Umanità Nova, numero 41 del 19 dicembre 2004, Anno 84
In Costa d'Avorio la Francia ha assunto il ruolo che gli Stati Uniti svolgono in Iraq e Israele negli Stati Uniti: la potenza occupante che, colpita dal fuoco degli "indigeni barbari" si lascia andare a pesanti rappresaglie delle quali la stampa occidentale non da assolutamente conto. Le veline che Parigi ha proposto alla libera stampa d'occidente sono state rielaborate nel senso della riattualizzazione della vecchia menzogna del fardello dell'uomo bianco e della sua missione civilizzatrice all'interno di un continente che va alla deriva per manifesta incapacità dei suoi abitanti a governarsi.
Così sappiamo tutto dell'attacco mosso dalla scarsa aviazione ivoriana (peraltro immediatamente distrutta dai Mirage francesi per rappresaglia) guidata da mercenari ucraini contro le truppe francesi che, sotto l'egida dell'ONU, fungevano da peace-keepers sulla linea del fronte tra le truppe governative e i ribelli del nord e dell'ovest del paese, ma non sappiamo nulla delle decine di morti e dei 400 feriti tra la popolazione di Abidijan (l'ex capitale oggi centro economico e commerciale) a seguito della rappresaglia francese contro il Presidente Laurent Gagbo.
Gli assalti alle case e alle proprietà degli europei in primo luogo francesi sono avvenuti a seguito di questo eccidio che, probabilmente altro non è stato che un tentativo abortito di colpo di stato gestito dall'Eliseo. A seguito di questo fallimento la Francia ha iniziato ad evacuare i propri 15.000 connazionali che da decenni vivono nel paese africano e ne gestivano l'economia. Con questo esodo la Costa d'Avorio si è liberata del fardello più pesante del colonialismo francese ma si è anche ritrovata senza più imprenditoria e commercio in un momento in cui i locali non possono essere in grado di prendere in mano l'economia a causa della latente guerra civile e della devastazione sociale che ne è seguita.
L'attuale situazione ha le sue origini nel crollo del prezzo del cacao del quale la Costa d'Avorio è storicamente il primo produttore mondiale, mentre è il quarto produttore di caffè. La crisi economica innescata dalla crisi del cacao del 2002 è stata gestita dal Presidente Gagbo favorendo la nascita e lo sviluppo di un movimento xenofobo ed anti francese denominato i "giovani patrioti". Da un lato il sentimento anti francese è del tutto legittimo considerando il ruolo che l'ex potenza coloniale continua a giocare nelle sorti del piccolo paese affacciato sul Golfo di Guinea, dall'altro la xenofobia ivoriana ha avuto come destinatari gli immigrati dagli altri paesi africani accorsi in massa ai bei tempi dell'alto prezzo del cacao e diventati ora in piena crisi economica i bersagli del nazionalismo locale che li addita a colpevoli di "rubare il lavoro agli ivoriani" e di "portare alla miseria il paese". I paralleli con la situazione delle zone industriali in crisi in Italia e in Europa è impressionante e rivela la facilità con la quale una popolazione in crisi è disposta a credere a qualsiasi cosa pur di trovare un capro espiatorio alla propria frustrazione e al proprio impoverimento.
La realtà è ovviamente un'altra e rimanda a due ragioni di fondo che spiegano in modo esemplare la crisi attualmente in atto in Costa d'Avorio: la prima è storica e rimanda al compromesso tra Parigi e il leader indipendentista locale Houphouet-Boigny il quale, da sindacalista fondatore della confederazione generale dei lavoratori ivoriani nel 1944 e da capofila della battaglia per l'abrogazione dei lavori forzati nella piantagioni (1945), si trasformò nel corso degli anni Cinquanta nel referente locale di Parigi. Nel 1960 il leader dei lavoratori ivoriani ottenne l'indipendenza e la presidenza del nuovo paese in cambio dell'impegno a lasciare ai tecnici e ai piantatori francesi la gestione dell'economia locale che, infatti, non perse la propria caratteristica coloniale della monocoltura a cacao e caffè: Parigi manteneva la colonia senza nemmeno lo sforzo di doverne pagare i funzionari ma limitandosi ad ampie regalie al dittatore locale che si proclamò presidente a vita e fu costretto ad indire elezioni solo dalla rivolta del 1990 a seguito dei mutamenti che anche in Africa seguirono alla fine del blocco socialista.
