Umanità Nova, numero 39 del 5 dicembre 2004, Anno 84
Ma perché invece di essere extracomunitario
non posso essere un extraterrestre?
Un bambino
Rileggendo "Non-persone" di Alessandro Dal Lago, mi chiedevo
quale delle tante frasi citabili avrei potuto inserire all'inizio di
questo articolo. Ho scelto infine una frase che non è di Dal
Lago, ma che egli cita nel sesto capitolo del suo libro. Si tratta
delle parole pronunciate da un bambino "extracomunitario" mentre
parlava con una assistente sociale, dopo essere stato trascinato in un
carcere minorile perché per strada, ad un incrocio, cercava di
vendere qualcosa e aveva tentato di sfuggire ai poliziotti.
Nella frase di quel bambino si può forse riscontrare una presa di coscienza del fatto che lo "straniero giuridicamente e socialmente illegittimo" (il migrante "clandestino", "regolare" o "irregolare", il profugo, il nomade) viene facilmente trattato non come persona, bensì come non-persona, ovvero «una persona che, solitamente per ragioni politiche o ideologiche, è esclusa da ogni riconoscimento o considerazione […] in seguito a un processo di esclusione o di vera e propria rimozione sociale». Come tale, la non-persona è soggetta ad un ordinamento giuridico diverso rispetto a quello a cui è soggetta la persona riconosciuta per legge (cioè il cittadino con il suo bagaglio di diritti riconosciuti), le viene imposta l'esclusione dalla società o l'invisibilità sociale, viene rappresentata attraverso categorie-stereotipo che neutralizzano la sua individualità ("extracomunitario", "clandestino", …). In definitiva, la non-persona è vittima di discriminazioni. I meccanismi che determinano la caduta degli "stranieri illegittimi", dei migranti nello stato di non-persone sono molteplici, complessi e legati l'uno all'altro.
Oggi, il migrante risulta essere vittima di un diffusissimo senso comune fondato su pregiudizi xenofobi, razzisti e neorazzisti. Il migrante diviene il corpo contro il quale si riversano le fobie e le ossessioni della cittadinanza. L'equivalenza immigrato = criminale / nemico / pericolo è la risorsa simbolica attraverso la quale si forma la percezione dei migranti da parte di cittadini "italiani". La discriminazione dei migranti avviene attraverso il loro inserimento in categorie-stereotipo, attraverso le quali le persone in quanto tali vengono annullate e sono percepite come esseri appartenenti a "razze", "etnie", "culture" e "civiltà" diverse, inferiori e pericolose. Ovviamente, le caratteristiche di tali categorie vengono stabilite in senso univoco dai "cittadini autoctoni". Una caratteristica fondamentale di queste categorie è il determinismo: chi vi rientra sarà necessariamente criminale, inferiore, nemico e pericoloso per la società. Il migrante, in questo modo, viene rappresentato come la causa del disordine sociale, dell'insicurezza, dell'"aumento della criminalità".
Questi pregiudizi vengono fatti propri dalle forze politiche che "rappresentano", o che hanno l'ambizione di poter in futuro rappresentare quelle fasce di cittadinanza tra le quali xenofobia e razzismo sono di casa. Conseguentemente, i mezzi di comunicazione di massa utilizzano questi stereotipi fomentando un incomprensibile allarmismo, e li ripropongono incessantemente trasformandoli in filtro attraverso cui la realtà viene costantemente distorta. I media conferiscono legittimità alla xenofobia e al razzismo di cui è intriso il senso comune.
Da questo circolo vizioso nascono le giustificazioni (per nulla motivate) che permettono interventi politici ed amministrativi e l'emanazione di leggi in linea con l'ideologia dominante. In linea, quindi, con l'ideologia razzista e xenofoba.
La xenofobia, il razzismo, l'equivalenza immigrato = criminale / nemico / pericolo e l'inferiorizzazione "etnico-culturale" (neorazzismo), l'allarmismo e la costante diffusione di stereotipi razzisti per opera dei media, il razzismo istituzionale (di stato) sono gli elementi che fanno parte di un perverso processo di discriminazione.
