Umanità Nova, numero 38 del 28 novembre 2004, Anno 84
A Cagliari il 20 novembre 2004 si è concluso il primo grado di
giudizio per i fatti avvenuti il 22 ottobre dell'anno scorso. Un
giudice annoiato, impaziente di leggere il suo compitino e andarsene a
casa per pranzo, ha condannato Massimo, Matteo e Luisa rispettivamente
a 10, 8 e 6 mesi e mezzo di reclusione, per resistenza e violenza a
pubblico ufficiale.
Un giudice che condanna un anarchico non è una grande notizia, è come un cane che morde l'uomo. Un giudice che assolve un anarchico (e condanna così implicitamente l'operato della polizia), questa si, sarebbe una notizia; l'equivalente dell'uomo che morde il cane.
Veniamo ai fatti. Circa un anno fa veniva arrestato Massimo Leonardi, con l'accusa di aver allontanato un carabiniere che si era infiltrato nel corteo di opposizione al vertice dell'Eur. A Cagliari, una manifestazione di solidarietà con Massimo, viene caricata dalla polizia. Gli agenti, in numero soverchiante e comandati dal vice questore Giuseppe Gargiulo, si esibiscono in efferati pestaggi sui malcapitati che riescono a raggiungere. In particolare Fabrizio, si trova circondato da numerosi agenti, ripetutamente colpito alla testa, crolla a terra. Ma il pestaggio non s'interrompe e gli agenti insistono a colpirlo con calci alla testa e colpi di manganello, in puro stile genovese. Alcuni manifestanti in fuga, si accorgono di quanto accade, decidono di tornare indietro e intervengono, riuscendo a porre fine al pestaggio di Fabrizio. Scattano i fermi. Per Luisa e Massimo, a margine di questo episodio; per altre nove persone, nel corso di una caccia all'uomo, che si protrae per ore, in tutte le vie del centro. Durante la notte, il fermo di Luisa, Massimo e Matteo viene trasformato in arresto. Il provvedimento nei confronti di Matteo non si spiega, se non con l'esistenza di una lista "nera" di persone da arrestare, a prescindere da qualunque pretesto, rubato agli eventi. Fabrizio, intanto, viene ricoverato d'urgenza, per trauma cranico, in neurochirurgia. Vi rimarrà diversi giorni, in stato d'arresto, piantonato da agenti che avranno cura di provocarlo in ogni modo e di non lasciarlo dormire. A Massimo, Luisa e Matteo viene impedito di nominare un difensore e, solo la presenza e la mobilitazione delle compagne e compagni, presenti al di fuori della questura, ha permesso che il processo per direttissima si svolgesse con l'assistenza di avvocati di loro fiducia. Vengono convalidati gli arresti, anche per Fabrizio che sarà giudicato a stralcio, perché ancora ricoverato.
Per oltre un anno si sono svolte numerose udienze in cui l'accusa ha deciso di puntare sulla quantità e "qualità" dei suoi testimoni. Svariati agenti digos, il loro dirigente, celerini e il vice questore, si sono avvicendati per ribadire in coro quanto gli imputati fossero stati violenti. Un coro decisamente stonato, in cui ogni deposizione contraddiceva sé stessa, le altre testimonianze e i verbali di arresto, redatti frettolosamente nella notte dei fatti. Evoluzioni narrative che hanno impegnato non poco i fini cervelli dei poliziotti. Alla caccia di un'impossibile coerenza interna che legittimasse un pestaggio così violento, svolto nel centro di una città non abituata a simili episodi. Si sono così appellati alla necessità di identificare gli autori di presunti imbrattamenti che, secondo l'accusa, sarebbero stati effettuati nel corso della manifestazione. Peccato che lo stesso vice questore dichiarasse di conoscere molto bene tutti gli arrestati, per la loro militanza politica. Ma sono state proprio le numerose contraddizioni dimostrare, secondo la requisitoria del pubblico ministero, la veridicità delle accuse. Viceversa, sempre secondo l'astuto pm, le testimonianze della difesa, proprio perché raccontavano la medesima versione dei fatti, erano da considerarsi poco credibili. Massimo, Matteo e Luisa hanno rilasciato delle dichiarazioni spontanee in cui hanno spiegato come, in Sardegna, la caccia all'anarchico sia ufficialmente aperta da un po' di tempo. Hanno citato il vice capo della polizia, Procaccini che, in una visita nell'Isola, ha dichiarato che gli anarchici sardi saranno colpiti uno per uno, grazie a un'azione congiunta di polizia e magistratura. Hanno, poi, ricordato un anno di piazza, prima degli arresti, richiamando gli episodi più significativi, in cui la celere si è fatta sempre più determinata, nel tentativo di scoraggiare la nostra presenza, con intimidazioni, spintoni e piccole cariche.
Un anno estenuante di udienze, seguite da un folto pubblico, composto, oltre che dai nostri compagni, da numerosi attivisti di estrazione democratica (social forum, rifondazione, indipendentisti etc.). Sono stati forse loro i più sorpresi da una sentenza che, senza il pudore di salvare la forma della farsa, ha accolto tutte le richieste del pubblico ministero, compreso il pagamento di una provvisionale per i danni subiti dal capo della digos (una congiuntivite e una contrattura muscolare che valgono 1.500 euro in sede penale e una richiesta di diecimila, in sede civile). Un giudice annoiato, si diceva. Ha atteso impaziente il termine delle scoppiettanti arringhe della difesa e, senza neppure fingere una riflessione in camera di consiglio, ha, in aula, scritto una sentenza. Come se fosse la multa per un divieto di sosta. Infatti è un ex vigile urbano.
Ora che la farsa della giustizia è terminata, almeno per il momento, ci chiediamo quale senso abbia avuto per noi partecipare, seguire e pubblicizzare le udienze per oltre un anno. Di certo il senso non è nella sentenza, che era praticamente scontata, ma nel fatto che, per poterci condannare, i poliziotti si sono dovuti sedere sul banco degli imputati (anche se ufficialmente comparivano come testimoni) e rendere conto pubblicamente del loro operato. Vi assicuriamo che la cosa gli è pesata non poco.
La natura arrogante e criminale del potere che incarnano emergeva
infatti chiarissima, agli occhi del numeroso pubblico presente, dalle
loro affermazioni monche e contraddittorie, dal loro girarsi e
rigirarsi sudati sulla sedia nel tentativo di giustificare
l'ingiustificabile.
Operazioni repressive, come quella di cui siamo stati vittime, hanno
spesso anche un altro scopo: quello di dividere il campo degli
oppositori in buoni e cattivi, violenti e non violenti, oppositori seri
e provocatori, e così via discorrendo. Un processo devastante di
frammentazione che, complice la stampa e la paura, tende a far
percepire ai "buoni" un senso di falsa sicurezza, a patto che si
dissocino e provvedano ad isolare i "cattivi". La gestione pubblica di
questo processo è servita anche ad impedire che una divisione di
questo tipo potesse avvenire nella piazza di Cagliari, rendendo invece
evidente che esiste un grave problema che riguarda tutti: Quello della
repressione violenta di ogni forma di dissenso radicale.
Luisa e Massimo