La seconda ragione di crisi rimanda al programma avviato nel 2000 dal regime del Presidente Gagbo che seguendo le direttive della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, e applicando le richieste di Washington alla quale intendeva avvicinarsi per sottrarsi all'abbraccio di Parigi, varò la totale liberalizzazione del mercato agricolo che distrusse la possibilità per i contadini locali di vendere sul mercato nazionale a causa della concorrenza euroamericana sorretta dalle sovvenzioni governative e protetta dai fucili dell'esercito francese e capace di vendere prodotti della valle del Mississipi piuttosto che della Loira a prezzi inferiori di quelli locali. Lo scenario è quello solito dei paesi del Terzo Mondo costretti ad acquistare le merci prodotte nel Nord del mondo e ridotti in miseria nelle proprie capacità produttive. Anche in Costa d'Avorio tale manovra costò a Gagbo una rivolta contadina durata quattordici mesi e soffocata nel sangue dalle truppe presidenziali. Alla fine della rivolta, però, il malcontento serpeggiante nel paese trovò espressione in un golpe tentato nel giugno del 2002 da ufficiali ed esponenti politici appartenenti al nord del paese musulmano e contadino. L'insuccesso del colpo di stato e l'avvio della guerra civile seguito ad esso hanno spaccato il paese in due; a questa situazione si è aggiunto il crollo del cacao e così Gagbo ha avviato la sua politica xenofoba tendente a riversare sugli immigrati il peso della crisi. La Francia è intervenuta a mediare tra le fazioni in lotta ed ha sponsorizzato gli accordi di Marcoussis del 24 gennaio 2003 che prevedevano una rapida pacificazione unita ad uno smantellamento del regime di Gagbo, alla civilizzazione dei partiti oggi in armi e libere elezioni alla fine di quest'anno. Nel frattempo è divenuto chiaro che Parigi scommetteva sulla fine del potere di Gagbo e sulla vittoria elettorale degli ex golpisti del Nord e dell'Ovest. Contro questa prospettiva Gagbo e i suoi "giovani patrioti" hanno prima boicottato gli accordi e in seguito lanciato l'attacco alla ex potenza coloniale.
Oggi, dopo il fallimento del golpe filo francese e la ritirata dei residenti francesi dalla ex colonia la situazione è di caos totale e l'unica cosa che risulta chiara è l'incapacità di Parigi di imporsi nelle proprie ex colonie africane. Gagbo ha resistito ai francesi ed è riuscito a rompere il cordone che legava il paese a Parigi. Certamente non lo ha fatto senza sapere dove rivolgersi per ottenere la protezione che il suo fragile potere necessita. La recente scoperta dell'evacuazione da parte italiana di 32 mercenari israeliani che avrebbero pianificato l'avvio dell'ostilità contro la Francia è un ulteriore dimostrazione di quale sia il vento che soffia oggi sul continente nero. Israele non lavora in proprio in Africa ma fornisce armi e uomini a regimi e ribelli appoggiati dalla potenza di riferimento: gli USA. La presenza ai massimi livelli di responsabilità di uomini israeliani proprio nei giorni del deciso colpo di acceleratore dello scontro tra il regime ivoriano e la Francia dimostra una sola cosa: che anche la Costa d'Avorio fa parte dei paesi africani francofoni in procinto di passare sotto la bandiera a stelle e strisce. Da anni ormai gli Stati Uniti, prima approfittando della fine dei regimi a partito unico, poi utilizzando la scusa della guerra al terrorismo hanno iniziato la penetrazione in Africa e segnatamente all'interno dell'area economica del franco: Mali, Senegal, Ciad, Camerun, Niger, Congo, Ruanda sono pedine di un gigantesco risiko continentale che vede gli Stati Uniti sostituirsi alla Francia nel ruolo di padrone del cortile africano. La ragione è da ricercarsi nella ricerca di mercati esclusivi per le proprie produzioni agricole e nella possibilità di sfruttare i giganteschi giacimenti di petrolio, gas e minerali pregiati che risiedono sotto il suolo africano. Finita la guerra fredda non vi è alcuna ragione per la quale Washington debba sopportare che una parte importante e ricca del globo sia controllata da un paese alleato ma sempre infido e, soprattutto, dotato di una classe dominante troppo incline all'indipendenza e alla spregiudicatezza nei giochi globali. Anche l'Africa così entra nel grande gioco mondiale della globalizzazione che, una volta di più, si dimostra un affare di stati e potenze in guerra tra loro e dove la sproporzione dei mezzi vede tra questi gli Stati Uniti imporsi come dominante grazie alla sua predominanza militare e alla possibilità di comprarsi élite locali ferocemente deluse dalla fine del "sogno francese".
Giacomo Catrame