Ovviamente, il potere economico e quello politico sfruttano la discriminazione in svariati modi: si approfitta dell'allarmismo, dell'ossessione per la "sicurezza" contro la microcriminalità (assimilata spesso alla criminalità organizzata) "in aumento a causa degli immigrati", e del razzismo diffuso per imporre un maggiore controllo sul territorio e sulla società per mezzo degli apparati repressivi dello stato; si chiudono le frontiere e le si militarizza, e si ricorre alle espulsioni di "clandestini" e "irregolari" per mantenere la gerarchia economica e la divisione internazionale del lavoro; si emanano leggi proibizioniste e razziste (permesso di soggiorno concesso solo se si è in possesso di un contratto di lavoro, campi di internamento, ecc.) per tenere in una condizione di sottomissione i migranti residenti in Italia – si creano così anche condizioni di irregolarità e clandestinità diffuse, le quali permettono l'iper-sfruttamento dei lavoratori migranti ricattati da parte del padronato nostrano; si tenta di rafforzare il nazionalismo e l'amor di patria, menzogne ideologiche funzionali ad un consenso alle politiche militariste, imperialiste e razziste dello stato. Naturalmente, questi sono solo alcuni degli obiettivi perseguiti dai signori dell'economia e della politica.
Se da un lato la politica attuata nei confronti dei migranti è finalizzata all'asservimento e all'assoggettamento tramite misure repressive, dall'altro la retorica politica (di destra e di sinistra) è sempre impegnata nel tentativo di presentare l'orrore come "la cosa giusta da fare". A seconda delle sfumature e dei casi (nonché dell'elettorato a cui ci si rivolge), si va dall' "umanitarismo" alla xenofobia e al razzismo più bieco.
Le autorità ed i loro servi tacciono o trattano in modo assai sbrigativo tragedie come l'annegamento nel Mediterraneo di centinaia di migranti, le cui imbarcazioni vengono magari affondate dalla marina militare. Vengono minimizzate e private del loro reale significato tragedie di questo e d'altro tipo – ad esempio gli abusi e le morti che avvengono nei cosiddetti CPT (Centri di Permanenza Temporanea), dei veri e propri campi di internamento disseminati su tutto il territorio italiano ed europeo (ma anche extra-europeo).
Nessuna o assai poca rilevanza viene data a violenze razziste e squadristiche compiute contro i migranti. Anzi, si tenta di far passare l'idea che la colpa di tali aggressioni sia dei migranti stessi; oppure si rifiuta di ammettere che episodi di quel tipo hanno un carattere razzista, e perciò si afferma che sono il frutto di un "disagio" - un disagio ovviamente dovuto alla presenza dei migranti (ossia: criminali/nemici/pericoli).
In questo quadro assai poco rassicurante, resta da evidenziare il fatto che concetti come "multiculturalismo", "società multietnica", ecc. riprendono lo stereotipo secondo il quale il migrante non è considerabile semplicemente come una persona, un individuo, bensì come una "cultura", un' "etnia".
Per concludere, penso sia utile sottolineare un aspetto importante. Parlando di pregiudizi sugli stranieri, sui migranti visti come "minacce", Dal Lago afferma che pur non trattandosi in alcun modo di verità, pur essendo insensati, questi pregiudizi costituiscono delle «verità sociali», ovvero opinioni ampiamente accettate e funzionali. Conseguentemente, Dal Lago sostiene che «il fatto che si tratti di verità sociali rende abbastanza inefficaci le critiche ragionevoli, che si appoggiano sui dati o su analisi in contrasto con il senso comune». Questa affermazione, che mi trova d'accordo, definisce i limiti del lavoro cosiddetto di propaganda. Analisi e critiche come quelle contenute in questo mio stesso articolo possono certamente essere efficaci, ma la loro efficacia sarà comunque limitata. A mio parere, avrà sicuramente maggiore successo una critica sistematica accompagnata dalla fondamentale pratica quotidiana della libertà: la concretezza delle lotte sociali portate avanti da tutti gli sfruttati e gli oppressi rifiutando completamente il tentativo, promosso dall'alto, di abbassare l'intensità del conflitto sociale fomentando il conflitto tra sfruttati "italiani" e migranti, e tra migranti "regolari" e "irregolari".
Oriol Barna