Umanità Nova, numero 41 del 19 dicembre 2004, Anno 84
Galbiato Piovano Secchiari
Testamento di Piè
Quando son morto (da Alfreda Morelli di Gragnana, mamma di Galbiato Secchiari)
Quando son morto riempitemi di trippa / Con la camicia bianca di
ricotta / E il capezzale sia di carne fritta / Fatemi una corona di
salsiccia / Per candelier quattro capponi cotti / Vino bianco buono e
ad ogni mena / Portatemi nel campo degli atei / Dove non canteran preti
né frati / Mettetemi una pietra sul mio corpo / Soffiatemi nel
cul quando son morto.
I nomi di battesimo erano stati scelti dal padre, in omaggio ad un
avvocato che lo aveva tolto dai guai con la giustizia ma, essendo
così inconsueti, si è meritato diversi soprannomi:
Piè oppure Rumianca, i più usati. E' deceduto il 1
dicembre ed è stato messo a dimora senza funerali, come da suo
espresso desiderio. Per la verità, quando in vita ne parlava,
avrebbe voluto esser portato al cimitero con l'Ape ma, giunto il
momento, i familiari hanno preferito di no.
Era nato nel 1922. Nella sorda guerra sociale in corso in quei tempi, la sua vita da subito è risultata intrecciata col movimento anarchico: gran parte dei familiari infatti aderivano a questo ideale. Aveva qualche mese quando i fascisti fecero incursione a notte fonda nella casa del bisnonno Achille. Barricate porte e finestre, gli abitanti presero la via dei tetti ed il bimbo, in un primo tempo messo al riparo sul tetto, venne dimenticato là e soltanto in un secondo tempo recuperato, sempre passando per la stessa strada. La vicenda viene narrata in una canzone a forte contenuto antifascista cantata da sua zia Silvia, rimasta inabile in seguito ad una successiva, ennesima, incursione delle camicie nere: "O figli di carogne...", ed è ancora ben stampata nella memoria di tutta la famiglia.
Aveva poco più di un anno quando, il 25 novembre 1923 il padre Santino, tornato dai pascoli, aveva trovato i propri genitori Paolo 'l Vergai e Giselda malridotti e pestati. Colto da una furia incontenibile era andato a casa di un caporione e l'aveva accoltellato tre volte nel letto, credendo di lasciarlo morto. Datosi alla latitanza insieme al fratello Dante Luigi ed allo zio Francesco, la casa che lo ospitava alla Pieve di Viano in Lunigiana, dietro spiata venne circondata la notte fra il 27 e il 28 e Santino ferito e poi lasciato morire dissanguato dai Carabinieri che si rifiutarono di soccorrerlo.
La madre Alfreda Morelli oltre a Piè aveva una bimba ed era incinta di sette mesi, con grande coraggio decise di lasciare la casa per non attirare ulteriori rappresaglie, andando a trovare rifugio in un sottoscala di 1 metro per 3 adibito a pollaio, fino al termine della gravidanza, malgrado la stagione invernale. Il che però non servì a placare la smania di vendetta dei fascisti i quali, dopo altre numerose scorribande, il 26 settembre del '25 appiccarono fuoco alla casa cospargendo i muri di benzina, e riuscirono a renderla inabitabile. La casa non venne mai più ripristinata e, dal 1978, il rudere abbattuto ha dato posto ad una piazza che a titolo di riconoscimento dovrebbe recare i nomi di Paolo Secchiari e Giselda Borghini, ma ancora a distanza di tanti anni rimane anonima.
Allo scoppio della guerra Piè cercò di sottrarsi agli obblighi militari stando al riparo sui monti, ma presto venne acciuffato ed arruolato. Dopo l'8 settembre venne internato in Germania, ove fu abbastanza fortunato (così diceva lui) da venir preso a benvolere da una famiglia che aveva un forno per il pane ed aveva bisogno di manodopera, scampando così al campo ed agli stenti. Tornato a guerra finita, insieme a Pietro Musetti divenne animatore del risorto Circolo Malatesta, e coi coetanei formò il gruppo giovanile anarchico intitolato a suo padre.
Alla Rumianca, la fabbrica chimica sita nella zona industriale dove trovò lavoro, fu più volte vittima di "incidenti" dovuti alle condizioni aberranti nelle quali le lavorazioni avvenivano. Attivo iscritto dell'USI, sostenne numerose lotte in prima persona e campagne di denuncia. Nel frattempo continuò la militanza nella Federazione all'interno dei Gruppi Anarchici Riuniti e fu promotore delle Feste per Umanità Nova le quali, a partire dalla seconda metà degli anni '60, per due decenni hanno fatto diventare Gragnana un appuntamento estivo irrinunciabile per tutto il movimento anarchico.
Inveterato miscredente ed antireligioso, non aveva esitato a
nascondere in casa sua il prete del paese per qualche giorno, quando
questi si era trovato per motivi del tutto terreni inseguito dai
parrocchiani infuriati.
Verso la fine degli anni '60, con la salute decisamente compromessa da
sovraesposizioni a cloro, arsenico, fosfati e ad ogni genere di
sostanze tossiche, venne convinto dai compagni a lasciare l'impiego e
prendere in carico uno degli spacci della Cooperativa del Partigiano
che ormai, superato il periodo in cui era stato un servizio essenziale
di rifornimento alimentare alla popolazione della città e dei
paesi a monte sprovvista di tutto, si era deciso di mettere in
liquidazione.
Quando arrivammo a Carrara col progetto di tipografia nel 1974 lo trovammo proprio accanto nella bottega di alimentari, e per noi fu un costante aiuto e punto di riferimento. Il sarcasmo e l'autocritica che non lo lasciavano mai; la fonte inesauribile di aneddotica sul movimento e sui fatti della vita; la tradizione delle canzoni della sua gente; una discreta cultura soprattutto dei testi anarchici; l'innato buon senso che scaturiva dalle sue origini di famiglia di pastori, contribuivano a fare di lui uno dei compagni più preziosi.
Già abbiamo sentito la sua assenza quando sette anni addietro aveva deciso di chiudere il negozio e ritirarsi, anche se ogni tanto lo si incontrava di buon mattino o partecipava alle manifestazioni o al Primo Maggio, e si informava sugli esiti della lotta per il mantenimento del Germinal. Fino all'ultimo, anche se ormai leggere era per lui divenuta una fatica insostenibile, ha voluto la sua copia di Umanità Nova.
Giovedì l'abbiamo salutato disteso sul lettino all'obitorio, col suo immancabile sorriso sornione, quasi a voler dissimulare che il trapasso gli era costato grande sofferenza fisica.
Alfonso