Umanità Nova, numero 37 del 21 novembre 2004, Anno 84
In quest'autunno ora che il clima semitropicale ha ceduto il passo alle
prime avvisaglie dell'inverno, l'unico segno di un rialzo della
temperatura del conflitto sociale viene dalla scuola: lo hanno dato i
lavoratori, gli studenti e i comitati di genitori che hanno animato la
giornata di lotta del 15 novembre contro la riforma Moratti.
Lo sciopero indetto, con piattaforme diverse, da CGIL, CISL, UIL e da
Cobas, Unicobas e Gilda, ha avuto un'ampia adesione, al punto che
alcune scuole sono rimaste chiuse. Anche la CUB-Scuola, pur impegnata
nella preparazione dello sciopero generale del 3 dicembre, in molte
località ha disertato le aule.
La partita che si sta giocando sul terreno della formazione è di
quelle destinate a lasciare il segno. La scuola azienda, caserma,
confessionale, voluta dal centro sinistra e perfezionata da Letizia
Moratti, è un ulteriore tassello nel processo di disciplinamento
sociale che vede crescere in parallelo la militarizzazione dello spazio
sociale e l'erosione di diritti e libertà dei salariati.
Lavoratori della scuola, studenti e genitori hanno dato vita ad un
fronte di resistenza ampio, capace sinora di inceppare o, comunque di
rallentare, il meccanismo della Riforma. La stessa figura del tutor,
uno degli assi fondanti dell'impianto morattiano, sinora non è
divenuta operativa grazie ad un'opposizione ferma, diffusa sul
territorio, capace di gettare sabbia negli ingranaggi di forzata
gerarchizzazione della scuola connessa all'istituzione del docente
tutor. Anche sul piano didattico è stata molto diffusa la
reazione all'introduzione dei libri di testo "morattizzati", quelli
dove viene eliminata l'evoluzione, la storia antica è
inghiottita in un sol boccone e l'intera penisola scompare dall'atlante
dei bambini delle elementari.
Resta tuttavia sul tappeto l'ambiguità di chi, come i sindacati
di stato, scende in piazza proclamando una chiara contrarietà
alla Riforma, ma di tale contrarietà, nei testi di indizione
dello sciopero, non v'è traccia. Cgil, Cisl e Uil, la cui crisi
di credibilità e consenso si è interrotta grazie
all'opposizione di facciata al governo Berlusconi, nei fatti continuano
nella politica del sindacato di lotta e di governo, cavalcando le
tensioni che attraversano la scuola italiana ma preparando un
compromesso al ribasso.
Lo sciopero del 15, pur articolato su piattaforme diverse e
nonostante le manifestazioni separate che hanno attraversato il centro
della capitale, se da un lato manifesta la volontà diffusa di
dar vita ad un fronte unitario, dall'altro mostra la difficoltà
del sindacalismo di base nel costruire un milieu culturale prima ancora
che un terreno organizzativo capace di una reale autonomia.
La questione, è ovvio, travalica ampiamente l'ambito
strettamente scolastico ed investe il percorso stesso del sindacalismo
di base. Alcune componenti, in modo particolare, anche se non
esclusivo, i Cobas, hanno spesso finito con l'adattarsi al ruolo di
strumento di pressione sul sindacalismo confederale in generale e sulla
Cgil in particolare; altre, pur manifestando maggior vivacità ed
una spiccata attitudine a sottrarsi a queste dinamiche, debbono
comunque fare i conti con un panorama sociale decisamente poco vivace e
troppo frequentemente propenso al ripiegamento sulle vertenze
categoriali senza una tensione progettuale più ampia, specie in
presenza di ceti burocratici ormai consolidati.
Il tentativo di ridurre le esperienze di autorganizzazione ad una
funzione di lobbing ha un buon sponsor in Rifondazione che, pur
appoggiando(si) alla Cgil, non manca di essere presente come azionista
di riferimento all'interno di ampi settori Cobas ma non solo.
Significativa in merito la scelta di dar vita a spezzoni di partito sia
nel corteo dei Cobas partito da piazza della Repubblica che in quello
confederale aggregatosi alla Bocca della verità.
Dal punto di vista libertario la questione si pone, ovviamente, su altri piani.
La scommessa è di passare dalla resistenza al progetto. Dati i
tempi si tratta di una prospettiva venata dall'agro sapore dell'utopia
ma tuttavia difficilmente eludibile se si vuole uscire dalle secche di
un rivendicazionismo che non sa andare oltre l'orizzonte dato.
La stessa pedissequa identificazione tra scuola pubblica e scuola
statale mostra come l'opposizione alla scuola gerarchica e selettiva
sin dall'infanzia non sappia investire la scuola statale in quanto
tale, una scuola, che anche prima del passaggio di MorAttila (ma non
dimentichiamo il buon vecchio Berlinguer), non era certo un giardino
aperto alla libera sperimentazione ed alla promozione delle
facoltà individuali. Moratti non fa che fornire una più
solida impalcatura ad una scuola da sempre al servizio di una
società di classe e di una statualità vieppiù
ridotta al suo scheletro disciplinare. Unico stemperamento di
quest'attitudine limpidamente liberista sono gli ampi privilegi offerti
alla "Chiesa cattolica S.p.A".
In questo quadro desolante le grandi energie, tensioni etiche e
passioni politiche concentratesi nel movimento antiMoratti potrebbero
trovare un più ampio sbocco, una capacità di proporre e
praticare una dimensione pubblica non statale (e non privatizzata) dei
percorsi formativi.
La mera resistenza al liberismo non basta e, a fronte delle profonde
ambiguità del sindacalismo di stato, potrebbe rivelarsi
insufficiente a dare la spallata necessaria, finendo con l'ennesimo
ripiegamento, con l'ennesimo piccolo passo indietro. Intanto le scuole
si stanno trasformando in botteghe con tanto di insegne pubblicitarie,
dove scorazzano liberamente preti e militari a caccia di piccoli
accoliti. Per fermarli serve uno sforzo creativo, una tensione
progettuale concreta che, senza timore di parere inattuali, si ponga in
una prospettiva libertaria, sia sul piano formativo che su quello
relazionale.
Margherita