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Umanità Nova, numero 36 del 14 novembre 2004, Anno 84

Elezioni USA
La vittoria della barbarie



Gli infelici sono i peggiori nemici della libertà (Thomas Jefferson)

Negli Stati Uniti la popolazione "over 18" (i maggiorenni con diritto di voto) è formata da 217,7 milioni di persone. Il 2 novembre scorso, in occasione delle elezioni presidenziali, una consistente minoranza di questi (quasi 59 milioni, circa il 27%) è andata alle urne ed ha scelto di tenere Bush alla Casa Bianca altri quattro anni, un'altra minoranza ha votato invece per Kerry (55,4 milioni di elettori) o per Nader ed altri candidati minori (un milione di preferenze in tutto), mentre quasi metà degli aventi diritto al voto (circa 102 milioni di persone) ha preferito disertare l'appuntamento elettorale. Questi sono i numeri duri e crudi delle ultime elezioni presidenziali USA e che da soli dimostrano quanto siano state false, bugiarde e tendenziose le grida dei mass media di regime che dal 3 novembre stanno descrivendo la rielezione di George Bush Junior alla guida dell'Impero come un evento trionfale, al punto che tutti i commentatori in coro hanno sottolineato il fatto che "l'affluenza alle urne è stata spettacolare", tutti i telegiornali hanno fatto vedere le lunghissime code per votare ed i seggi che hanno dovuto prolungare l'orario di apertura ed anche un politologo normalmente attento alle cifre come Angelo Panebianco sul Corriere ha parlato con la massima di disinvoltura di 120 milioni di votanti pari al 60% degli aventi diritto (quando, invece, hanno votato in 115 milioni che corrispondono a un po' meno del 53% della popolazione in età di votare).

Sembrano solo dettagli, ma non lo sono. Il trionfo di Bush è esistito solo nella fervida e interessata fantasia dei media che per due mesi hanno propagandato lo spettacolo delle elezioni presidenziali americane più importanti degli ultimi decenni, quando in effetti si è trattato delle solite elezioni americane disertate da gran parti degli elettori ed in particolare da quelli appartenenti alle minoranze etniche (afroamericani in primis) ed ai ceti meno abbienti in genere. La campagna elettorale di Kerry ha saputo raccogliere intorno a sé l'entusiasmo di una fetta decisamente minoritaria di elettorato politicizzato e perbenista ed è finita sotto i riflettori per l'appoggio dichiarato di tutta una serie di personaggi dello spettacolo (dall'onnipresente al tour di REM e Bruce Springsteen), ma il suo programma-fotocopia non è riuscito a convincere quegli oltre cento milioni d'americani che, pur essendo le prime vittime delle attuali politiche della Casa Bianca, non se la sono sentiti ad affidare le proprie speranze a chi, praticamente su ogni argomento, promette di continuare il lavoro di quello che dovrebbe essere il suo avversario.

Come al solito, solo una parte relativamente esigua degli elettori statunitensi si è recata alle urne ed è stato relativamente facile per quell'autentica macchina da guerra che è stata la mobilitazione per altri quattro anni di Bush raggiungere il proprio scopo. A favore dell'inquilino della Casa Bianca hanno giocato molti fattori a partire dalle enormi disponibilità finanziarie dei repubblicani (molto più alte di quelle dei democratici), ma quello che è stato determinante è stata la capillare mobilitazione dei gruppi che lo sostenevano. Se nelle elezioni del 2000 Bush era sceso in campo solo con l'appoggio del pur potente apparato del Partito Repubblicano, nelle elezioni di quest'anno ha avuto il sostegno di tutte le chiese evangeliche presenti negli Stati Uniti e, soprattutto, di una vastissima coalizione di gruppi di quella che si potrebbe chiamare la destra di base. Leggere l'elenco delle associazioni e delle organizzazioni che hanno dichiarato il proprio sostegno per Bush è impressionante: sostenitori del libero mercato delle armi, amici dei cani, gruppi procaccia, i Promise Keepers (i giovani sfigati che promettono di restare vergini fino al matrimonio) e circoli di pornomani, gruppi di ex alcolisti ed ex tossicodipendenti. Questo campionario della miseria umana ha trovato il proprio campione nel giovane Bush, l'ex scavezzacollo di buona famiglia a cui Dio in persona avrebbe affidato il compito di salvare gli Stati Uniti d'America. Ex alcolista (ex?), ex cocainomane (ex?), con due figlie che hanno iniziato a frequentare da minorenni i centri di disintossicazione e una moglie meglio nota come Laura Prozac Bush, imboscato ai tempi della guerra del Vietnam, Bush è probabilmente "il più sordido e patetico golpista d'operetta che si possa immaginare" (Kurt Vonnegut), ma proprio per questo si è rivelato il perfetto rappresentante di un'umanità rancorosa che, come ha lucidamente detto Marco Revelli, è disposta a dichiarare guerra al resto del pianeta, pur di mantenere quello stile di vita americano che consuma sangue e petrolio da ogni angolo della Terra.

