,
schiavizzando ulteriormente i contadini del sud con produzioni chimiche
destinate all'esportazione.
È emerso come tutto questo, insieme a molte altre cose,
determini ulteriori e più intense forme di dominio e
sfruttamento, anche attraverso la criminalizzazione e la
marginalizzazione dei saperi e dei prodotti contadini in tutto il
mondo.
Un simile quadro a tinte fosche vede però anche le
possibilità di resistenza, come la lotta al porto di Monopoli
per impedire la raffinazione di oli d'importazione e le iniziative
intraprese dagli agricoltori del levante ligure.
La difesa delle agricolture, naturali e popolari, è emersa come
necessaria per la ripresa di un conflitto sociale portatore di progetti
di liberazione.
Alcuni proponevano, paradossalmente, di ricercare garanzie
istituzionali, e questo rimandava ad approfondimenti prossimi sulle
possibili alternative, e sulla loro coerenza nei percorsi di
liberazione, vista, comunque, la buona partecipazione di realtà
di produzioni etiche.
Gli altri momenti di dibattito sono state, invece, solamente delle
conferenze che lasciavano poco spazio agli interventi non concordati.
Ed è in questi ambiti che si è vista l'abilità
linguistica di chi presenta spettacolari montagne progettuali e
partorisce topolini. Di coloro che, criticando lo "sviluppo e le sue
illusioni", propongono poi la lunga marcia negli enti locali,
diventando parte dello spettacolo dominante, quello dell'attacco
sfrenato alle condizioni di vita e di autonomia di individui e
popolazioni che il dominio capitalista vuole normare e distruggere. La
prospettiva di questi sembra essere quella di diventare una nicchia per
pochi, quasi una versione, impoverita, dello slow-food.
Fortunatamente la presenza, nei tre giorni, di circa diecimila persone
ha dimostrate il vasto interesse per i temi trattati ed ha permesso, a
fronte di dibattiti scarsamente seguiti, la comunicazione diretta tra
le diverse realtà rurali ed urbane, attraverso momenti
conviviali e di confronto.
La buona presenza anarchica e libertaria ha permesso di evidenziare le
contraddizioni presenti e di sviluppare la comunicazione, attraverso il
confronto diretto e nei dibattiti, sui temi della sfera pubblica non
statale, del municipalismo libertario, del mutuo appoggio e
dell'autogestione.
L'incontro tra le realtà rurali ha evidenziato le
potenzialità ed i limiti delle situazioni e delle reti
organizzate, definendo alcuni punti di riferimento importanti per la
comprensione della fase attuale, sia per proseguire il confronto sia
per le prossime mobilitazioni.
La capacità e la disponibilità al confronto da parte di
CSOA ed associazioni, soprattutto dell'area romana, ci permette di
ragionare su percorsi meno episodici relativi ai temi trattati.
L'emergere di differenze anche rilevanti, d'ordine teorico-strategico,
con alcuni dei promotori, evidenzia la necessità e
possibilità di pratiche alternative, con la comunicazione delle
stesse nei diversi ambiti dove si sviluppa il confronto, e con la
pratica continua di forme d'intervento sui nostri contenuti.
Enrico Ranieri