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Umanità Nova, numero 38 del 28 novembre 2004, Anno 84

Codice di guerra
Galera per antimilitaristi e giornalisti senza divisa 




In data 18.11.2004 il Senato ha approvato il disegno di legge (ddl) n. 2493 che titola "delega al governo per la revisione delle leggi penali militari di pace e di guerra, nonché per l'adeguamento dell'ordinamento giudiziario militare". Il ddl in questione passa alla camera per l'approvazione definitiva, ma fin d'ora si impongono alcune riflessioni. La prima e più scontata è relativa al fatto che ancora una volta, su materia delicatissima, a legiferare veramente sarà il governo: anche in questo caso, infatti, viene utilizzato lo strumento della legge delega, una cornice che detta solo linee di principio, riempita poi dal decreto legislativo di approvazione governativa. Per capirsi, la legge Biagi di riforma del mercato del lavoro è una legge delega di una diecina di articoli, riempita dal decreto legislativo di attuazione che ne contiene a sua volta quasi novanta: le vere regole le detta insomma non il parlamento, ma il governo tout court. Nel caso della legislazione militare arriviamo al nervo scoperto della crisi in atto della democrazia liberale e della militarizzazione della società, sull'onda della nota guerra permanente al terrorismo in atto. Fino a qualche anno fa il problema che si poneva era l'applicabilità o meno del codice penale militare di guerra (cpmg) ai soldati inviati in missione all'estero (Libano, Somalia, Kosovo) e la risposta legislativa era stata negativa. Per l'Afganistan e l'Iraq è stato scelto invece di applicare il cpmg. Anche le parole stavan dietro ai fatti: di guerra si trattava e la foglia di fico della operazione di polizia internazionale o della missione di peace keeping poteva cadere. Ora, con il ddl appena approvato, assistiamo ad un salto di qualità. Senza che il paese sia formalmente in guerra contro uno stato estero, la partecipazione a missioni internazionali come in Iraq consentirebbe l'applicazione di norme del codice penale ordinario (il codice penale Rocco del 1930) dettate per il tempo di guerra e punite con pene severissime (anni e anni di galera), come la raccolta e la diffusione di informazioni sullo stato delle forze armate o le operazioni militari oppure l'attività volta al mantenimento dello stato di neutralità dell'Italia, nonché il tentativo di blocco di convogli militari. Non è chi non veda che così giornalisti non asserviti e antimilitaristi potrebbero finire sotto processo dopo essere stati arrestati per attività che oggi vengono svolte nel normale esercizio del diritto di cronaca o nell'ambito di manifestazioni e proteste contro la guerra. La soglia del penalmente rilevante si sta pericolosamente alzando così come la militarizzazione della società: in guerra non solo si guarda al nemico esterno ma anche a quello interno che vuole minare l'attività bellica del paese. Si badi che tutto ciò accade nei giorni in cui il fascista Fini diventa ministro degli esteri, con il giubilo, tra gli altri, dei fabbricanti e commercianti di armi nostrani, che vedono nel delfino di Almirante un sicuro garante dei loro affari. Fini è un vero e proprio ministro di guerra e l'ordinamento giuridico si sta modificando per rispondere alle esigenze di un paese in perpetua belligeranza: un esercito di professionisti da usare di rincalzo ai marines ai quattro angoli del globo, tribunali militari a giudicare soldati e non per i reati commessi da chi non si allinea al verbo bellicista. I disastri della guerra permanente si susseguono nel mondo e a casa nostra: è sempre più urgente spezzare la trama liberticida in atto. 

Simone Bisacca




























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