Molti osservatori di ritorno dagli Stati Uniti negli ultimi anni hanno messo in rilievo l'eccezionale attivismo di questo circuito nazionalista e di destra. Le bandiere a stelle e strisce sono onnipresenti in tutte le case, le automobili e i luoghi di lavoro, ma molti confessano di esporle solo per il timore di ritorsioni da parte di questi cosiddetti patrioti. Questi spesso vanno anche nei bar e nei ristoranti e invitano gli astanti ad unirsi a loro nel canto dell'inno nazionale o li costringono a generose offerte economiche in favore delle famiglie dei militari impegnati in Iraq. Nel loro mirino spesso ci sono anche le librerie, i negozi di dischi e le videoteche (che vengono spinte a non tenere prodotti di artisti antiBush, come il regista Micheal Moore o le Dixie Chicks, un trio femminile di country rock), ma organizzano anche picchetti davanti all'entrata dei concerti ai musicisti contrari alla guerra (l'intera ultima tournè statunitense di Bruce Springsteen è stata accompagnata da questi gruppi di invasati, dopo che il Boss aveva criticato l'intervento militare in Iraq).

George Bush Junior è l'ultimo discendente di una famiglia di origine olandese, presente in America fin dal XVII secolo che ha sempre avuto un ruolo di grande importanza all'interno di quella che viene definita l'aristocrazia statunitense, formata dalle discendenze dei primi coloni giunti sulle coste dell'attuale New England. Nel corso della sua storia, la famiglia Bush non ha esitato a fare accordi e affari con nessuno, neanche coi nazisti. Anzi…

Il nonno dell'attuale presidente USA, Prescott Bush, era socio della Brown Brothers Arriman e uno dei proprietari della Union Banking Corporation. Entrambe giocarono un ruolo chiave nel finanziamento di Hitler nel suo cammino al potere, tanto che durante la Seconda Guerra Mondiale, il governo statunitense ordinò il 20 settembre del 1942 la confisca della Union Banking Corporation proprietà di Prescott Bush ed il 17 novembre dello stesso anno di tutti i beni della Silesian American Corporation, amministrata da Prescott Bush.

Il bisnonno del nostro George, Samuel, padre del nazista Prescott Bush, era stato il braccio destro del magnate dell'acciaio Clarence Dillon e del banchiere Fritz Thissen, il quale scrisse il libro "I Paid Hitler" (Ho finanziato Hitler), affiliandosi nel 1931 al partito nazista. L'arrivo alla Presidenza degli Stati Uniti di George Bush Senior nel 1988 era stato solo il preludio di quell'apoteosi del potere della Famiglia Bush che è stato l'arrivo alla Casa Bianca di George Junior nel 2000. Tuttavia, se il comportamento da presidente di Bush padre potrebbe essere definito quello di un conservatore prudente, Bush figlio, con il suo miscuglio di neoliberismo ultracapitalista e fondamentalismo cristiano, ha preferito mettersi a capo di una destra sociale diffusa che non chiedeva di meglio di potersi arruolare in una guerra infinita che ha come bersaglio il resto dell'umanità. Le parole degli ideologi di Bush ricordano sinistramente quelle dei gerarchi nazisti e degli aspiranti dominatori del mondo. 

Marse Henry Watterson dichiara che gli Stati Uniti sono "una gran repubblica imperiale destinata ad esercitare un'influenza determinante sull'umanità e a modellare il futuro del mondo come non lo ha fatto mai alcuna nazione, nemmeno l'impero romano". Per Charles Krauthammer, "Gli Stati Uniti cavalcano per il mondo come un colosso. Da quando Roma distrusse Cartagine nessun'altra potenza ha raggiunto la vetta alla quale siamo arrivati. Gli Stati Uniti hanno vinto la guerra fredda, si sono messi la Polonia e la Repubblica Ceca nel portafogli e poi hanno polverizzato la Serbia e l'Afganistan. E col tempo hanno dimostrato l'inesistenza dell'Europa".

Il famoso storico Paul Kennedy spiega invece che: "Né la pace britannica, né la Francia napoleonica, né la Spagna di Filippo II, neanche l'impero romano possono compararsi all'attuale dominio statunitense. Mai é esistita una tale disparità di potere nel sistema mondiale". 

Mai come in questi casi è utile ricordarsi che anche ai suoi tempi Hitler aveva vinto le elezioni. Simon Weil, poco prima di morire in campo di concentramento, metteva lucidamente in rilievo come fosse stata proprio la vittoria elettorale dei nazisti a dare una legittimità al loro dominio e allo stesso tempo a fornire un alibi all'inerzia della comunità internazionale di fronte ai crimini del Terzo Reich. Sarebbe veramente il caso di non lasciare soli quei 158 milioni di americani che non hanno votato per Bush…

robertino


























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