Umanità Nova, numero 40 del 12 dicembre 2004, Anno 84
Il prossimo 14 dicembre si terrà l'ultima riunione annuale dello
steering committe, l'organo di governo dell'alleanza Fiat-Gm. Si tratta
di una riunione che può rivelarsi decisiva. A partire dal giorno
dopo, il 15 dicembre, GM può esercitare l'opzione call,
cioè quella di comprarsi il 90% di Fiat Auto, da aggiungere al
10% che già possiede. Un po' più avanti, cioè dal
26 gennaio 2005, sarà la Fiat che potrà esercitare
l'opzione put, cioè quella di vendere agli americani la sua
quota di Fiat Auto. Naturalmente, Richard Wagoner può chiedere a
Sergio Marchionne la stessa cosa che chiese un anno fa a Giuseppe
Morchio: rinviare la decisione a tempi migliori, senza intraprendere
nel frattempo iniziative legali.
La Fiat non arriva a questo incontro in condizioni ideali. Da una parte è vero che i budget di vendita 2005 sono stati centrati per i modelli di punta, quelli che hanno svecchiato la gamma prodotti. La Nuova panda ha venduto (al 24 novembre) 190.000 pezzi, a fronte dei 180/200 mila previsti; la Ypsilon 90.000 pezzi (dei 100.000 previsti); l'Alfa GT 18.000 pezzi (su 20.000 previsti), l'Idea 56.000 pezzi (su 90.000 previsti, ma è partita solo in primavera). Tuttavia la quota di mercato ha ripreso a scendere: in Italia a fine novembre era ritornata al 27,5% dal 28,6% del mese precedente, in calo di un paio di punti rispetto all'anno prima. In Europa la situazione non è migliore, con un crollo delle vendite in Francia (-40% in novembre), legato alla fine della politica dei chilometri zero e delle immatricolazioni ai concessionari. Eppure l'Europa vale ancora il 67% dello sbocco di mercato delle auto Fiat. Qui oggi la quota di mercato Fiat è ridotta all'8,2%. Ben dietro Vw (16,2%), Peugeot-Citroen (14,5%), Toyota & Japan (13,1%), Ford (11,3%), Renault (10,7%) e la stessa GM (9,2%). Fiat è settima e, tra i grandi produttori, è davanti solo a Daimler-Chrysler (6,8%).
La flessione delle vendite avrà l'unico beneficio di fare passare delle feste natalizie riposanti ai lavoratori Fiat. La chiusura degli stabilimenti dal 23 dicembre al 9 gennaio è la più lunga nella storia Fiat ed escluderà soltanto la produzione dei veicoli commerciali alla Sevel. La cassa integrazione toccherà anche le linee che producono Idea e Musa, due modelli appena entrati in produzione.
La situazione finanziaria conseguente non è per nulla brillante. Il piano di rientro graduale da una situazione debitoria insostenibile è lungo e accidentato. In cassa ci sono 4,6 miliardi di liquidità, che verranno probabilmente spesi già nel corso del 2005. Due miliardi andranno a rimborsare dei bond in scadenza a giugno, 1,8 miliardi andranno a sostenere gli investimenti necessari a continuare a competere, come già è stato fatto nel 2004 (una quota pari al 4% del fatturato). Resta sul tappeto la mina del prestito convertendo da 3 miliardi di euro che le banche hanno concesso nel maggio 2002 e che scade nel settembre 2005.
La Fiat non avrà sicuramente i quattrini per procedere al rimborso. Le banche potrebbero, in teoria, esercitare la conversione già da adesso, perché Fiat non ha rispettato uno dei covenant (clausole aggiuntive) previste dal prestito: un tetto di 3,6 miliardi di euro di indebitamento finanziario netto, che invece al 30 settembre 2004 era stato sfondato a 4,3 miliardi di euro. Ma esercitare la conversione in azioni del prestito significa, per le banche, comprare il 27% di Fiat a 10,23 euro, quasi il doppio di quello che vale oggi sul mercato, e quindi inscrivere a bilancio perdite massicce (1,133 miliardi di euro solo per le sei banche italiane partecipanti al pool). È probabile quindi che ci siano delle resistenze a formalizzare questa Caporetto e delle pressioni per ottenere, anche qui, una proroga a tempi migliori.
In realtà, lo strumento del rinvio non ha alcuna efficacia nella soluzione dei problemi. La pressione competitiva sul mercato europeo dell'auto è talmente elevata che nessun produttore è certo di sopravvivere senza alleanze strategiche o fusioni da costi. La sola Toyota intende investire 500 milioni di euro per il lancio del suo modello Lexus, una cifra che rappresenta un terzo di quanto la Fiat possa spendere globalmente per la sua politica di sviluppo. Conti alla mano, gli analisti hanno quantificato in 4 miliardi di euro la cifra che Fiat dovrebbe investire nei prossimi anni per sostenere ricerche adeguate su nuovi modelli, svilupparli, portarli in produzione e fare i necessari investimenti sulla rete commerciale per riuscire a piazzarli. Questi soldi non ci sono e non si può neanche immaginare che vengano prodotti dall'ordinario cash flow dell'azienda.
Marchionne sa anche che sarebbe inutile e sbagliato continuare a vendere i gioielli di famiglia per bruciarli nella fornace del Lingotto. Di bocconi grossi ne restano pochi: Iveco e Cnh, cioè i camion e i trattori. Sono due settori che rendono, perché c'è minor competizione, e che richiedono minori investimenti di ricerca e sviluppo. Uno studio di JP Morgan sostiene che il futuro di Fiat è proprio lì. Liberandosi dell'auto, anche a ricavato zero, cioè compensando il corrispettivo della vendita con i debiti esistenti, Fiat potrebbe concentrarsi su questi due settori, dove i concorrenti sarebbero ridotti a pochi nomi: Caterpillar e John Deere per i trattori, Man, Scania e Volvo per i camion. Dopo una svolta in questo senso, secondo la banca d'affari, la quotazione di Fiat potrebbe salire a 8,5 euro, circa il 50% in più di quanto vale adesso. Un valore che potrebbe risolvere molti problemi, anche e soprattutto alle banche che potrebbero recuperare almeno buona parte delle perdite subite.
Ma uno scenario del genere presuppone che qualcuno si compri Fiat Auto. E qui si torna al punto centrale e dolente, cioè lo stato dei rapporti con GM. Nessuna vendita può essere pensata se prima non si risolve la controversia con gli americani. GM ha manifestato più volte la sua intenzione di disimpegnarsi da Fiat, ma non si è ancora capito se questo rientra in una strategia di negoziazione tesa a pagare meno, o rappresenta l'orientamento vero. Come tutte le dispute commerciali, può essere risolta solo con dei soldi, o con scambio di pedine. Di recente si è affacciata l'ipotesi che anziché insistere sulla richiesta di un miliardo di euro (chiesto da Morchio in cambio della rinuncia e rifiutato da Gm), si potrebbe concordare sulla cessione a Fiat dell'intera Powertrain, la joint-venture per la produzione dei motori che attualmente vede maggioritaria la casa di Detroit. Secondo il Financial Times, GM avrebbe già fatto partire un siluro in proposito, decidendo di fare produrre alla Bmw i 20.000 motori diesel che monterà sulle sue Cadillac nel prossimo anno.
Riprendere un controllo pieno di Powertrain sarebbe sicuramente un punto importante e potrebbe riposizionare a Torino la sede di fondamentali passaggi strategici, sul dove dislocare le produzioni, quali mercato di sbocco privilegiare, quali priorità produttive e logistiche garantire. Ma lascerebbe totalmente immutato il drammatico quadro di necessità finanziarie vitali per poter continuare a competere sul mercato mondiale.
Di recente si sono affacciate ipotesi anche un po' strampalate su possibili partner. Dopo la conquista cinese della Rover, si è parlato di un misterioso socio cinese interessato a comprarsi anche Fiat. Persino la Peugeot può rientrare nella rosa dei pretendenti, complice la presenza nell'azionariato di Vincent Bolloré, un imprenditore molto diversificato e ricco di liquidità, già attivo in Italia con il 5% di Mediobanca ed una impaziente voglia di comprare qualche pezzo di capitalismo tricolore. Tra Italia e Francia ci sono del resto molti dossier aperti, da Sanpaolo-Cdc-Dexia, a Edf-Edison-Enel, dall'Alta Velocità a Air France-Klm-Alitalia. In terra di Francia l'Ifil ha fatto importanti investimenti e ne sta venendo fuori con buone plusvalenze: basti pensare al miliardo di euro che sta incassando dal gruppo Auchan per la cessione della sua quota in Rinascente.
La famiglia sta cercando in qualche modo di ritagliarsi un futuro, a partire dalla crisi del suo insediamento tradizionale. Chi faticherà molto di più, è evidente, saranno le migliaia di operai che sono ancora dentro il ciclo dell'auto e che non hanno molti pretendenti o potenziali compratori internazionali della loro forza lavoro. Sarebbe ora di cominciare a delineare un futuro anche per loro: in fondo sono gli unici soggetti che non hanno alcuna put a disposizione.
Renato Strumia